«Veniva ogni tanto a Barbiana una professoressa che mi pareva una donna veramente straordinaria. Era bravissima come insegnante ed era anche bravissima… in tutto il resto. Si capiva che cucinava bene e volentieri, leggeva tanto, andava spesso al cinema e faceva attività politica. «Quella donna riesce a far tutto! Come farà, don Lorenzo, a trovare il tempo per fare tante cose?”.

«Non vuol bene a nessuno!» mi rispose di botto. Era vero! Era verissimo! Come avevo fatto a non pensarci? Quante più cose si farebbero se non si volesse bene a nessuno! Anche per questo mi piaceva stare a Barbiana».

È uno degli affreschi, dei «frammenti sparsi» che Adele Corradi ha scritto e pubblicato nella raccolta che ha chiamato, con un titolo molto efficace, Non so se don Lorenzo, nel 2012, vincendo la sua ritrosia a lasciare una memoria – quella di fatto dell’unica professoressa ammessa stabilmente a Barbiana – del suo lavoro con don Lorenzo Milani, nella scuola privata e cattolica più famosa d’Italia, diventata poi il simbolo della scuola pubblica coerente con gli articoli della Costituzione (art. 3), ancora oggi difficilmente digerita per i nervi scoperti e i cortocircuiti che toccava e rivelava.

Adele Corradi è morta sabato 23 novembre, nell’anno del suo centesimo compleanno; li avrebbe compiuti il prossimo 9 dicembre, nata un anno dopo il Priore, come lo chiamavano i suoi allievi e le sue allieve. Lunedì 25 si è celebrato il funerale, nella chiesa di San Salvatore al Monte, sulla collina dietro il piazzale Michelangelo, presieduto dall’arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, e concelebrato assieme a sette altri sacerdoti amici, tra cui Andrea Bigalli, Alessandro Santoro, Mario Landi, Maurizio Pieri, Giancarlo Lanforti.

Se l’allora cardinale non celebrò i funerali di don Milani nel 1967, ora la presenza del vescovo di Firenze è un bel segnale di come la chiesa di papa Francesco, in continuità anche con quanto fatto dal card. Betori, abbia ribaltato le critiche che per una vita gli furono rivolte a lui e alla sua Scuola ed oggi invece vengono lette alla luce del Vangelo: «La Scuola di Barbiana – ha detto l’arcivescovo nella sua omelia commentando il passo letto di Matteo 5 – è stata non solo un luogo in cui i poveri venivano accolti, ma dove si insegnava loro che la Beatitudine dell’insegnamento, della conoscenza, della cultura, li metteva in condizione di capire perché lo erano, e di conseguenza che ciò che sapevano poteva renderli davvero liberi […] ci dimentichiamo sempre di definire come una scuola in cui si andava volentieri, nonostante le difficoltà per farlo, una scuola condotta da una comunità educante».

Nata a Firenze nel 1924 in una famiglia di buona borghesia, poi liceo, Facoltà di Lettere, il concorso negli anni Cinquanta, supplenze, fino al 1963. Come scrisse Giorgio Pecorini, «l’anno della svolta, sua e del Paese». Nel 1963 arriva in Italia l’innalzamento dell’obbligo scolastico, la media unica e anche la cattedra all’Adele: prima a Pozzolatico, frazione dell’Impruneta, e poi, stabilmente, a Castelfiorentino. Appena prima di iniziare l’anno scolastico, decide di salire a Barbiana con una sua amica, convinta che ad anno iniziato sarebbe stato più difficile trovare il tempo di «arrampicarsi» per quelle strade: «una collega mi aveva detto che quella scuola dava risultati straordinari, volevo perciò vederla in funzione, giacché funzionava anche nei giorni di festa».

È l’inizio di tutto: del suo intendere la scuola, del ruolo di insegnante, del rapporto con le alunne. All’invito di Milani di risalire, “l’Adele” con l’apostrofo – come tutti la ricordano – lo farà, salirà, sempre più frequentemente, fino a diventare una presenza costante dal 1963 al 1967, soprattutto quanto ottiene nel 1964 il trasferimento alla media statale di Borgo San Lorenzo, una quindicina di chilometri da Barbiana. Vedrà la stesura della lettera a Mario Lodi e ai suoi studenti, quella ai cappellani militari, porterà le sue allieve a confrontarsi con don Milani in occasione del carnevale del 1965 – lasciandoci una delle lezioni più belle sulla responsabilità e sull’essere cittadine sovrane (parlava a delle ragazze di terza media, testo da leggere e meditare proprio nel giorno della giornata internazionale contro la violenza sulle donne appena passata), il processo e la lettera i giudici, le bocciature, l’idea di Lettera a una professoressa e, soprattutto, della sua stesura e della scrittura collettiva.

Adele però non va ricordata solo per gli anni a Barbiana, sarebbe riduttivo. È molto di più: è stata una grande insegnante («diversa da tutte le altre», secondo la dedica che le fece Milani al volume), una grande educatrice, che ha continuato a fare scuola in modo formale e informale, che ha formato generazioni di studenti in Italia e all’estero.

Ricordiamo il suo lavoro in Spagna, a fianco di José Luis Corzo nella scuola di “Santiago I” di Salamanca, anche lì con i ragazzi dimenticati da tutti. Adele è stata un punto di riferimento importante per gli studiosi di don Milani, fino a poche settimane fa, tramite messaggi su whatsapp, aiutata anche dall’ex allievo Enrico Zagli. Tra le sue ultime fatiche, ricordiamo la raccolta di lettere selezionate di Milani (Duecento lettere, EDB 2023) che fanno capire tanto di don Lorenzo, ma anche di Adele e del “suo” don Lorenzo.

Al funerale erano presenti gli amici e le amiche di sempre, oltre alla famiglia, ai nipoti e ai pronipoti. Sarebbe bello poter ricordare Adele il prossimo anno con un evento che richiamasse, invece che gli amici “storici” che l’anno conosciuta, quelli e quelle a cui ha dedicato la vita: ovvero ai giovani.

Sarebbe il lascito più importante per riconoscere all’Adele quello che merita: non solo la collaboratrice di don Milani, ma un pezzo di Scuola di Barbiana e della Scuola italiana.


* L’autore è storico del cristianesimo e curatore del Meridiano don Milani

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