Questo testo è stato scritto da Chiara Gamberale per il Festival Letterario di Ventotene Gita al faro. Questo racconto è stato pubblicato su FINZIONI – il mensile culturale di Domani. Per leggerlo abbonati a questo link o compra una copia in edicola
Erano partiti da Isernia che ancora era buio, i gemelli dormivano, ma su un tergicristallo avevano lasciato un biglietto: uaglio’, adesso pensate solo a festeggiare e a divertirvi, auguri auguri auguriiiiii. Era un vezzo di Alessio quello di allungare l’ultima lettera delle parole, mentre sicuramente la loro caricatura che accompagnava il biglietto era opera di Mena. Sapeva disegnare talmente bene…Come al solito, quando si trattava del padre, gli disegnava una proboscide al posto del naso, alla madre piazzava in testa un berretto da generale dei carabinieri. In effetti Gino, sotto agli occhi veloci, grigi e azzurri, aveva un naso esagerato, e Carmela soffriva di una certa inclinazione al controllo.
Erano capaci di sorridere dei loro difetti, oramai: quel viaggio gli era stato regalato dai ragazzi per il venticinquesimo anniversario di matrimonio, avevano una trentina di anni quando si erano sposati, ne avevano poco più di venti quando si erano baciati per la prima volta, ne avevano meno di cinque quando si erano conosciuti, Gino era stato in classe con il fratello di Carmela alle elementari, le medie e le superiori.
Si saranno svegliati?- Aveva chiesto lei, quando si erano fatte le
sette, erano a metà strada, avevano appena superato San Vittore.
Mica li vorrai già chiama’?- L’aveva sfottuta Gino.
Non sono mai rimasti completamente soli per tre giorni.- Carmela lo
ripeteva come un mantra da una settimana e aveva già sfilato dalla borsa il cellulare.
Eddai, Carme’. Hanno diciassette anni, è il sei agosto. E poi non sono completamente soli.
Non lo erano mai stati, non lo sarebbero stati mai: al piano di sopra stavano i genitori di Carmela, sul pianerottolo dei genitori di Carmela stava la sorella di Carmela con il marito e i tre figli, a due strade di distanza la madre di Gino che abitava con la famiglia del fratello maggiore di Gino, a tre strade la sorella minore di Gino con il marito e i quattro figli.
Gino aveva acceso l’autoradio, a quell’ora ascoltava sempre la rassegna stampa su Radio Tre, statte buona con quel telefono, raccomandava ogni tanto a Carmela, e intanto erano arrivati a Formia.
Sul traghetto almeno un messaggio ad Alessio – tutto bene?- Carmela l’aveva dovuto mandare, ma appena lui le aveva risposto – tutto okkkkkkkk- si era messa tranquilla. A guardare il mare. A respirare.
Mi pare ieri.- Aveva soffiato a Gino. Forse era vero, forse no, non lo
sapeva, ma le era venuto da dirlo.
Pure a me.- Aveva soffiato lui. Non era vero e lo sapeva, ma gli
piaceva vederla sorridere. Infatti gli aveva sorriso. Carmela, al contrario di Gino, ricordava il matrimonio fino al più insignificante dei dettagli. Il numero degli invitati, il menu, la lista delle canzoni che un cugino di Gino che lavorava a un pianobar di Boiano aveva suonato.
Quanto aveva vomitato tua madre, su ‘sto traghetto.
Gino aveva fatto sì con la testa, naturalmente non si ricordava neanche quello. Aveva solo la sensazione, ripensando a quel giorno, che fosse tutto giusto così. Anzi, di più: che niente sarebbe potuto essere diverso. La Chiesa non poteva che essere Santa Candida, a Ventotene, dove erano partiti per la loro prima vacanza, lui studiava a Bologna e aveva raggiunto Carmela che studiava a Roma. Avevano preso il traghetto da Formia, nemmeno sapevano bene dove fosse, quest’isoletta di cui un compagno d’università aveva parlato a Gino- ci stanno tre case, due ristoranti e solo mare, solo arancione, solo fiori, gli aveva detto- c’hai presente a quel film, Laguna Blue? Ecco. Una volta arrivati, proprio dentro a Laguna Blue si erano sentiti, e avevano lasciato fare tutto all’arancione. Il prete non poteva essere che Don Nicola, era arrivato pure lui da Isernia con tutti i parenti e gli amici, avevano fatto con lui il corso prematrimoniale perché sempre lui li aveva portati alla comunione e alla cresima. Le facce attorno ai tavoli del Calabattaglia non potevano che essere quelle della tribù che li aveva visti crescere e innamorarsi e che aveva tifato ostinatamente per loro, quando avevano finito l’università e invece di rimanersene in una di quelle due grandi, bugiarde città se ne erano tornati a Isernia per fondare l’associazione e aprire un teatro…Fosse anche solo per il teatro, Gino e Carmela non potevano essersi incontrati che per quello: per giurarsi l’eternità.
