L’orazione di Amanda Gorman dialoga con le preghiere laiche di Pasolini e mette voglia di credere ancora al sogno di Martin Luther King. Sarebbe bello che anche da noi la democrazia fosse benedetta dai versi
- «Poiché c’è sempre luce, se solo avremo il coraggio di vederla, se solo avremo il coraggio di essere luce». Una visione biblica e che odora di vita. Quella in bilico, quella precaria, quella calpestata, quella lacerata, quella derisa, quella negata, quella nera.
- The hill we climb è stato pubblicato il 31 marzo da Garzanti, e anticipa l’uscita della raccolta delle poesie della Gorman prevista per il prossimo autunno.
- Leggendo la sua orazione mi viene in mente un’altra preghiera laica e politica, Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini. Identico è il mistico senso civile. Identico il dolore. L’inquieto sprazzo di luce di Pasolini diventa sole che non acceca, ma indica la strada.
Sembra uscita da una canzone di Tracy Chapman, da un film di Spike Lee o un romanzo di Toni Morrison. Commuove e scuote dolcemente, come direbbe Don Ciotti, «Con la dolce pedata di Dio». Se Jan Vermeer avesse dipinto una madonna nera avrebbe avuto la grazia di Amanda Gorman. Il suo poema inaugurale per i rinati Stati Uniti d’America è il sogno sognato da Martin Luther King. La poetessa soffia via la polvere da sparo, ricuce la ferita del pastore dei diritti civili degli afroamericani, rianima il suo cuore riportandolo in vita per donarci ancora una volta un’orazione di pace e purezza. Una speranza di rinascita che si fa parola a forma di un pugno stretto rivolto verso il mondo e i suoi sud per liberare il grido di riscatto in un paese stuprato dalla follia delirante di Trump. E ci si innamora nuovamente della democrazia degli Usa e delle sue opportunità.
Come sarebbe bello che anche da noi fossero i poeti a investire l’insediamento del presidente della Repubblica. Quando la democrazia si scopre malata dovrebbe trovare la sua cura nella poesia. È quello che è accaduto al Campidoglio nei giorni dell’insediamento di Joe Biden. Amanda Gorman, ventidue anni, si infila nelle crepe gonfie delle ombre e ci lascia intravedere la luce cantata da Leonard Cohen. «Poiché c’è sempre luce – dice Amanda – se solo avremo il coraggio di vederla, se solo avremo il coraggio di essere luce». Una visione biblica e che, allo stesso tempo, odora di vita. Quella in bilico, quella precaria, quella calpestata, quella lacerata, quella derisa, quella negata, quella nera, quella soffocata e cronometrata in nove minuti e venti secondi, quella giustiziata, orfana della giustizia vendicata dalla dolcezza di una poesia rivoluzionaria.
Guerrigliere della poesia
The hill we climb. Parole di coraggio, speranza e futuro è stato pubblicato il 31 marzo da Garzanti, con la traduzione di Francesca Spinelli, e anticipa l’uscita della raccolta completa delle poesie della Gorman prevista per il prossimo autunno. «Noi, successori di un paese e di un tempo/in cui un’esile ragazzina nera/discendente di schiavi, cresciuta da una/madre sola, /Può sognare di diventare presidente, /E ritrovarsi a declamare per chi lo è diventato». Amanda con i suoi versi entra in quell’esercito di giovani donne poetesse che stanno rivoluzionando il mondo mettendoci non solo la visione, ma anche il proprio corpo nell’ultima ora X: Rupi Kaur che ha ricucito la pelle all’esistenza sputando fuori il veleno dei morsi della violenza o Elvira Sastre e la lotta nuda dei sentimenti.
Anche l’Italia ha le sue guerrigliere della poesia: Isabella Santacroce, Elisa Biagini, Evelina De Signoribus e Viola Di Grado. Oltre la poesia c’è il martirio di Mya Thet Thet Khaing in Myanmar, la studentessa ventenne, ferita a morte nell'ex Birmania durante le proteste contro il colpo di stato, morta fra le braccia dei suoi compagni pacifisti e poi Greta Thunberg, l’attivista che ha ricevuto in dono le stimmate del pianto della terra per allattare e far rinascere questa nostra Madre rinnegata. I have a dream. Anzi, i sogni sono tanti. Che venga dedicata una sala del senato a Franca Rame. Che Don Gallo venga santificato da papa Francesco. Che Gino Strada venga eletto prossimo presidente della nostra Repubblica. Che una poetessa italiana dica versi per il suo insediamento come accade in quell’America che ha riacceso il fuoco rivoluzionario della speranza per un mondo che possa finalmente dimenticarsi le ingiustizie, le diseguaglianze, le differenze di genere, razza e religione.
