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Milano corre, accelera in continuazione, cambia: c’è il pericolo che anche un’assoluta eccellenza come la Pinacoteca Ambrosiana, creata da Federico Borromeo venga dimenticata
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A scongiurare il rischio è intervenuto l’accordo all’insegna della “ambrosianità” siglato con il Duomo: un biglietto unico per visitare la cattedrale, il suo museo e la Pinacoteca
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Grazie al traino del Duomo, che attrae ogni anno 2,5 milioni di ingressi, questa novità ha permesso ha dato una spinta alla riscoperta del tesoro di Federico, da parte di milanesi e non solo
Chapeau, cardinal Federico: anno 1607, fonda la Biblioteca Ambrosiana, prima biblioteca pubblica in Europa aperta a «chiunque sapesse leggere e scrivere»; anno 1618, dona la sua raccolta di quadri e disegni per costituire la Pinacoteca, straordinario supporto formativo per gli allievi dell’Accademia inaugurata nel 1620.
Allievi fortunati visto che il cardinale aveva messo loro a disposizione il più bel cartone del mondo, quello di Raffaello per la Scuola d’Atene, acquistato nel 1626, perché potessero rafforzare le competenze nel disegno. Oggi lo chiameremmo un modello culturale integrato: il fatto straordinario è l’averlo pensato e messo in atto quattro secoli fa.
Al centro della città
Se l’Accademia è stata “scippata” dal governo austriaco di Maria Teresa che l’aveva trasferita a Brera nel 1775, invece Pinacoteca e Biblioteca sono ancora lì nel grande complesso che il Borromeo aveva fatto costruire appositamente in un luogo particolarmente sensibile e oltremodo caro al suo celebre cugino, oltre che santo, il cardinale Carlo.
Sensibile, perché, come aveva capito Leonardo, quello era il “mezzo” di Milano, il vero centro della città dove in epoca romana si incrociavano cardo e decumano; luogo caro a Carlo, perché in quel centro era stata eretta una cripta dedicata al Santo Sepolcro, dove lui veniva spesso a pregare e fare le sue spossanti penitenze.
Si può ben dire che in questo quadrante la città fornisce la miglior sintesi di sé stessa: illuminata, democratica, moderna, ma anche devota e popolare. C’è da restare ammirati e da imitare.
La città però attorno corre, accelera in continuazione, cambia; e anche per un’assoluta eccellenza come quella creata da Federico il rischio è quello di venire dimenticata e di ritrovarsi un po’ impolverata. A meno che da Federico non si imparino anche a usare i mezzi che la modernità mette a disposizione. Lui aveva compilato di suo pugno e fatto stampare la prima guida della Pinacoteca, il Musaeum con scopi divulgativi.
La sera dello scorso Natale è stato invece Alberto Angela a far scoprire al grande pubblico l’Ambrosiana, dedicandole ben 13 minuti all’interno dello speciale dedicato a Milano.
Spinta al rinnovamento
La spinta al rinnovamento dell’Ambrosiana è frutto del lavoro del nuovo segretario generale, Antonello Grimaldi, che insieme ai dottori, le figure che Federico aveva preposto alla conduzione dell’istituzione, si è impegnato con convinzione in un percorso di rilancio.
Uno dei primi passi è stata la sigla, il 22 ottobre scorso, di un accordo di collaborazione con il Duomo all’insegna dell’“ambrosianità”: un biglietto unico permette di visitare la cattedrale, il suo museo e la Pinacoteca Ambrosiana. L’effetto si è subito sentito, con impennata del numero dei visitatori che hanno iniziato a riempire le sale anche nei giorni feriali. Il Duomo, che nella Milano dei grattacieli e della moda continua a essere un polo d’attrazione straordinario con ben 2,5 milioni di ingressi paganti ogni anno, ha fatto dunque da traino alla riscoperta del tesoro di Federico, da parte dei milanesi e non solo.
«L’obiettivo che ci siamo dati è questo: rimettere l’Ambrosiana al centro della città, visto che al centro effettivamente è, come aveva intuito Leonardo», dice Grimaldi. «La mia convinzione, condivisa con il direttore della Pinacoteca, monsignor Alberto Rocca, è che valorizzazione e conservazione non siano strategie che confliggono tra loro. Dunque, se siamo bravi a valorizzare, garantiamo quelle risorse che sono essenziali per la conservazione».
I risultati non si sono fatti attendere: gennaio ha chiuso con più di 23mila visitatori, decuplicando i numeri del gennaio 2022.
La riapertura della cripta
Uno dei poli d’attrazione dell’Ambrosiana è certamente la cripta di San Sepolcro, che per tanto tempo è rimasta chiusa dopo il restauro realizzato dall’équipe di Pinin Brambilla e che finalmente ha riaperto le porte ai visitatori. «Per ora è visitabile il sabato e la domenica, ma dagli inizi di aprile lo sarà tutti i giorni con gli orari della Pinacoteca», annuncia Grimaldi. La cripta permette un affascinante carotaggio nella storia anche più remota della città.