Arrivati al porto l’arancione li aveva investiti, ma, anziché lasciarlo fare, stavolta Carmela aveva preso subito a elencare che cosa fosse rimasto identico a venticinque anni prima e che cosa invece si fosse trasformato.
Questo bar Aragosta, per esempio, sono sicura che non c’era.
Venticinque anni fa c’eravate?- Aveva chiesto allora Gino a un ragazzo che fumava sulla porta.
Boh. Io sicuro non c’ero, ce n’ho diciannove.
Come ti chiami?
Claudio.
Si erano messi a chiacchierare dello scudetto del Napoli, finché Claudio non gli aveva offerto due ghiaccioli al limone.
Niente e nessuno riusciva a stupire Carmela come Gino: da quando lo osservava giocare nel sottocasa con suo fratello, e poi salire da loro per la merenda, le era sempre sembrato che quel ragazzino avesse qualcosa che nessuno degli altri ragazzini che c’erano a Isernia aveva. Come una luce strana, negli occhi grigi e azzurri e tutt’attorno. Infatti poi, quando se n’era andato a studiare Scienze della Comunicazione a Bologna, la tesi l’aveva discussa con Umberto Eco in persona. E quando avevano messo su il teatro, lei, che aveva studiato Economia, aveva brigato con gli operai per ristrutturarlo e con il commercialista per aprire l’associazione culturale, ma era stato Gino a girare l’Italia in cerca degli spettacoli da portare a Isernia, era lui che si infilava dentro ai camerini, faceva le poste agli attori e ai registi fuori dai ristoranti per rubare un numero di telefono, la possibilità di un contatto, e invitarli a esibirsi da loro. Per via di quella luce strana, ci riusciva sempre.
Prima che nascessero i gemelli, Carmela lo accompagnava…Ma poi, naturalmente, molte cose erano cambiate. Ora che i ragazzi stavano per diventare maggiorenni, però, erano stati proprio loro a obbligare i genitori a concedersi quella piccola avventura.
Dalla camera delle Parracine, la pensione dove erano arrivati con Ugo, il proprietario, che li era venuti a prendere con un pullmino, si vedeva Procida.
Guarda quegli ibiscus…Sembra che parlano da come so’ grandi. Quanto costerà una notte qui? Povero Alessio, avrà buttato tutto lo stipendio…-
Carme’, a parte che Alessio guadagna più di me, ma poi io so’ sicuro
che un aiutino per ‘sto regalo i nonni gliel’hanno dato.- Era in piedi, davanti alla finestra. Beato il mare, si era ritrovato a pensare: non finisce mai.
Mena si sarà sentita umiliata a non poterci mettere niente.
Che c’entra, Alessio gioca a calcio. Mena dovrebbe sentirsi umiliata per la pagella che c’ha, ma non mi sembra così angosciata…
Lo sai com’è fatta. Pare sempre contenta solo perché le cose sue se le tiene per sé. Tant’è che quando la professoressa di Chimica…
Come al solito, si erano messi a parlare dei figli. Il centro dei pensieri di ognuno dei due era lo stesso: Mena, Alessio, il teatro, e così, anche dopo tutti quegli anni, non correvano mai il rischio di rimanere in silenzio.
Mentre scendevano verso Cala Nave non si erano fermati un istante, lungo la scala, per salutare Santo Stefano, l’acqua, la luce, l’aria, la sabbia mora: avevano continuato a parlare di Mena, benedetta ragazza. Poi a Carmela era arrivata la telefonata del maestro di canto dell’associazione che chiedeva un congedo per paternità di un mese e si erano messi a discutere se non fosse troppo lungo. Allora Carmela si era sdraiata sul lettino, avevano preso un ombrellone, siete fortunati perché è rimasto solo questo, aveva detto il bagnino. Gino si era subito buttato a mare.
