Da sempre l’immagine in movimento provoca fascinazione e inquietudini. Il suo potere di suggestione è stato, fin dalle origini del cinema, enorme: inducendo usi politici, artistici, commerciali altrettanto, se non più estesi di quelli della fotografia e dei testi letterari. Scontri, censure, limitazioni, eliminazioni di documentarie, performances, inchieste, sono consustanziali alla storia della cinematografia. La voce di Wikipedia che censisce le pellicole distrutte, nascoste, smarrite o non reperibili conta a oggi quasi quattrocento titoli.

Il buon costume

La difesa della morale; la svalutazione delle istituzioni, delle Chiese, delle religioni; offese e crudeltà nei riguardi della dignità nazionale, della persona e degli animali; potenziali turbative dell’ordine pubblico e dei rapporti diplomatici internazionali: queste sono state le ragioni più spesso invocate per giustificare, in tutto il mondo, limitazioni della libertà di scelta e di giudizio degli spettatori adulti. Commissioni hanno ricevuto dagli stati il compito di infliggere divieti di pubblicazione, tagli o modifiche.

In Italia, dal 1914 questi compiti sono stati svolti da una commissione di funzionari e commissari istituita presso la direzione generale di Pubblica sicurezza. Le procedure di sorveglianza hanno subìto poche modifiche durante il ventennio fascista: segno del fatto che la loro struttura era già confacente alle necessità di uno stato totalitario. Si è dovuto attendere il 1962 perché il primo governo di centrosinistra circoscrivesse l’azione censoria ai film in cui si ravvisasse offesa al cosiddetto buon costume.

Accanto a magistrati e giuristi, le nuove commissioni includevano rappresentanti delle imprese cinematografiche, pedagogisti, psicologi. La tregua di fine Novecento, succeduta all’aspra attività censoria degli anni Sessanta e Settanta, fu principalmente dovuta al crollo del mercato cinematografico nazionale seguito al proliferare di emittenti private fondate su logiche pubblicitarie di massimo ascolto. Le commissioni di revisione cinematografica italiane sono state abolite con un provvedimento del ministero della Cultura del 2021.

L’intreccio profondo tra aspirazioni di modernità e conservatorismo culturale che ha pervaso l’Italia del «miracolo economico» ha fatto da sfondo non solo alle delibere ufficiali delle commissioni governative di censura, ma anche a tutto un corollario di suggerimenti riservati, pressioni informali, velate minacce volte a dissuadere i cineasti più ostinati, alludendo a possibili attriti o a veri e propri ostracismi.

Pasolini censurato

©Publifoto/Lapresse 5-03-1963 Roma Italia Processo per l'episodio La Ricotta del film Rogopag sequestrato per vilipendio alla religione di stato Nella foto Pier Paolo Pasolini in aula mentre viene interrogato

Un’ampia varietà di proibizioni si è così abbattuta anche su diverse pellicole di Pier Paolo Pasolini. Colpì Mamma Roma (1962), La ricotta (1963), Teorema (1968), Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e infine Salò o le 120 giornate di Sodoma, la cui domanda di revisione fu presentata dal produttore Alberto Grimaldi il 31 ottobre 1975: due giorni prima dell’omicidio del regista.

Ambientata nel periodo della Repubblica sociale italiana, la pellicola vede in azione quattro notabili fascisti, tra cui un ecclesiastico, che in collaborazione con truppe tedesche organizzano rastrellamenti di ragazze e ragazzi da rinchiudere in una villa, per infliggere loro violenze sessuali. «La vicenda […] si compone di tre blocchi che richiamano alla mente tre gironi dell’Inferno dantesco» si legge nella domanda di revisione presentata a fine ottobre 1975 da Grimaldi; «e infatti i misfatti compiuti trovano la spiegazione sia nella psicopatologia dei protagonisti, sia in quel dato momento storico che poteva consentire a chi deteneva il potere qualsiasi efferatezza».

