Alfonso Ventrucci insegnava Lingua e letteratura classica in un prestigioso ateneo della capitale, e da tutti era ritenuto un valido insegnante nonché una delle colonne portanti della facoltà. Divorziato da qualche tempo, conobbe sui social network Mariastella, una ragazzina con la quale molto presto avviò una relazione d’amour fou.

Non vivevano nella stessa città, dunque la distanza ammantava i loro messaggi di una disperazione ottocentesca, quando i pixel erano sostituiti dalla ceralacca. Riuscivano a vedersi soprattutto nei weekend, in territorio neutro, una città che non era né quella di Alfonso né quella di Mariastella.

La città veniva scelta insieme – era il loro divertimento preferito durante la settimana – e poi iniziava un logorante quando ardente conto alla rovescia per godere dell’incontro pattuito. Cremona, Bergamo, Venezia, Lucca, Ferrara. Giocavano agli esploratori, tra un verso di Alceo e un bacio sfrenato al chiaro di luna. E si promisero amore eterno, non sapendo (Alfonso non volendolo sapere di proposito, Mariastella ignorandolo in buona fede) che l’amore ha un valore diverso per ciascuno, e la sua profondità è una risultante di molte variabili, tra cui carattere ed esperienze.

Occhi dolci

Alfonso diceva ti amo e si legava, Mariastella diceva ti amo fino al batticuore successivo. La differenza di peso tra i due «ti amo» venne alla luce in un giro fiorentino, città in cui si erano ritrovati per un convegno di lui sul «Mito del mito, come i moderni hanno cominciato a mitizzare gli antichi».

La tavola rotonda fu un vero supplizio per Alfonso, perché Mariastella in prima fila con vestitino corto non la smise neanche un secondo di fare gli occhi dolci a un giovane dottorando che, tra i vari relatori, risultò perfino essere il più brillante. Alla fine del convegno, sul lungarno, la resa dei conti non tardò ad arrivare.

Alfonso si lamentò delle moine di Mariastella, Mariastella si scocciò di essere oppressa e privata della sua libertà. Quella sera dormirono nello stesso albergo, ma in camere diverse, e lei all’alba strascicò il suo trolley fino alla stazione di Santa Maria Novella e prese il primo treno che l’avrebbe riportata verso casa.

Screenshot

Seguirono giorni di silenzio greve, che equivalsero ad altrettanti richiami, bronci e rimbrotti lasciati così, in sospeso, mugugni muti. Poi la svolta: Alfonso preso da una nostalgia lancinante chiamò Mariastella e scoprì che lei aveva bloccato il suo numero di telefono. Allora le scrisse subito un messaggio diretto sui social network, in fondo si erano conosciuti così. Lei rispose sùbito, ma con un tono scocciato, come se non potesse fare diversamente.

A quanto pare ciò che per Alfonso era stata una lite di gelosia – e cioè massimamente amorosa –  per Mariastella era stato un commiato. Lui offeso la mandò a quel paese, ma già due o tre giorni dopo tornava a scriverle.

«Ci siamo detti ti amo per un anno e mezzo, e vuoi dirmi che per te tutto è finito per una sfuriata di gelosia?», chiedeva incredulo lui.

E qui ci fu un piccolo colpo di scena, perché lei disse di aver ricevuto uno screenshot di una sua conversazione pepata con una sua ex studentessa. Alfonso non ci capiva più nulla, la situazione di partenza si era come ribaltata. Adesso era Mariastella gelosa e furibonda, e lui non sapeva come avrebbe potuto farsi perdonare e recuperare un briciolo di credibilità. Le propose viaggi a Bologna, Asti, Viareggio, Trani, Caserta, ma furono tutti rifiutati. Maledetti social network, che facevano allacciare relazioni improbabili e volatili!

Un abbandono virtuale

Alfonso cercò di darci un taglio e riprendere il controllo, come se quelle cose in fondo non lo riguardassero, come se anche i suoi ripetuti «ti amo» a Mariastella fossero stati della stessa sostanza impalpabile della virtualità, una gelatina simile a quella con cui si impiastricciava le mani il suo nipotino: impossibile farle prendere una forma stabile e definitiva.

Per qualche tempo andò all’università, tenne le sue lezioni su «Erodoto e le guerre persiane», solo di tanto in tanto cedendo al pensiero che le schermaglie d’amore contemporanee fossero molto più truculente di quegli antichi e sanguinari conflitti.

Quando sembrava tutto rientrato nella norma di una routine accettabile, Alfonso scoprì di essere stato bloccato da Mariastella su tutti i social network. Così, di colpo, senza un preavviso o una giustificazione. Se l’abbandono reale da parte di Mariastella era stato sopportabile, quello virtuale invece si rivelò insostenibile.

Orbiting

Al professore sembrò di sentire un’umiliazione mai provata prima, e arrivò a contattare una sua ex studentessa (chiaramente non una di quelle con cui gli era capitato di fare sexting!) perché controllasse al posto suo le attività social di Mariastella.

«Si chiama orbiting» le spiegò l’ex studentessa, più annoiata che sorpresa. «Significa orbitare attorno a qualcosa. Si tratta di una tattica amorosa basata sull’ambiguità e sull’assenza di una comunicazione diretta nella coppia».

Così Alfonso cominciò a ricevere dei report quotidiani, corredati da foto, sull’attività di Mariastella, che ben presto divennero una sorta di bizzarro golem sostitutivo del rapporto, dal quale il professore era pienamente convinto di desumere la vita del suo ex amore, se era felice o triste, con chi faceva gli aperitivi e ogni quanto andava in palestra. Fino al giorno in cui Mariastella pubblicò una foto con una citazione tratta dall’Antigone di Sofocle: «La voglia di baciarti, in qualsiasi situazione, in qualsiasi posto (…) È estenuante. Sfiancante. Mi divora».

«Chi è?»

Per Alfonso non c’era dubbio che quel contenuto era rivolto a lui, nessuna incertezza al riguardo! Esaminò la citazione a lungo, rileggendo la tragedia di Antigone e mettendola in rapporto a tutta la produzione del drammaturgo greco, e da lì andando a riesaminare le linee portanti dell’intero teatro classico.

Nella mente di Alfonso ogni notte si ripeteva la stessa ossessiva analisi testuale: «Una voglia può divorare soltanto se è impossibile appagarla, quindi il messaggio non può essere rivolto a un amante concreto, ma solo a qualcuno che c’è stato e ora non c’è più, cioè proprio uno come me!».

Alfonso prese coraggio e raggiunse la città dove Mariastella viveva. Sapeva l’indirizzo della sua abitazione, così scese dal taxi e suonò il campanello. Dal balcone si sporse il giovane dottorando del convegno fiorentino chiedendo: «Chi è?».

Alfonso capì al volo e scappò prima di essere riconosciuto.

Sopravvalutata

Parecchio tempo dopo – ma le storie nate e morte sui social sono vischiose come carta moschicida – a un dibattito pubblico sulla grande tragedia greca, alla fine della sua prolusione, qualcuno dal pubblico volle sapere la sua opinione sull’Antigone. All’esimio professore Alfonso Ventrucci si annebbiò la vista per una frazione di secondo.

Si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte. Cercò di tenersi in piedi nonostante le gambe gli tremassero. Tirò un paio di colpi di tosse per schiarirsi la voce che giocava a nascondino dentro la sua gola. «Antigone è l’opera più sopravvalutata della letteratura mondiale,» sbraitò, creando grande stupore e sdegno e delusione. «Sofocle è un testa di cazzo».

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