Lei si era guardata intorno, aveva chiuso gli occhi, aveva respirato, la sabbia era soffice, come venticinque anni prima, era la stessa. Ma Carmela era l’unica di tutta la spiaggia a non essersi messa in costume, continuava a tenersi addosso una specie di palandrana verde acqua. Aveva compiuto da poco cinquantaquattro anni, non viveva bene quello che stava succedendo al suo corpo, quei gonfiori improvvisi e definitivi dove non se li sarebbe mai aspettati, la pelle che cadeva un po’ qui, un po’ lì, ma era da quando ne aveva almeno quarantadue che comunque era diventata più timida, guardinga nel mostrarsi, perfino nel guardarsi allo specchio. Gino nel frattempo era diventato un puntino minuscolo, laggiù, e stava tornando indietro.
Carmela allora si era messa a immaginare la sera, aveva prenotato proprio da Calabattaglia, chissà se qualcuno li avrebbe riconosciuti.... Il giorno dopo aveva programmato una gita in gommone attorno all’isola e a Santo Stefano, aveva trovato il numero dello skipper su Internet e gli aveva telefonato ad aprile, perché ai primi di agosto c’è sempre talmente tanta pipinara, meglio muoversi con un po’ d’anticipo. Dopo la gita, per l’ultima sera, sarebbero arrivati alla Peschiera, avrebbero aspettato il tramonto al faro e poi avrebbero cenato a un ristorante che si chiamava, appunto, Al Faro, su Tripadvisor dicevano che al momento era un posto allegro, gestito da tutti ragazzi giovani, aveva prenotato un tavolo in faccia al mare, magari avrebbero bevuto un bicchiere, due bicchieri, tre, e chi lo sa che cosa sarebbe potuto succedere, Ventotene è Laguna Blu: a Ventotene tutto può succedere- gliel’aveva detto proprio Gino, in quella prima vacanza, quando dal sottocasa pieno di fratelli e cugini si erano ritrovati di colpo soli e nudi nella stessa camera.
A Ventotene tutto può succedere…
Veloce, il pensiero era scappato di nuovo ai ragazzi, aveva aperto la borsa per prendere il telefono, ha da accendere? Una voce l’aveva interrotta. – No, mi dispiace, non fumo.- Aveva risposto, prima di alzare gli occhi.
Per ritrovarsi di fronte, senza nessuna possibilità di equivoco, lei.
Lei.
L’Attricetta di Milano. Magra e nervosa come quattordici anni prima, come quattordici anni prima con gli occhi lunghi, da bambolina giapponese, il sorriso di chi ha visto tanto e ancora non le basta.
Mi scusi.- Aveva detto lei.
Si figuri.- Aveva risposto Carmela.
In quel momento, Gino era uscito dall’acqua, stava per dire che era meravigliosa, l’acqua, fredda ma non troppo, invece era rimasto fermo, era rimasto muto. L’Attricetta di Milano aveva abbassato gli occhi, aveva masticato una parola che nessuno aveva capito - forse arrivederci?-, poi si era allontanata, Carmela l’aveva seguita con lo sguardo, era corsa da tre amiche che prendevano il sole in topless, le aveva fatte alzare, parlava agitando le mani, un’amica si era portata la mano alla testa come per dire oddio, ed era scoppiata a ridere, anche le altre ridevano, finché pure l’Attricetta di Milano l’aveva fatto- aveva riso. Poi avevano recuperato le loro cose e se n’erano andate. Sempre ridendo e scuotendo la testa. Avranno pure loro cinquant’anni, aveva pensato Carmela. Forse quarantacinque? Ma sembravano delle compagne di classe di Mena.
Gino invece teneva incollato lo sguardo alle ciabatte di gomma di Carmela, non aveva nemmeno preso l’asciugamano. Era rimasto così. Fermo, muto, bagnato.
Pure se so’ le sei fa un caldo…- Aveva detto allora Carmela.
Sì.- Aveva risposto Gino.- Ma l’acqua era stupenda.