Nei primi giorni di novembre, immediatamente dopo il sanguinoso assassinio del regista, i membri della commissione di revisione ministeriale di primo grado visionarono il film e incontrarono il produttore. Sebbene Grimaldi – riportano gli incartamenti – dichiarasse di «essere disposto a eseguire anche dei tagli se la commissione lo ritenesse opportuno», il parere vincolante espresso dai commissari fu, all’unanimità, contrario alla proiezione in pubblico: «rileva[ndo] che il film nella sua tragicità porta sullo schermo immagini così aberranti e ripugnanti di perversioni sessuali che offendono sicuramente il buon costume e come tali sopraffanno la tematica ispiratrice del film sull’anarchia di ogni potere», si legge nella delibera del ministro del Turismo e spettacolo nel quinto governo presieduto da Aldo Moro, il democristiano Adolfo Sarti.

Il destino di Salò

Il mese successivo si riunì la commissione di revisione d’appello, cui la casa di produzione del film rapidamente ricorse. È emblematico che la richiesta dello scaltrito Grimaldi di essere ascoltato dalla commissione d’appello, datata 29 novembre 1975, facesse esplicito riferimento al profilo personale del regista, che pure non era stato apertamente evocato nel testo della delibera di proibizione. «Sulla personalità dell’Autore non ci sembra che possiamo dire molto, essendo essa a tutti nota», si alludeva nel ricorso. «Possiamo solo aggiungere in questa sede che la sua morte ha rivelato fino a che punto la sua notorietà fosse diffusa in tutto il mondo e i giudizi sulla sua opera lo hanno accostato ai più grandi intellettuali del nostro tempo. Nel film “SALÒ” […] il sesso è visto non più come gioia e liberazione ma come pura mercificazione, cioè di corpi ridotti a cose secondo la logica atroce di quel “POTERE” che in questo film è il protagonista assoluto».

L’approccio diretto al tema della personalità e alla morte di Pasolini, ossia a quello che dovette apparire fin da subito come il vero motivo sottaciuto delle posizioni dei censori, contribuì forse ai ripensamenti della commissione d’appello, che a maggioranza deliberò «di non poter condividere il parere della commissione di primo grado, che il film costituisca offesa al buon costume», poiché «il sesso – chiamato a simboleggiare il possesso dispotico, devastatore e distruttore della creatura umana […] – non assume mai nel film il carattere di una intenzionale ed eccitante allusione alla lussuria».

La commissione espresse parere favorevole alla proiezione in pubblico del film per un pubblico adulto; ciò che non risparmiò alla pellicola nuovi problemi giudiziari nel 1976, in seguito alla prima proiezione milanese.

Sono però di particolare interesse le posizioni della minoranza di commissari contrari alla distribuzione del film. L’orientamento sessuale del regista, entrò qui per la prima volta apertamente nel novero delle argomentazioni invocate a favore della proibizione, in un’inestricabile fusione di argomenti estetici, morali, sociologici, politici, psicologici, persino medici e costituzionali.

Disciplinare la cultura

Si legge per esempio nei verbali: «Il prof. Lanzetta motiva il suo dissenso in quanto ritiene che le non poche scene di violenza fisica e morale, di sadismo e di perversione erotica, che fanno parte di un mondo chiuso dell’autore, non costituiscono, così come si afferma nel ricorso, opera d’arte. La Costituzione italiana, inoltre, garantendo la libertà di pensiero e di cultura, non consente l’offesa dei sentimenti del comune vivere morale e, in particolare, quello dei giovani lavoratori e studenti, i quali aspirano alla edificazione di una società nuova, socialmente avanzata e depurata di tutte le contraddizioni psicologiche e deviazioni sessuali, esistenti nell'attuale società».

Per quanto tentino di richiamare o formulare principi universali, pressoché inevitabilmente le procedure istituzionali di disciplinamento dei processi creativi scandagliano gli individui: colui o colei le cui caratteristiche profonde si ritiene di conoscere; da cui si pensa che la creazione promani. A essere chiamata a giudizio non è mai davvero la forma in sé, ma chi convenzionalmente la esprime. Colui che, nel caso di Salò, è fisicamente eliminato quando anche la sua opera rischia l’annientamento: in un tragico miscuglio di destini voluto dalla società che ha espresso entrambi.


Germano Maifreda è autore del libro Immagini contese. Storia politica delle figure dal Rinascimento alla cancel culture, edito da Feltrinelli

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