Dalle censure della Rai al concerto definitivo del Modena Park. Vasco Rossi ha passato decenni a sbriciolare la sottile linea che divide la vita dall’arte. Edmondo Berselli, che non lo amava, ha scritto che «Vasco non comunica nulla se non sé stesso», frase più ricca di significati di quanto il suo autore non intendesse
- Sono passati quanrant’anni da quel disco, il terzo del rocker di Zocca, uscito nel 1980. Mica un anno qualsiasi. Segnava simbolicamente un periodo fatidico della nostra storia di cui il maledettismo vascorossiano è l’emblema.
- Vasco è stato precursore in tutto: è diventato rocker nella terra dei cantautori, e ha profeticamente capito l’avvento degli influencer, assieme maledetto e crepuscolare, mentre ci trovavamo tutti al Roxy Bar.
- Sony Music lo celebra con una riedizione che esce venerdì 27 novembre con l’inedita copertina che riporta la foto come la voleva allora Vasco: il suo primo piano con l’occhio nero e il volto tumefatto, truccato come se fosse stato pestato
È il 1° luglio del 2017 e a Modena è in programma un concerto che entrerà nella storia: 225.713 spettatori, assembrati belli fitti e paganti. Altri 160mila fan rimasti senza biglietto. È record mondiale di pubblico pagante. Vasco Rossi, il rocker italiano, festeggia i suoi quarant’anni di carriera organizzando questo gigantesco evento nella città dove ha mosso i primi passi da dj, allo Snoopy e al Picchio Rosso.
Il concerto dura quattro ore, trasmesso in 197 cinema e tre palazzetti dello sport, Rai Uno propone la Notte di Vasco e fa il 36 per cento di share con picchi del 50. Come location Vasco sceglie assieme al sindaco di Modena Giancarlo Muzzarelli il parco Ferrari, il Modena Park citato in Colpa d’Alfredo.
E altri quarant’anni sono passati da quel disco, il terzo del rocker di Zocca, uscito nel 1980. Mica un anno qualsiasi. “Capitto”, direbbe il nostro. A segnare, simbolicamente, un anno fatidico della nostra storia di cui il maledettismo vascorossiano è l’emblema. «Il simbolo essenziale del passaggio vertiginoso dalla bandiera rossa al gioco delle blue chips», codificò Edmondo Berselli, un altro delle sue parti.
Sony Music lo celebra con una riedizione che esce venerdì 27 novembre con l’inedita copertina che riporta la foto come la voleva allora Vasco: il suo primo piano con l’occhio nero e il volto tumefatto, truccato come se fosse stato pestato. Nel disco originale, per un colpo di mano dell’ultimo momento del discografico, la foto di Mauro Balletti era stata utilizzata come retro e in copertina uno scatto dello stesso servizio, ma di spalle.
L’altra grande sorpresa, molto attesa dai fan, è il cortometraggio inedito di animazione di Anima Fragile, uno dei brani più amati di Vasco, che non aveva avuto a oggi un videoclip. Il corto, un’animazione molto bella che rappresenta il realismo interiore di Vasco nel disegno astratto di Rosanna Mezzanotte, è scaricabile tramite un QR-Code contenuto nel cofanetto. O lo trovate su YouTube.
Come si diventa un rocker?
Ma veniamo a Colpa d’Alfredo, lavoro che fotografa la sua evoluzione da cantautore, come si canta nella Bologna universitaria e intellettuale delle osterie di Dalla e Guccini, a rocker. Come si fa in provincia. Perché per essere una rockstar bisogna nascere tra Zocca e Correggio e comunque non essere nati oltre le province di Modena e Reggio Emilia.
