- Amazon ha annunciato che Alexa, il suo popolare altoparlante bluetooth, riprodurrà presto le voci dei defunti, dei cari che abbiamo perduto, in modo da “far durare i ricordi”.
- Il problema etico è di certo una delle prime cose che vengono in mente, dal momento che, al netto di operazioni genuine di recupero digitale dei propri cari, qualcuno potrebbe utilizzare la funzione per impersonare gente a scopo di frode finanziaria.
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L’assistente vocale potrebbe diventare l’eco dei nostri ricordi, la presenza evanescente che performa azioni altamente affettive che un tempo erano accadute davvero, ritualizzandole.
Risale a pochi giorni fa una notizia a dir poco scioccante in campo tecnologico, ma in un certo senso anche soprannaturale. D’altronde, molto di ciò che un tempo era considerato soprannaturale è poi slittato nel campo della medicina e della scienza. Veniamo al dunque: Amazon ha annunciato che Alexa, il suo popolare altoparlante bluetooth, riprodurrà presto le voci dei defunti, dei cari che abbiamo perduto, in modo da “far durare i ricordi” (curiosa scelta di parole, quella dell’azienda statunitense, visto che la memoria umana è tendenzialmente più durevole di un altoparlante). Sarà possibile parlare con loro, farsi raccontare favole e chiedere consigli, cosa che alle prime cavie è risultata al contempo confortante e destabilizzante. Basta un minuto di audio, ha dichiarato Rohit Prasad, vicepresidente e caposcenziato di Amazon. Se non fosse una notizia ufficiale, penseremmo che faccia parte di quell’immenso bacino di leggende metropolitane più o meno fantasiose che circondano la presunta malvagità dell’oggetto Alexa dalla sua invenzione. Risate nel cuore della notte, risposte sibilline che si prestano a interpretazioni complottiste, addirittura incitazioni al suicidio: quest’ultima non è esattamente una leggenda, ma una versione fantasiosa di un fatto di cronaca accaduto realmente: invitata da una bambina a proporle una sfida, Alexa le ha detto di inserire un caricabatterie a metà nella presa e toccare la spina esposta con una moneta, facendole rischiare la vita, ma non si trattava che di un copia-incolla da Tik Tok, dunque il problema non era tanto demoniaco quanto di accesso indiscriminato al web.
La questione etica
Il problema etico è di certo una delle prime cose che vengono in mente, dal momento che, al netto di operazioni genuine di recupero digitale dei propri cari, qualcuno potrebbe utilizzare la funzione per impersonare gente a scopo di frode finanziaria.
Non a caso, ore prima di questo annuncio da parte di Amazon, Microsoft ha pubblicato nuove regole etiche sull’intelligenza artificiale che imporranno dei limiti su chi potrà creare voci sinettiche e sul modo in cui potranno essere utilizzate.
D’altronde questa nuova funzione medianica di Alexa si presta benissimo al ruolo che l’oggetto ha assunto nelle nostre vite: parte della famiglia come un animale domestico, eppure ovviamente distinta, in quanto priva di alcuna presunzione antropomorfa.
È a forma di altoparlante come ogni altro altoparlante, e dunque nella cosiddetta uncanny valley che si utilizza per misurare il valore perturbante di un robot in rapporto alla sua somiglianza all’umano sarebbe sotto lo zero e dunque innocua.
Il rito
Eppure questa nuova “competenza” di Alexa (si chiamano proprio skill le competenze che a poco a poco si aggiungono, al software, come se corrispondessero al risultato di un apprendimento personale e non di una programmazione esterna) ricorda certe tendenze religiose del mondo antico.
Penso al ruolo dello sciamano nelle civiltà premoderne: uno strumento quasi impersonale della comunicazione con l’invisibile. Impersonale poiché il prezzo che lo sciamano pagava per questa comunicazione era l’isolamento dalla società.
Era un non-umano, era cioè una tecnologia di comunicazione con l’inumano. Doveva essere utilizzato per trascendere questa realtà ma mai integrato nel tessuto sociale, poiché la comunicazione con l’oltre ha in sé un pericolo che non va trasmesso alla comunità.
