L’unica scuola italiana in presenza aveva l’occasione di dare giudizi sulle abilità e valutare le performance. Il programma non ha retto: si è fatto schiacciare dai meccanismi della spettacolarizzazione del sentimento
- Questo, che è il più longevo dei talent-show italiani, è anche l’unico che sia davvero una scuola con l’approssimativa durata di un anno accademico: forse quest’anno addirittura è stata l’unica scuola italiana che abbia potuto svolgere il proprio insegnamento continuativamente in presenza.
- Questa secondo me è la grande occasione mancata di Amici: qui non vige il televoto, qui parlano maestri e giudici che sono (o dovrebbero essere) competenti; le occasioni di confronto non mancano.
- Ma tutto si riduce, alla fine, al mi piace-non mi piace, ce l’ha con me, è una strategia, come su un Facebook qualsiasi.
Pio e Amedeo, i due comici foggiani ospiti fissi di Amici (tranne ora che stanno preparando un loro programma intitolato, con riferimento allo zappatore meroliano, Felicissima sera), gliel’hanno detto senza mezzi termini alla De Filippi, scherzando nel solito modo ruvido: «Sei proprio alle pezze… ma la giuria l’hai presa all’Eurospin?». Effettivamente per questo suo ventesimo compleanno una delle corazzate di Canale5 sembra attrezzata un po’ in minore, senza clamorose presenze internazionali e con un apparato scenografico limitato nel budget. La giuria è composta da un cantante (Stash), un ballerino (Stefano De Martino) e un principe (Emanuele Filiberto di Savoia, che Wikipedia definisce «personaggio televisivo svizzero»). Tre maschi eterosessuali che talvolta si lasciano fuorviare dall’avvenenza seduttiva delle allieve (Alessandra Celentano, implacabile, «ha votato l’ormone») e che quando devono giudicare una performance muscolar-erotica dei ballerini preferiscono la versione “ironica” a quella apertamente sexy.
Lontani i tempi in cui Maria sdoganava in tv il nudo maschile attraverso i corpi rutilanti dei suoi ballerini professionisti, oggi non resta che l’intensità di Giuseppe Giofrè a tener alta quella bandiera; anche Maria è alle soglie dei sessanta, le stagioni cambiano per tutti.
Eccezion fatta per un voto popolare legato allo sponsor Tim, che in finale regalerà al prescelto, o prescelta, 30mila euro, tutto il peso del giudizio e delle eliminazioni grava sulle spalle dei tre giudici. Le squadre sono tre, gli allievi studiano canto o ballo (la recitazione è stata abbandonata una decina d’anni fa, evidentemente essendo risultata poco telegenica); tre coreografe o ballerine (la Celentano appunto, Veronica Peparini e Lorella Cuccarini) sono state accoppiate ad altrettanti cantanti o esperti di musica (Arisa, Anna Pettinelli e Rudy Zerbi) in modo da formare tre coppie di “maestri” e caposquadra: Celentano-Zerbi, Cuccarini-Arisa, Peparini-Pettinelli. Le tre squadre si affrontano secondo un complicato meccanismo di sfide, al termine delle quali uno o due concorrenti vengono eliminati ogni settimana. Poi c’è un day-time quotidiano che permette agli aficionados di seguire la scuola vera e propria, che i ragazzi hanno già cominciato da qualche mese con vari coach, vivendo tutti insieme (tamponati e controllati) nelle “casette”.
Un anno in presenza
Questo, che è il più longevo dei talent-show italiani, è anche l’unico che sia davvero una scuola con l’approssimativa durata di un anno accademico: forse quest’anno addirittura è stata l’unica scuola italiana che abbia potuto svolgere il proprio insegnamento continuativamente in presenza. Una scuola seria, con esercizi e lezioni, che propone reali sbocchi lavorativi – anche se poi, e questa è la cosa interessante da esaminare, la coabitazione dei ragazzi evoca meccanismi spettacolari da reality, mentre il serale ha ambizioni da varietà, ospitando comici e cantanti famosi e note attrici. Spesso gli ospiti sono ex allievi della scuola, come per altro (tranne il principe) i giudici o in qualche caso perfino i maestri – in un continuo scambio endogamico che conferma la bontà della scuola come centro di formazione professionale, oltre a ispirare una rassicurante sensazione di siamo-tutti-una-grande-famiglia. Una vera scuola di arti dello spettacolo: che non è poco, in un periodo in cui i reality (vedi l’esecrabile Isola dei famosi) suggeriscono che in una comunità la sola alternativa sia tra litigare o annoiarsi; e più largamente in una temperie culturale in cui sembra che la competenza valga (e sia invocata) in ogni campo tranne che nell’arte.