Anche un marxista come me, che ha sul comodino il Diario del Che in Bolivia e le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, ama profondamente l’America per tutti i poeti che ci ha donato: penso a Phillis Wheatley, rapita in Senegal da una nave negriera statunitense e che si conquistò la libertà a Boston grazie alle sue poesie apprezzate anche da George Washington. «Fu la misericordia a portarmi dalla mia terra pagana – scriveva la Wheatley – Ha insegnato alla mia anima oscura a capire che c'è un Dio salvatore: una volta che la redenzione non l'ho cercata né conosciuta. Alcuni vedono la nostra razza di zibellino con occhio sprezzante, Il loro colore è un colorante diabolico. Ricordate, cristiani, negri, neri come Caino, si può rinascere insieme nel viaggio divino». E poi la stanza sul giardino di Emily Dickinson, il tormento di Zelda Fitzgerald, le confessioni beat di Sylvia Plath e il femminismo e i diritti Lgbt ante litteram di Anne Sexton. Flannery O’Connor che, come una profezia per la Gorman, scriveva subito dopo la fine della seconda guerra mondiale che «La felicità possibile, quella che si vive qui in terra, è intravista come un profilo di capriolo nella luce improvvisa del mattino presto, sotto un abete dietro la curva del sentiero».
Guardare oltre
Qualcosa di sacro e biblico lega queste poetesse ad Amanda Gorman. L’America è una nazione in cui è riconosciuto il titolo di National Youth Poet Laureate da Urban World, un programma che sostiene giovani poeti in sessanta città, regioni e stati americani. Titolo del quale Amanda Gorman è stata la prima poeta a esserne insignita. «Questo è il tempo del giusto riscatto. /Lo abbiamo temuto al suo avvento. /Non ci sentivamo di ereditare/ Un’ora di così grande terrore. /Ma in quel momento abbiamo trovato la forza». La nostra amatissima Amanda, come l’indomabile Sethe raccontata dal premio Nobel Morrison, crede nell’amore come unico antidoto per sotterrare quella condizione di schiavitù che le cicatrici, la mente, le leggi, la tecnologia, gli anni non cancellano. Le pene non si dimenticano, ma si può piantare un albero di ulivo per far sì che lo vedano crescere i nostri figli, come ci ha insegnato Hikmet nella sua poesia Vita scritta da un carcere.
«Lottiamo per costruire la nostra unione/ – ci dice Amanda – che abbiamo uno scopo, /Per dare forma a un paese impegnato/ Per tutte le culture, i colori, i caratteri/ E le condizioni dell’uomo. / E così alziamo i nostri sguardi non/ Su ciò che si frappone tra noi, / Ma su ciò che si trova davanti a noi. / Colmiamo il divario, /Perché sappiamo che per porre/ Il futuro al primo posto, / dobbiamo prima/ Mettere da parte le differenze». Nel prologo della sua ode-supplica la poetessa si è rivolta non solo all’America ma anche al mondo intero. «Nasce il giorno e ci chiediamo: /Dove trovare la luce/ In quest’ombra senza fine? / La perdita che portiamo, un mare da guardare». Il coraggio di Amanda si tramuta in salmo carico di saggezza, in supplica al mondo, alla rinascita, alla resistenza, alle catene spezzate, e diviene testimone di una generazione a cui sono stati segregati gli occhi con un velo sporco. Questa è la forza della giovane combattente poeta: spalancare gli occhi. Amanda sa guardare. Oltre. «Eppure – dice ancora la poetessa leggendaria – l’alba è nostra, prima che ce ne accorgiamo. / In qualche modo siamo riemersi, testimoni/Di una nazione che non è infranta, solo/ incompiuta».
Riscoprire Pasolini
Leggendo l’orazione di Amanda Gorman mi viene in mente un’altra preghiera laica e politica, Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini. Identico è il mistico senso civile. Identico il dolore. L’inquieto sprazzo di luce di Pasolini diventa sole che non acceca, ma indica la strada ad Amanda che inconsapevolmente aggiunge un epilogo al testamento di Pier Paolo. «Piange ciò che muta, anche/ per farsi migliore. La luce/ del futuro non cessa un solo istante/ di ferirci: è qui, che brucia/ in ogni nostro atto quotidiano, / angoscia anche nella fiducia/ che ci dà vita, nell'impeto gobettiano/ verso questi operai, che muti innalzano, /nel rione dell'altro fronte umano, / il loro rosso straccio di speranza». E dopo sessantaquattro anni arriva questa giovane e gracile ragazza, con i lividi antichi delle catene sotto la pelle, per ridare vita alle lucciole di Pasolini accendendo tutti i lampioni per troppi anni rimasti al buio: «Non torneremo a ciò che è stato, / Ma avanzeremo verso ciò che sarà:/ Un paese leso ma intero, /Generoso ma fiero/ Impetuoso e libero». Ecco il Vangelo secondo Amanda Gorman.
Amanda Gorman è autrice del libro The hill we climb. Parole di coraggio, speranza e futuro, pubblicato in Italia da Garzanti con la traduzione di Francesca Spinelli
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