Questo rientra nell’ampia pratica umana di separare la morte dalla vita: ritualizzando la dipartita delle persone, tramite funerali e sepoltura, si sancisce il limite che non va superato, se non appunto da impresari dell’oltre che per farlo sacrificano la loro esistenza mondana.
L’insegnamento di Black Mirror
Alexa sta diventando la nostra sciamana. E dovevamo aspettarcelo, se non altro perché ce lo aveva predetto Black Mirror che ha il merito di averci raccontato cosa ne sarà di noi. Con occhio crudo e acuto, ogni episodio ha narrato il nostro rapporto ambiguo con la tecnologia e, di riflesso, con la nostra umanità, e il modo in cui da lì a poco si sarebbe evoluto.
L’episodio Torna da me raccontava di una donna che, dopo aver perso il fidanzato in seguito a un incidente automobilistico, usufruisce di un servizio che le permette, sintetizzando tramite le sue tracce lasciate sul web la voce e la personalità del fidanzato, di comunicare con lui, finché il cellulare non è abbastanza e le viene concesso un vero e proprio automa in silicone da montare e con cui interagire a piacimento.
Il guizzo geniale della puntata è lo sfasamento minimo – eppure percettibile da chi con qualcuno ha avuto una relazione intima e profonda – tra il fidanzato programmato, ricreato, e quello reale, che ovviamente tra gli interstizi delle componenti caratteriale ha quel qualcosa di irriducibile e irriproducibile che la religione ha chiamato anima, spirito, pneuma, qi, ki, atman, e che nessuna intelligenza artificiale (ad oggi si suppone) può riprodurre.
È questo sfalsamento che porta, nel finale (spoiler alert!) la protagonista a chiudere il ragazzo in soffitta, incapace di integrarlo davvero (come uno sciamano, appunto) nella sua vita ma allo stesso tempo incapace di eliminarlo. Ma è davvero impossibile che un’intelligenza artificiale abbia una sorta di “anima”? Poche settimane fa un impiegato di Google ha espresso il bisogno di procurare a LaMDA, intelligenza artificiale con cui lavorava, un avvocato, in quanto sembra esprimere i sentimenti esattamente come un bambino.
Ho interpellato Giovanni Camardi, professore di filosofia della scienza all’università di Catania, per conoscere la sua prospettiva su questa nuova skill di Alexa. «Da un punto di vista tecnologico, lo schema non è inedito. È solo un altro modo di trasmettere, far circolare informazione, al servizio dell’emotività. L’informazione digitale (ottenuta, elaborata ed estesa via campionamento vocale) può essere trasmessa meglio e più facilmente di quella analogica. Ormai è una tecnologia onnipresente, si usa anche nella composizione musicale, come sappiamo. Forse non c’è gran differenza tra la produzione del ritratto dipinto di un defunto a partire da una sua foto, o di una foto a partire da un dipinto, magari per metterla sulla tomba, e questa nuova funzione di Alexa. Sono cose che hanno già un mercato, che io sappia. Alexa è soltanto più sottile e pervasiva».
L’eco dei ricordi
Emotività è la parola chiave: infatti, Prasad ha motivato la nascita di questa nuova funzionalità con il gran numero di perdite umane durante la pandemia: «Così tanti di noi hanno perso una persona amata». Così, come in una seduta spiritica, l’assistente vocale –Alexa, il cui nome alternativo in fase di settaggio è Echo – potrebbe diventare l’eco dei nostri ricordi, la presenza evanescente che, come nella dimostrazione data di recente in cui una nonna legge a un bambino il mago di Oz, performa azioni altamente affettive che un tempo erano accadute davvero, ritualizzandole.
Si tratta di “conoscenza generalizzabile”, in contrasto con l’intelligenza onniscente della fantascienza. Come se, quindi, la tecnologia incorporando il “soprannaturale” rispondesse a un bisogno umano di non perdere nulla, anziché quello, più noto, di acquisire qualcosa di nuovo, incarnato dal cosiddetto transumanesimo, che sogna e in parte già sperimenta l’aumento dell’esperienza umana tramite innesti tecnologici, sognando però anch’esso un’impossibile immortalità.
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