Nel corso di questa intervista ho chiesto a Bjork Ruggeri se un futuro per sé riesca a vederlo, se sia capace di scorgersi a cinquant’anni. La sua risposta istintiva è stata una risata priva di allegria, che ho interpretato come un no e che mi ha colpito per due motivi: anch’io un futuro non riesco a immaginarlo e qualcosa di simile mi è stato detto in altre interviste. A farlo sono stati scrittori e scrittrici miei coetanei, secondo cui la nostra generazione un avvenire non può permetterselo.

Nati sotto il segno della crisi – economica, lavorativa, ambientale e politica – siamo sempre meno convinti che tra trent’anni vivremo tra macchine volanti e robot servizievoli; cosa di cui erano certi quelli delle generazioni precedenti alla nostra. Il mondo del futuro lo vediamo avvolto dalle catastrofi climatiche. E non perché siamo disfattisti, ma perché così dice la scienza.

Sono molti gli attivisti che negli ultimi anni stanno manifestando per ottenere dai governi degli sforzi per contrastare la crisi climatica, e da due settimane si sta molto parlando di Ultima Generazione, i cui attivisti – tutti sotto i trent’anni – giorni fa, hanno imbrattato i muri del Senato. Bjork Ruggeri era tra loro.

Bjork. Chi sei?

Una ragazza come tante, credo. Ho vent’anni, e vivo a Pavia.

Lavori o studi?

Studio. L’anno scorso ero iscritta alla facoltà di Filosofia ma qualche mese fa ho deciso di cambiare indirizzo e riprenderò gli studi l’anno prossimo. Per ora vorrei concentrarmi su quello che faccio con Ultima Generazione.

Perché?

Perché altrimenti ho l’impressione di non fare abbastanza. E visto che si tratta di qualcosa di molto importante, che ha a che fare con il futuro di ogni persona sulla terra, trovo giusto fare tutto il possibile.

Come hai scoperto Ultima Generazione?

Prima facevo parte di Fridays for Future, sono un’attivista già da tanto tempo. A gennaio 2022 poi ho partecipato a una presentazione di Ultima Generazione che mi ha colpita, e ho deciso di farne parte.

L’imbrattamento del Senato non è stata la tua prima azione, quindi.

No, prendo parte alle azioni da maggio. Ho partecipato ai blocchi stradali, alle azioni nei musei – come quello al Bonaparte di Roma.

A proposito dell’azione del 2 gennaio. Il reato che vi viene contestato non è di imbrattamento, ma di danneggiamento – sebbene la vernice che avete usato sia stata lavata con dell’acqua dopo poche ore. Come te lo spieghi?

Non sono un avvocato, e non mi sento di entrare in modo specifico nel merito della questione, però per certi versi è strano. Il danneggiamento è un reato più grave dell’imbrattamento: la sensazione che abbiamo è che ci sia l’intenzione di punirci in modo duro, aspro. La repressione, in fondo, sta aumentando, pure tanto. Parrebbe ci sia la voglia di intimorirci così da farci desistere, in futuro. La Digos spesso ci pedina anche fuori dai periodi di azione, quando andiamo in giro per conto nostro - non succede a tutti, ma a quelli più conosciuti sì. A molti di noi, poi, sono anche arrivati degli avvisi.

Di che si tratta?

Ci arrivano da parte della questura, sono una sorta di monito, come a dire: stai esagerando, se continui così potrebbero esserci ripercussioni. A me è arrivato a novembre, in quel periodo sono stati mandati a tanti di noi.

Credi che il tentativo di reprimere le vostre azioni si stia intensificando?

Sì e per noi è chiaro. Basta pensare a Simone Ficicchia – anche lui attivista di Ultima Generazione, anche lui ha partecipato all’azione di fronte al Senato – che il 10 gennaio ha avuto l’udienza per la richiesta della procura di Pavia di applicare le misure di sorveglianza speciale previste dal codice antimafia. Ecco, non ti sembra sia troppo?

Pensi dipenda dall’insediamento del nuovo governo?

No, sono più portata a credere che sia dovuto all’aumentare delle azioni e dei ragazzi coinvolti - siamo sempre di più. Nei programmi politici degli altri partiti la questione ambientale non era al primo posto: avremmo dato fastidio ugualmente.

Le azioni che fate sono mirate a mettere al centro del discorso pubblico, della politica, qualcosa che ha a che fare con il futuro dell’intero pianeta. In qualche modo, voi vorreste salvarci, in effetti. Quando ricevi risposte del genere, tanto violente e nient’affatto inclini all’ascolto, come ti senti? E, soprattutto, come te le spieghi?

Semplicemente, trovo assurdo che azioni dimostrative non violente – e questo ci tengo a sottolinearlo: le nostre azioni sono sempre, sempre, non violente – preoccupino più della questione in sé. Non capisco come non sia ovvio che il pericolo di morte in cui già viviamo debba essere messo al centro del discorso pubblico. E d’altra parte, è da tantissimi anni che gli scienziati ci mettono in guardia sui pericoli dei cambiamenti climatici. Il punto è che viviamo in una campana di vetro, e che media e governi hanno trattato per molto - anzi troppo - tempo la questione in modo superficiale. E poi è anche difficile processare il concetto, credo. Un futuro invivibile, con milioni di morti e sfollati e grandi catastrofi ambientali, per molti è difficile da immaginare. Però ormai i disastri li abbiamo sotto gli occhi, basta pensare a quello che è successo a Ischia, nelle Marche. Sono conseguenze della crisi climatica, quelle.