Cosa significa essere un rocker? Forse sbriciolare tra le mani la sottile linea che divide la vita dall’arte. Con autenticità, Vasco l’ha sempre rotta. La sua biografia è il miglior romanzo sul rock che da queste parti ci sia capitato di leggere. Un grande scrittore italiano, anche lui di Correggio, Pier Vittorio Tondelli, lo ritrae in diretta, in quegli Ottanta, nel suo Weekend postmoderno: «Uno fra gli animatori di Puntoradio era un tale bravissimo dee-jay di nome Vasco Rossi che, dall’appennino modenese, iniziò a diffondere le sue prime canzoni. Il successo cui approdò Vasco negli anni seguenti è spiegabile solo con la sincerità e la generosità del personaggio che riuscì a interpretare la grande anima rock della provincia italiana, offrendo non tanto un sublime messaggio musicale, quanto piuttosto un atteggiamento, una storia vissuta, una mitologia. In anni in cui tutto stava andando verso la normalizzazione, il carrierismo e il perbenismo, Vasco, con la sua faccia da contadino, la sua andatura da montanaro, la sua voce sgraziata da fumatore, il suo sguardo sempre un po’ perso, diventava l’idolo di una diversità, di un farsi i fatti propri, di un non volersi irregimentare, che trovarono pronta e osannante una moltitudine di ragazzini».
Con Colpa d’Alfredo Vasco si trasforma nel leader di una band, ancora in embrione. Questo è il primo album fatto con la discografia milanese. Sono ancora canzoni d’autore ma che funzionano alla grande anche in radio. Si comincia a sentire l’anima rock, c’è un cambio di rotta perfino nelle ballate, meno romantiche e più ironiche.
Non c’è più il pianoforte di Gaetano Curreri, che per l’ultima volta suona il piano solo in Anima fragile, ma saranno sempre più presenti le chitarre di Massimino Riva e di Maurizio Solieri e che prenderanno il sopravvento sulle tastiere. Il linguaggio si fa decisamente più rock.
Meno tastiere predicava Riva, forse il miglior chitarrista ritmico della sua generazione, tanto che i suoi riff sembravano assoli, riempiva tutti gli spazi, era un irresistibile muro del suono nella scia chimica dei Sex Pistols, della generazione Who. Anima rock ’n’ roll, idee vulcaniche, rumorismo teatrale, il vero fratellino di Vasco. Che racconta nel libro di Marco Mangiarotti, contenuto nel cofanetto: «Facevo il dj e si ballava all’aperto. Avevo già preso i miei accordi con una tipa che era passata per chiedermi di mettere una canzone. A fine serata mentre la gente usciva a poco a poco ho visto lei con un mio amico, che era il più carino del locale, il ballerino. Si chiamava Santino Sottile. E io invece l’ho cambiato con è andata a casa con il negro la troia. Fu la gran fortuna del pezzo». Per la gioia oggi dei cultori del politicamente corretto.
«È la verace versione padana della Febbre del sabato sera, non quella con i balletti di John Travolta (non ho mai visto il film e non ho mai sopportato i falsetti dei Bee Gees). Per me che facevo il dj e vedevo la realtà delle discoteche modenesi, bolognesi, di Rimini e Riccione, era tutta un’altra cosa: non è che arrivava uno e si faceva il balletto, no, in discoteca si andava per cercare la femmina, per accoppiarsi. Ed erano tutte lì, girava così».
Il pezzo più politico
Il 1980 è dunque l’anno di Colpa d’Alfredo, un disco che si apre con la divertente Non l’hai mica capito e si chiude con il pezzo più politico di Vasco, Asilo “republic”: «una metafora della rivoluzione culturale giovanile degli anni Settanta», spiegherà il suo autore.
«I “bambini dell’asilo” sono il movimento studentesco. Il “bambino” che si butta dalla finestra è Pinelli... e ci volevano far credere si fosse buttato da solo! La “madre” è l’opinione pubblica. L’“agente” è lo stato di polizia. Il ritornello «Come prima, più di prima» rappresenta le nostalgiche pulsioni per un ritorno al fascismo. E i “fuochi”sono i morti, le galere e le botte alle manifestazioni. E l’eroina che sarebbe arrivata provvidenzialmente ad addormentare le coscienze».