Si erano messi allora a parlare di Isernia, dove d’inverno fa davvero freddo, certo, ma d’estate non fa mai davvero caldo- che paradiso, beati a noi, se la voce corresse altro che Ventotene, verrebbero tutti a passa’ agosto lì.
Lentamente erano tornati alla pensione, lui si era fatto una doccia, lei si era buttata a letto e aveva telefonato a Mena, lui era uscito dal bagno, toccava a lei ora farsi la doccia.
Con un’attricetta di Milano, gli aveva sibilato tredici anni prima, mentre preparava la tavola e lui le dava le spalle guardando il telegiornale, quando aveva capito tutto. Vuoi lascia’ i tuoi figli orfani e fa’ veni’ un infarto ai nostri genitori pe’ un’attricetta di Milano? Poi erano arrivati in cucina i bambini, avevano quattro anni, ma Alessio già stava sempre appiccicato al pallone, Mena era già nel suo mondo, preferiva inseguire i gatti piuttosto che giocare con le bambole, Carmela aveva servito la cena ed era cominciata la solita ammuina, Alessio mangia gli spinaci, Mena stai composta. Fino a che Carmela aveva messo a posto e Gino aveva portato a letto i bambini, ma finita la favola si era addormentato pure lui nel letto di Alessio. L’acqua, intanto, nel bagno della stanza 3 delle Parracine, scorreva, no che non erano lacrime quelle, figuriamoci se Carmela stava piangendo: stava solo facendo la doccia. Anche perché ci aveva messo qualche mese, Gino, ma poi era tornato lo stesso, lo stesso del loro primo viaggio- a Ventotene può succedere di tutto…Era tornato lo stesso? Sì. No. Certo che era tornato lo stesso. Comunque, dopo quella sera (vuoi lascia’ i tuoi figli orfani e fa’ veni’ un infarto ai nostri genitori pe’ un’Attricetta di Milano?) non ne avevano mai più parlato.
Da Calabattaglia non avevano riconosciuto nessuno e nessuno li aveva riconosciuti. Gino aveva provato a chiedere del proprietario, ma pure lui era stato evasivo. Un matrimonio? Venticinque anni fa? Chi lo sa, forse. Oramai comunque i matrimoni li facevano tutti in piazza, oppure proprio alle Parracine…
Avevano ordinato lenticchie e un calamaro ripieno da dividersi, nessuno dei due era riuscito a finire quello che aveva nel piatto. Gino continuava a buttare lo sguardo all’entrata del ristorante, mentre ritirava fuori la storia del congedo per paternità- e diamoglielo, dai, vabbuò, è troppo un bravo ‘uaglione. Carmela faceva sì con la testa e pure si girava ogni tanto per controllare l’entrata- ma quelle come l’Attricetta di Milano e le sue amiche mica sono tipe da Calabattaglia, si diceva, quelle come l’Attricetta di Milano e le sue amiche mica sono come noi.
Avevano fatto due passi per il borgo, la luna giocava a nascondino con la roccia, li invitava a partecipare – come succede solo a Ventotene, in certe notti…-, ma loro avevano telefonato in viva voce ad Alessio che era a mangiare una pizza con i compagni di squadra.
Ho la pancia sottosopra.- Aveva detto Carmela, a letto, prima di spegnere la luce.
Pur’io. Mi sa che da Calabattaglia il pesce non è più quello che era.
Già.
Carmela aveva passato la notte al bagno.
Il giorno dopo avevano fatto i bagagli, erano scesi al porto e si erano imbarcati per Formia.
Tanto Ventotene mica scappa.- Aveva detto Gino.
Magari l’anno prossimo ci torniamo coi ragazzi.- Aveva detto
Carmela.
Sì. Così lo capiranno pure loro.
Che a Ventotene tutto può succedere.
Già.
Questo testo è stato scritto da Chiara Gamberale per il Festival Letterario di Ventotene Gita al faro, diretto da Loredana Lipperini, ideato e organizzato da Francesca Mancini, Laura Pesino e Vania Ribeca, promosso dall’ Associazione per Santo Stefano in Ventotene Onlus, in collaborazione con la Libreria Ultima Spiaggia, con il patrocinio del Comune di Ventotene, partner del festival Intesa Sanpaolo. È stato letto venerdì 23 giugno presso la libreria Ultima spiaggia.
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