Pensi che in questi anni ci sia stata una maggiore presa di coscienza?

Sì, e me accorgo anche dai commenti sui social. Le persone spesso non sono d’accordo con i nostri metodi ma chiedono alla politica un maggior ascolto.

A chi dice che i vostri metodi sono sbagliati cosa vuoi rispondere?

Non pretendiamo che tutti si mobilitino, che blocchino le strade e il traffico o che comunque facciano delle azioni come noi. Però è fondamentale che venga fatto qualcosa, che la gente capisca che la situazione in cui versiamo è critica. E se solo così riusciamo ad attirare l’attenzione della politica, dei media, della gente comune, non vedo quali altre opzioni ci siano. La disobbedienza civile, nel corso della storia, ha funzionato spesso. Oggi giustamente elogiamo delle persone e delle azioni che nella loro epoca sono state aspramente contestate, o represse. Credo che in futuro accadrà lo stesso con noi.

Ai negazionisti del cambiamento climatico, invece, cosa vorresti dire?

Di certo non mi sento di incolparli. Il negazionismo può essere dovuto al fatto che la crisi climatica per parecchi anni non è stata raccontata in modo corretto. Direi loro d’informarsi tramite fonti attendibili. Noi non facciamo che ripetere ciò che dice l’Onu, in fondo, e credere che le loro siano bugie significa essere disconnessi dalla realtà.

Non ti sento arrabbiata, però. O sbaglio?

Sono molto arrabbiata, non fraintendermi, ma il canale del dialogo dev’essere sempre aperto. I conflitti possono pure innescarsi, credo che per certi versi sia anche salutare, ma alla fine ciò che importa è che un giorno saremo capaci di sederci, assieme, e affrontare la questione. Parlando - dialogando, appunto.

Qual è il sentimento prevalente in te - rabbia, paura, tristezza?

Paura. Siamo in una situazione critica. E poi onestamente provo anche molta frustrazione. Scandalizzarsi per un vetro sporco significa non ascoltare quello che cerchiamo di dire da anni.

Si è parlato spesso di ecoansia. Ce l’hai?

(Ride, ndr) Sì, abbastanza.

Domanda stupida, scusa.

Be’, non farei quello che faccio se non fossi terribilmente preoccupata.

I tuoi ti sostengono?

Vivo con mia madre, posso confrontarmi con lei ed è preoccupata per me. Ma lo capisco: un’altra delle conseguenze di ciò che faccio è questa, il dover dare un ulteriore peso alla mia famiglia - utilizzo questa parola solo perché a conti fatti è fonte di preoccupazione. Mia madre però è cosciente della gravità della situazione, intendo quella climatica, e per questo non mi impedisce di fare ciò che faccio.

Riesci a immaginarlo, il tuo futuro? Come ti vedi tra trent’anni?

Aiuto! Sinceramente non lo so, per adesso è difficile immaginare qualcosa del genere. Lo scenario che ci si apre davanti è troppo complesso e, per certi versi, nero. Nutro comunque la speranza che le cose cambieranno, e che un futuro io e quelli della mia generazione l’avremo.

Ti va di raccontarmi com’è andata quel giorno davanti al Senato?

È stata un’azione particolarmente ansiogena. Era un palazzo del potere quello con cui avevamo a che fare: le conseguenze ci spaventavano, e non poco. In questi ultimi mesi, però, abbiamo visto un cambio di rotta, come dicevo prima - sia nei commenti online sotto i post che ci riguardavano, sia nell’aumentare delle persone che si aggiungono pian piano a Ultima Generazione, sia anche nel modo di gran parte dei giornali di parlare di noi. Ci siamo detti che forse, forse, qualcosa sta cambiando finalmente e che non è il momento di avere paura. Così abbiamo agito. Non ci aspettavamo neanche di riuscire a farlo, in realtà - eravamo convinti che la polizia ci avrebbe bloccati prima. Da un punto di vista pratico è stato semplice: nei giorni precedenti abbiamo reperito il materiale - vernice rigorosamente lavabile con acqua -, ci siamo incontrati a Roma e quella mattina abbiamo agito. Niente di eccezionale.

Quanti eravate?

Cinque. Le tre persone che hanno imbrattato i muri, e poi io e un’altra ragazza con dei ruoli di supporto.

Hai avuto paura?

Ero nervosa. E sì, anche spaventata dalle conseguenze. Sentivo però di essere nel giusto, e questo per me è tutto ciò che conta.

Lo rifaresti?

Sì. Come dicevo, so di essere nel giusto.

C’è qualcosa che vorresti dire alla classe dirigente?

Di prendere sul serio la questione climatica. Di smettere di fare quello che è certo e provato ci stia portando al collasso. L’Onu ha detto che continuare a investire nei fossili è una follia, università prestigiose che in Italia utilizzare per la maggiore fonti di energia rinnovabile è possibile. Dunque cosa stiamo aspettando, di toccare il fondo? Be’, il fondo potrebbe essere già questo in cui viviamo. Il tempo sta scadendo.

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