«Il Faust, per esempio, che cos’è? Una tragedia, come descrive il suo autore? Una grande narrazione filosofica? Una raccolta di intuizioni liriche? Chissà.» scrive l’italianista Franco Moretti nell’introduzione del suo saggio Opere mondo. Faust, Ulisse, La terra desolata, Moby Dick, e altri ancora, sono testi che l’occidente ha erto a monumenti ma che sono impossibili da classificare, se non come anomalie.

Ma troppe anomalie, si sa, rivelano che forse il problema sta nella tassonomia, più che nell’opera in sé. E dunque, tutti questi testi strani, singolari, sacri, Moretti li raccoglie in un unico grande campo, l’epica moderna, le opere mondo, appunto. «A chi mi chiedeva di spiegare in poche parole le caratteristiche di un’opera mondo, mi trovavo a rispondere, con esasperazione crescente: “semplice: è molto lunga, e molto noiosa”».

Che sia molto lungo, B. Una vita troppo, il grande libro di 700 pagine sulla vita di Silvio Berlusconi di Filippo Ceccarelli, per Feltrinelli, autodefinitosi berluscomane, accumulatore seriale di materiale cavalieresco, archivista meticoloso, non si può negare. Sull’essere noioso, invece, tocca dire tutt’altro.

Larger than life 

Forse inserire questo testo nella categoria delle opere mondo, sebbene la presenza del Faust ritorni a più riprese in forma di parallelismo durante la descrizione certosina della vita di B. – per il quale serve solo una lettera, anzi, solo una citazione, «mi consenta» – è un po’ azzardato.

Ma da nativa berlusconica, nata tra Tangentopoli e la strage di Capaci, mi prendo questa responsabilità e vado avanti con il mio volo pindarico, generato dal senso di compiutezza e totalità – epica, appunto, lukacsiana azzarderei – che ho provato nel vedere un pezzo enorme della mia formazione, posso dire, i miei trent’anni di vita, prendere forma attraverso le pagine di un libro.

E dico «libro», genericamente, non a caso. B. non è un saggio politico, ma racconta la storia di tre decenni di politica italiana, di come il privato è diventato pubblico e il pubblico privato, della performance che si è divorata la sostanza, dei sondaggi che fagocitano i fatti, e di molto altro ancora.

Non è un romanzo, anche se la materia narrativa di cui dispone Ceccarelli è talmente variegata e surreale che sembra frutto della fantasia di sceneggiatori del calibro di Sonego. Non è una cronistoria, anche se rimette in fila tutti i fatti, dettaglio dopo dettaglio, da Milano 2 negli anni Settanta all’ultima passeggiata a Milano 2 nel 2023, alfa e omega della vita di B., non è un poema, anche se dentro ci sono le composizioni di Sandro Bondi e le canzoni composte con Apicella.

È un racconto larger than life, come il suo protagonista, un personaggio che ha plasmato il mondo attorno a sé a sua immagine e somiglianza, creando un berlusconiverse fatto di volti, suoni, colori – l’azzurro del cielo e della libertà, nonché dei suoi studi televisivi e della nave Azzurra con cui salpò per la campagna elettorale del 2000 – e, soprattutto, di risate, isteriche, dissacranti o catartiche che siano.

Rincorrere l’eternità

Ma B., oltre a far molto ridere, punzecchiando il senso di colpa, nella consapevolezza che questa grande storia, di fatto, è anche la nostra storia, con ciò che di più disastroso ne consegue, commuove tragicomicamente, come tutto ciò che riguarda Berlusconi nel particolare, e il nostro paese in generale: B. iponimo di Italia.

E non parlo di lacrime nostalgiche, sebbene a vedere la situazione attuale un po’ di rimpianti vengono a galla, anche solo per l’entusiasmo che la fabbrica del berlusconismo generava soprattutto in forma oppositiva e differenziale, antiberlusconismi militanti, No B. Day, travaglismi, girotondi e tutto il resto. B., infatti, è un libro sulla vita e sulla morte, sulla rincorsa forsennata dell’eternità, sul desiderio ancestrale di lasciare un pezzo di sé su questo pianeta, una volta abbandonata la vita terrena.

Che sia una piramide o un affresco, un universo televisivo, un quartiere residenziale, una collezione di ville, un vulcano artificiale, un’eredità politica e spirituale, un sorriso che ci rimane stampato in faccia dopo l’ennesima barzelletta sconcia o un ghigno di disprezzo dopo una gaffe internazionale, tutto nella vita di B. è la sublimazione del complesso della mummia.

Le stagioni 

Così, Ceccarelli divide questa grande storia umana, decisamente troppo umana, in quattro stagioni. Come in un sogno botticelliano, B. ha vissuto tutta la sua esistenza nella prorompenza di una primavera forzata, nell’estasi estetica di fiori, nudità, corse spensierate e giovinezza perenne, satiri e ninfe, dolci canti e chi vuol essere lieto sia. E però, questo lo sappiamo noi spettatori, e lo sapeva anche B., nonostante provasse a far finta che non fosse così, non può esserci primavera senza estate, autunno e inverno.

Nelle quattro stagioni di Ceccarelli, che quasi scalzano quelle di Vivaldi per varietà e stupore, si condensano decenni di straordinaria follia, una follia grottesca, comica, leziosa e megalomane che sta tutta nei dettagli, dove del resto, sta anche il diavolo – il Faust che ritorna.

Dal frasario berlusconico, «Il presidente puttaniere», le cene eleganti, il ciarpame senza pudore, il ruolo di kapò, l’orchidea, la scuola di veline, il pullman di troie, il postribolo televisivo, il patto con gli italiani, la discesa in campo, le dolcissime lettere, al bestiario berlusconico, la nipote di Mubarak, la figlia dell’autista di Craxi, Emilio Fede, Lele Mora, Gianfranco Fini «Che fai, mi cacci?», lo spin doctor ex Pci Luigi Crespi, Dell’Utri, Santanchè la pitonessa, il cerchio magico delle motocicliste Pascale Rossi, Alfano, fino al bestiario vero e proprio, Dudù, Dudina, gli animali di Don Verzè, l’operazione scoiattolo.

E poi, i luoghi mitologici di questa epopea moderna, Villa La Certosa, Arcore, Palazzo Grazioli e i suoi passaggi segreti, il duomo di Milano, seppur in forma ridimensionata, che gli rompe il naso.

Un mosaico infinito di dettagli: pixel microscopici e apparentemente trascurabili compongono il ritratto di B., che forse non sarà il protagonista di un’opera mondo, ma di uno spettacolo mondo sì, in costante performance, anche da morto, quando viene appiccicato sui manifesti elettorali di Forza Italia accanto a Tajani, per la campagna elettorale delle europee.

Un carosello che non finisce mai, uno spot pubblicitario dove si reclama tutto, dalle conquiste politiche mai davvero messe in atto, alla propria bontà e generosità, dalla persecuzione ingiusta alla grande impresa del Milan, B. è, fino in fondo, il maestro delle parole. Del resto, come diceva il Faust in uno dei suoi grandi monologhi: «Im Anfang war die Tat», in principio era la parola, ed è la base su cui Goethe pone il suo poema, la sua opera mondo.


Mercoledì 28 Alice Valeria Oliveri dialoga con Filippo Ceccarelli su B. a Milano alle 18,30 Libreria Feltrinelli viale Sabotino 28

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