Ci sono le volte affrescate nel 1200 coperte di stelle e fiori rossi, gialli e verdi a larghi petali su un fondo bianco, un bianco che dobbiamo immaginare proseguisse sulle pareti laterali fino a terra. «Doveva trasmettere con eleganza e semplicità una serenità e una gioia che coinvolgeva tutti, una sorta di visione celeste tradotta in linguaggio popolare», aveva scritto Pinin Brambilla nel libro pubblicato a restauri terminati. «Una visione di Paradiso in grado di raggiungere un ampio seguito di fedeli».
La cripta si appoggia sul pavimento di lastroni di marmo dell’antico foro romano che proprio qui era situato. E su uno dei lastroni si può vedere persino un’impronta fossile che risalirebbe al Quaternario.
I tesori
«Ma quanti sono i tesori della Pinacoteca attorno ai quali si potrebbe costruire una narrazione!», aggiunge Grimaldi. Ad esempio la teca che custodisce una ciocca di capelli di Lucrezia Borgia, che nel 1816 avevano letteralmente infatuato Lord Byron in visita. «Sono i più biondi che si possano immaginare, non ne ho mai visto così biondi», aveva scritto il giorno dopo all’amico John Murray. I capelli, davvero dorati, erano arrivati in Ambrosiana insieme alle nove lettere, scritte da Lucrezia a Pietro Bembo, cardinale umanista e letterato al quale era legata da una relazione sentimentale.
Divenuta quasi oggetto di culto per i romantici dell’Ottocento, la ciocca di capelli della figlia di papa Borgia, Alessandro VI, oggi è accolta, come una reliquia, in una teca eseguita da Alfredo Ravasco, uno dei migliori orafi milanesi della prima metà del Novecento.
Gustave Flaubert in visita alla Pinacoteca nel 1845 si era invece fermato incantato davanti al “ben finito cartone” della Scuola d’Atene di Raffaello, che con i suoi otto metri per tre è il più grande cartone rinascimentale a noi pervenuto. Eppure Flaubert non aveva avuto modo di vederlo nelle condizioni in cui lo ammiriamo noi oggi, nel nuovo allestimento progettato dallo studio Stefano Boeri: infatti la lastra di vetro che lo protegge è la più grande ad anta unica che esista al mondo e permette di vedere il capolavoro di Raffaello senza il disturbo delle giunture.
Per averlo Federico si era svenato: il cartone era arrivato in Pinacoteca nel 1610 come prestito del conte Fabio II Visconti di Brebbia. Nel 1626, morto il conte, la vedova Bianca Spinola lo aveva ceduto convincendo il cardinale a sborsare la cifra esorbitante di 600 lire imperiali. «L’acquisizione era fondamentale per Federico Borromeo, che considerava Raffaello come l’artista che più di ogni altro era riuscito a pareggiare, se non a superare, la bellezza dell’arte greca», sottolinea monsignor Rocca nel libro realizzato in occasione del nuovo allestimento.
In altri casi invece Federico amava le opere, ma non gli artisti che le avevano realizzate. Riconosceva che Leonardo fosse un genio, tanto che per timore che andasse definitivamente perduto aveva fatto realizzare una copia del Cenacolo a dimensioni uno a uno da un artista di fiducia, il Vespino, oggi esposta in Pinacoteca. Ma poi nei suoi scritti gli imputava una sostanziale inconcludenza.
Ben peggiori i suoi giudizi su Caravaggio di cui si era comunque procurato, molto pragmaticamente, un capolavoro che ancor oggi è l’immagine più iconica della Pinacoteca, la Canestra di frutta. Ma all’artista non perdonava «i sozzi costumi» e le pessime frequentazioni: «Non fece mai altro, che buono fosse nella sua arte, salvo il rappresentare i tavernieri, et i giocatori, overo le cingare, che guardano la mano».
Nel sancta sanctorum
Per avere un’idea del patrimonio dell’Ambrosiana non si può prescindere da ciò che è custodito nel caveau, vero sancta sanctorum. Oltre ai 1119 fogli del Codice Atlantico qui sono conservati alcuni tra gli incunaboli più preziosi del mondo. C’è il Virgilio ambrosiano manoscritto proveniente dalla biblioteca di Francesco Petrarca, che lo aveva anche annotato e corredato di una miniatura di Simone Martini. C’è il De divina proportione di fra’ Luca Pacioli, manoscritto illustrato con i fantastici solidi geometrici disegnati da Leonardo. E c’è il codice in lingua gaelica davanti al quale Oscar Wilde in visita non trattenne le lacrime.
Era davvero uomo dalla mente aperta il cardinale. Que viva, Federico!
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