Un giorno mio figlio mi ha chiesto di disegnare un airone. Non mi ha spiegato il perché, l’ha solamente chiesto con insistenza mentre io dovevo finire un altro lavoro. A ogni mio rimando, lui tornava più insistente di prima. Sembrava che quel disegno fosse davvero importante per lui.

Allora alla fine ho ceduto e gli ho disegnato un airone. Subito dopo l’ho massacrato (l’airone, non mio figlio). Abbiamo riso entrambi e ancora oggi non so spiegarmi cosa sia successo, ma qualcosa è successo. Una sorta di magia nera, oscura ma terribilmente liberatoria. Sono nate così le strisce di Aimone l’airone, da un episodio fortuito che però mi ha donato la libertà di esprimere una poetica che tenevo sopita, nascosta, in attesa di trovare un modo giusto per esprimerla. Il modo giusto è stato questo pennuto che ha sempre l’aria triste e che è molto più umano di tante persone che conosco.

Non solo per l’aspetto antropomorfo, ma proprio per come si comporta e per tutto ciò che subisce. In fondo è un gioco di ruoli, e vedere un uccello fare cose da persona “normale” rende più digesta anche la più crudele delle situazioni. La spersonalizzazione funziona, anche se è solo un’illusione che tutti, chi più e chi meno, siamo consapevoli di accettare. Probabilmente le cose che gli succedono riescono a essere più tollerate perché c’è il filtro della finzione ben evidente.

Un barlume nel buio

Forse Aimone è venuto fuori per liberare lo scompenso di un mondo che, nelle sue molteplici storture, violenze e infinite contraddizioni, vale la pena comunque di essere vissuto e affrontato giorno dopo giorno. O forse volevo solo essere cattivo e cinico senza avere tante conseguenze. Chi lo sa. Comunque non si tratta di un cinismo fine a se stesso, è un cinismo capace di creare una nuova forma di romanticismo contemporaneo dove i sentimenti sono sempre più asettici, le emozioni usa e getta e di cui non rimane nulla se non qualche ricordo sfocato pronto a sparire al primo ripulisti mentale. Quindi persino il cinismo può prendere delle sfumature positive o perlomeno essere un barlume di qualcosa nel buio della noia dell’indifferenza.

D'altronde è vero che in ogni striscia il povero Aimone muore sempre (o quasi), ma è anche palese che in quella successiva è di nuovo vivo e vegeto, pronto ad affrontare un'altra ingiustizia o un'altra atrocità. Incastrato in un meccanismo quasi kafkiano di eterno ritorno, riesce comunque a trovare momenti di gioia quando da vittima diventa carnefice. Ed è crudele come solo chi è veramente buono può essere. Più con le parole che con i gesti, più con i concetti che con i fatti. Più con una sana vendetta che parte dal cuore che con una giustizia fredda e razionale. Come quando se la prende con il Piccolo Principe. Io non so esattamente cosa succede ogni volta che inizio a disegnare una nuova striscia di Aimone. Quando traccio le prime linee sono consapevole di non sapere come andrà a finire. È lui che mi guida verso un finale che sarà sicuramente tragico, grottesco, ma che farà ridere. O almeno farà ridere me. Perché ridere è l'unico modo che abbiamo per affrontare in maniera serena il buco nero della morte e scappare da quel pensiero.

Il volume

Vi faccio uno spoiler: tutti, prima o poi, moriremo. E succederà nonostante gli scongiuri che state facendo adesso. Quindi perché non godersi il viaggio sorridendo davanti alla grande tragedia umana (o almeno cercando di farlo)? Perché limitarci a tal punto da offenderci per una battuta, una vignetta o una striscia? Oggi, ancor più che in passato, tutto scorre a una velocità supersonica tale che il famoso "panta rei" è diventato unico motore del mondo senza, però, la bellezza del mistero del divenire. Tutto scorre, è vero, tranne il rancore che si autoalimenta come una malattia infettiva e fa crescere l'odio polarizzando ogni situazione come se fosse una questione di vita o di morte.

Personalmente non ho né voglia né tempo di odiare. Lo trovo terribilmente noioso. Preferisco passare il tempo a fare altro, come disegnare e creare storie nuove, rileggere quelle vecchie e vedere se funzionano ancora, oppure se hanno preso polvere. Per questo motivo ho deciso di raccogliere circa 150 strisce di Aimone l'airone in un unico volume per D Editore. Per dargli una coerenza e rendere più chiaro il suo universo-mondo. Che poi sono le stesse strisce che da anni continuano a uscire su questo quotidiano senza censura. E bisogna essere sinceri, di ‘sti tempi è un atto coraggioso anche questo, perché il black humour non è per tutti ed è ancora più difficile nella finta libertà della comunicazione contemporanea perché, come canta Madame nelle sue 64 barre: «Per paura che si offenda anche uno/non possono ridere in tanti».

Questo tipo di umorismo per funzionare ha bisogno di intelligenza e capacità di accettare che quella è finzione. Inoltre bisogna essere in grado di contestualizzare. Troppa fatica? Forse. Ma perché tutto deve essere facile? Perché non ci può essere un minimo di sforzo per saper andare oltre? Solo così si può ridere di tutto, altrimenti ogni cosa può diventare un affronto personale. E non lo è, quasi mai. E anche se lo fosse si tratterebbe di un disegno o di una battuta. Nulla di più e nulla di meno. Ma se riuscissimo ad abbandonare questo egocentrismo ipertrofico forse capiremo che a quasi nessuno importa nulla di noi.

Sembra terribile e anche triste, ma in fondo ci libera dalla zavorra di dover sembrare perfetti. Di essere il centro di un universo che nemmeno esiste. Perché in fondo noi siano la somma dei nostri errori e se siamo arrivati alla contemporaneità è perché tanti prima di noi hanno fatto quegli errori necessari a farci arrivare fino a oggi. E continueremo a sbagliare e imparare. Questo Aimone lo sa da tempo e lo ha accettato pienamente. Cavalcando l'onda della vita senza la paura di essere travolto e affogare. D'altronde la morte è un problema dei vivi e Ungaretti diceva che si sconta vivendo. Allora cerchiamo di riderci su.

© Riproduzione riservata