La title-track scandalizza e viene censurata dalla Rai. Il 14 dicembre 1980, quando Domenica In si collega in diretta con il Motorshow di Bologna, Vasco decide così di cantare... la canzone più dura di tutto l’album, Sensazioni forti: «Non ci bastano le solite emozioni: / vogliamo bruciare / sensazioni, sensazioni, / sensazioni forti. / Non importa se la vita sarà breve: / vogliamo godere».
«Era il primo passaggio televisivo importante», racconterà Massimo Riva. «Sapevamo tutti che un’occasione del genere non ci non ci sarebbe più capitata. Così Vasco la volle sfruttare nel migliore dei modi, cercando di far capire una volta per tutte che non era quello melodico di Albachiara ma un autentico rocker. Anche noi ce la mettemmo tutta, sbattendoci sul palco come dannati».
Davanti al teleschermo c’è anche il giornalista Nantas Salvalaggio, che dalle colonne del settimanale Oggi lancia addosso a Vasco Rossi i suoi strali passati alla storia del rock patrio. Sono andato a rileggere. «Come una manciata di guano in faccia, è apparso un “complessino” che io destinerei volentieri a tournée permanenti in Siberia, Alaska e Terra del Fuoco. Il divo di questo “complesso”, che più complessato di così si muore, è un certo Vasco. Vasco de Gama? Ma no, Vasco Rossi... Per descriverlo mi ci vorrebbe la penna di un Grosz, di un Maccari: un bell’ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell’alcolizzato, del drogato “fatto”. Diceva in parole povere: emozioni forti, sensazioni violente, questo voglio, violente sensazioni, sempre più forti, anche se il prezzo da pagare è la vita... Era una visione così sgradevole, un messaggio talmente abbietto, che lo stesso Baudo, quando il guittone stracotto è riapparso per ricevere gli applausi di rito, ha tagliato corto con un saluto gelidino. E intanto mi chiedevo: gente della tv, della stampa, del governo, ma quando faremo un’indagine seria, un calcolo approssimativo, di tutti i giovani che si sono “fatti”, che si sono procurati un passaporto per l’altro mondo, sulle orme dei cantori dell’eroina, come quel tale Lou Reed, che a Milano si pronuncia giustamente Lùrid? [...] Chi ha chiamato quel povero guitto da suburra?».
Vasco, come è naturale, se la prende; ma il pezzo di Salvalaggio e le successive polemiche non fanno che accrescere di molto la sua popolarità.
«Brutalmene privo di memoria»
Edmondo Berselli, battistiano inflessibile cui Vasco non piaceva, scrisse che Vasco è «brutalmente privo di memoria», «non parla, non ammonisce, non offre decaloghi», «rimane politicamente muto. Non dice niente». Ma ha pure scritto, ed è una affermazione forse più ricca di significati di quanto il suo autore non intendesse, che «Vasco non comunica nulla se non sé stesso».
Come avesse profeticamente capito l’avvento degli influencer, di cui fu precursore, assieme maledetto e crepuscolare. Mentre ci trovavamo tutti al Roxy Bar. «Vado al massimo», «voglio andare al mare», con il solo vero scopo di vedere «le donne bianche diventare nere», «voglio una vita come Steve McQueen», «Coca Cola sì, coca casa e chiesa… Con tutte quelle bollicine…».
Una sintesi vascorossiana memorabile. E un rap mirabile. Ante litteram. Il meglio di Vasco. Ancora precursore. Che nel frattempo ha pure studiato. Spiega ancora nel libro: «Qui potrei addirittura tirar fuori Lacan, con la figura del godimento al posto di quella del desiderio. Il godimento che è mortifero, è quasi un istinto di morte, in realtà, e poi, se tu invece proibisci il godimento, ecco che nasce il desiderio. E il desiderio è una cosa che costruisce, crea tutto quello che c’è, ed è infinito, mentre il godimento finisce tutte le volte con il godimento della cosa».
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