Questo è il punto, questa secondo me è la grande occasione mancata di Amici: qui non vige il televoto, qui parlano maestri e giudici che sono (o dovrebbero essere) competenti; le occasioni di confronto non mancano. Certo, quando a dover essere giudicati sono una cantante contro un ballerino i criteri di giudizio rischiano di apparire troppo disomogenei, ma tra due che praticano la medesima disciplina è più facile. Sono previste, per esempio, le “comparate”, cioè due cantanti chiamati a interpretare la stessa canzone, o due ballerini la stessa coreografia – in quei casi il paragone immediato dovrebbe favorire l’evidenza di una maggiore o minore bellezza e precisione della prova, o far discutere se conti di più l’estensione vocale o l’emozione interpretativa, la tecnica esemplare o la capacità di intrattenimento. Ci sono per esempio le “barre” che i cantanti rappano sulla medesima cover, e si potrebbero mettere quei versi a disposizione dei giudici perché possano uscire dalla vaghezza valutandone l’originalità metrica, l’adeguatezza tematica (o il paradossale rovesciamento del punto di partenza), la ricchezza o banalità lessicale. In prima serata, sulla tv generalista, si getterebbero le basi, magari rozze, per un vero e proprio giudizio di valore sul bello e sul brutto, fondandosi su criteri ragionevoli e affidandosi al potere verbale di convinzione; una cosa che non si fa più nemmeno sui giornali.
Diavolo d’uno spettacolo
Invece il diavolo dello spettacolo ci mette la coda: Maria De Filippi, ormai vecchia volpe nel gestire conflitti caratteriali (ha alle spalle anni di Uomini e donne, di Tina e Gemma), sa fin dove assecondarli e a che punto indirizzarli verso il grottesco; dirige da consumata regista la competizione tra le squadre. Lascia che si sviluppino vere e proprie caratterizzazioni da commedia dell’arte (Zerbi e Celentano “cattivi”, la Cuccarini “chioccia”, Arisa buffa nel frenetico cambiare umore e look); sorride sorniona se Zerbi chiama la Pettinelli «Peppa Pig» e lei gli risponde con «Ponzio Pelato»; rimbrotta la Celentano se con troppa franchezza dichiara che un’allieva le pare «negata per la danza», fa finta di non sentire se il principe (con la libertà tipica dei nobili di usare le parole della plebe snobbando la pruderie borghese) sostiene che un allievo «Si è fatto il culo» su un certo pezzo; difende gli allievi e li protegge maternamente, ma non interviene su repliche piccate tra maestri e giudici (la Celentano a De Martino «meno male che hai fatto un’altra carriera» e lui, perfido, «è una cosa che ci lega»); volano i «sei in malafede», i «ci sono persone raffinate e altre meno», gli «è una questione di stile, che tu non hai»; poi tarallucci e vino, bacini e dita a cuore. Tutto si riduce, alla fine, al mi piace-non mi piace, ce l’ha con me, è una strategia, come su un Facebook qualsiasi.
La vittoria del personale
Si agitano questioni importanti (è giusto illudere un ragazzo che non ha talento? Si deve incoraggiare la singolarità difficile o la versatilità che apre le porte?) ma in ultima analisi, complici i social, le vicende personali dei ragazzi hanno il sopravvento sulle loro performance artistiche. Più che il risultato formale, conta la storia di chi canta o balla.
Gli eliminati si consolano a vicenda «sei un artista vero», «no, tu lo sei»; succede che qualche coppia formatasi tra i banchi venga separata da un’eliminazione, e la telecamera indugia a lungo sui pianti d’addio; Maria, con una delicatezza che profuma di astuzia, fa il nome dell’eliminato quando i ragazzi sono già rientrati in casa, al riparo dal pubblico in studio ma ben a disposizione di quello davanti ai teleschermi – che si commuove ai «ti amo» e ai «mi sento morire dentro», e l’innamorato che rimane verrà trattato con benevolenza la settimana successiva.
Probabilmente i più bravi si salvano comunque: che Sangiovanni, per esempio, sia il migliore nello scrivere versi sembra ormai assodato, ma nessuno ci ha spiegato con accuratezza critica il perché (anzi, la Pettinelli ha gridato a Zerbi, che li lodava, «attaccati alle barre», e Zerbi è stato un signore nel non rispondere a che cosa avrebbe dovuto attaccarsi lei). Peccato.
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