La “povertà di tempo” non ha a che fare solo con quante ore libere ci restano dopo che abbiamo assolto ai nostri impegni. C’entra invece col lavorare molte ore senza avere altra scelta
TBD
Vi racconto quattro vite diverse. La prima: Elena va all’università. Studia intensamente, ma fa anche volontariato, gioca a pallavolo e ogni tanto tiene i figli dei vicini. La sera le si chiudono gli occhi, non esce quasi mai, è stressata. Vorrebbe solo raggiungere i propri obiettivi (laurearsi, non pesare più sui genitori). Spesso pensa: «Non ho mai tempo per niente!».
La seconda vita è quella di Paolo, vedovo con due figli piccoli. Fa il pendolare fra un paesino e Milano, dove lavora come impiegato di buon livello. Frequenta anche corsi serali per migliorare le prospettive di carriera. I suoi genitori lo aiutano con i bambini, per fortuna, ma non ha spazio per rilassarsi. Spesso pensa: «Non ho mai tempo per niente!».
La terza vita è quella di Marta, imprenditrice. Gestisce varie attività, investimenti e progetti filantropici. È sempre in movimento, prende di continuo decisioni strategiche, il lavoro non le permette di coricarsi prima di mezzanotte. Spesso pensa: «Non ho mai tempo per niente!».
L’ultima vita è quella di Marco, che fa due lavori: magazziniere dal lunedì al venerdì, con turni scomodi e irregolari, e cameriere la domenica. I lavori gli servono per arrivare a fine mese, e il suo reddito copre a malapena le spese di base. Nell’unico giorno libero, il sabato, vorrebbe fare qualcosa di divertente, ma un po’ per stanchezza e un po’ per mancanza di soldi finisce che sta sul divano a guardare la televisione. Spesso pensa: «Non ho mai tempo per niente!».
Senza avere scelta
Le quattro vite appena descritte sono in effetti diverse, ma un elemento comune balza all’occhio: il fatto che queste persone dichiarino di non avere… mai tempo per niente! E non lo mettiamo in dubbio: assumeremo anzi che tutti e quattro i personaggi abbiano, una volta assolti gli impegni, più o meno lo stesso numero di ore settimanali da usare in piena libertà.
Le ore sono 24 per tutti, i giorni della settimana sono sette, e queste vite sono pressoché prive di tempo libero, nel senso che quel poco viene speso per riprendersi dalla stanchezza. Possiamo definirle tutte, dunque, vite “povere di tempo”?
Si usa dire che il tempo è l’unica risorsa che non puoi comprare (altrimenti i miliardari sarebbero quasi immortali). «Posso comprare praticamente tutto ciò che voglio, ma non posso comprare il tempo», ha detto il ricchissimo Warren Buffett. Tornando dunque alla domanda, possiamo dire che tutte le quattro vite descritte sono “povere di tempo”? In realtà no.
La “povertà di tempo” non ha a che fare solo con quante ore libere ci restano dopo che abbiamo assolto ai nostri impegni. C’entra invece col lavorare molte ore senza avere altra scelta: un individuo è povero di tempo se lavora molto ed è anche economicamente povero, o a rischio di diventarlo.
Essere poveri di tempo deriva dalla combinazione di due condizioni. L’individuo non ha tempo per il riposo e lo svago, e non importa che le ore occupate siano vissute sul mercato del lavoro o che siano dedicate ai lavori domestici e di cura.
In secondo luogo, l’individuo non può ridurre il tempo lavorato senza aumentare il livello di povertà economica del suo nucleo familiare (se il nucleo familiare è già povero) o senza trovarsi a oltrepassare la soglia della povertà. Ah: vari studi suggeriscono che le donne sono molto più inclini a essere povere di tempo rispetto agli uomini. Una montagna di ore spese in lavoro familiare non pagato.
Una questione sociale
Ogni anno si investono soldi per cercare, con risultati incerti, di ridurre la povertà economica, ma si riflette meno sulla povertà di tempo. È anche un problema culturale: non è raro imbattersi nell’imprenditore che afferma di lavorare tantissimo, come o più dei suoi dipendenti. O che esorta le persone a fare gavetta gratuita. Si cerca di sminuire la povertà di tempo riducendola a un problema che riguarda ricchi e poveri indistintamente. «Bisogna aver voglia di fare, la gente oggi è pigra».
Il film di Aki Kaurismäki Foglie al vento racconta la storia d’amore fra due lavoratori precari prossimi a cadere in un cupo abisso esistenziale. La trappola dei giorni che passano tutti uguali, l’impossibilità di coltivare interessi, di pensare a come migliorare la propria vita. L’amore in questo caso salva vite umane (e animali). Per fortuna l’amore è distribuito in maniera diversa rispetto ai soldi. Ma non possiamo contare solo su questo.
Una domanda alla quale dovremmo tenere – non come individui e basta, ma come società – è: «Cosa dobbiamo fare con il tempo?». Le questioni legate al tempo sono infatti legate profondamente alla costruzione dell’uguaglianza sociale e della civiltà.
© Riproduzione riservata