Marc Marquez aveva vent’anni, la vittoria del primo mondiale in MotoGp lo aveva reso una star e la sua faccia la potevi trovare appiccicata ovunque. Un giorno gli chiesero della fortuna. Se la inseguiva, se la ricercava, che ruolo avesse nella sua storia. Lui sfoggiò il migliore dei sorrisi, quello da joker: «La cerco, credo di sì. Mettendocela tutta. Se ti impegni hai maggiori possibilità di trovarla. Io non mi risparmio».

Dieci anni dopo Marquez è andato a cercare fortuna da un’altra parte. Lasciando la Honda, la scuderia con cui ha vinto tutto e con cui ha infranto i record degli ultimi undici anni. Si erano giurati amore eterno. Ma la fedeltà nello sport, si sa, è come un’estate bellissima: dura finché c’è il sole.

A Faenza, dove ha sede il Team Ducati Gresini, la sua nuova squadra per il 2024, dicono che l’aria si è fatta improvvisamente elettrica. Per i dipendenti l’arrivo di Marquez è come un upgrade, significa oltrepassare un limite perché ora c’è uno che ha vinto otto volte il mondiale, mica una giovane promessa. Nessuno si tiene dalla gioia.

E a riassumerla tutta ci ha pensato Nadia Padovani, la donna coraggiosa che ha preso in mano l’azienda dopo la scomparsa del marito Fausto. «Sì. Direi che quella di Marquez è una cosa molto grande, quella che siamo riusciti a fare. Quasi inimmaginabile. Ci credevo. Ci speravo. Chiaro, non era facile e poteva anche non succedere, eh». Invece è successo.

Reset

Quello di Marquez è in fondo un tópos letterario: il campione in difficoltà, ormai un po’ in là con gli anni (31 il prossimo febbraio), quasi decaduto, che prova a resettare la sua vita ricominciando da un’altra parte. Un luogo piccolo, a portata di cuore.

Il team Gresini è sembrato perfetto per lui. Si dice che nella scelta abbia giocato un ruolo decisivo Alex, il fratello di Marc, arrivato in Gresini proprio la scorsa estate. I due hanno parlato, Alex ha raccontato della tranquillità in casa Gresini, dell’approccio al lavoro, del modo che hanno i romagnoli di stare uniti.

«Marc è il mio mentore», aveva sempre detto l’altro Marquez. Ma una volta tanto i ruoli si sono invertiti. Nemmeno i soldi sono diventati un argomento di discussione (Marc prendeva in Honda 25 milioni di euro).

Lo sa anche Nadia: «Noi siamo un team, una famiglia, come abbiamo accolto Alex faremo anche con Marc. Penso che Alex gli abbia raccontato com’è l’atmosfera nella nostra squadra, che qui si sta bene. Gli daremo quello che possiamo».

Ma la questione di Marquez non può essere la quiete. Vincere così tante volte il mondiale ti porta a cannibalizzare tutto. E per un campione smettere di vincere equivale a sentire dolore. «Io voglio vincere e divertirmi, e con questa moto negli ultimi tempi non è possibile nessuna delle due cose», ha ribadito Marquez proprio nelle ultime ore.

Mentre lo diceva, prima delle prove al Gp d’Indonesia, aveva seduti vicino a sé Pecco Bagnaia e Jorge Martin, i due piloti divisi da 3 punti che in queste ultime sei gare si giocheranno il titolo. Uno specchio, per Marquez.

In cui riflettere la propria immagine di pilota finito ai margini del circuito, incapace di vincere come un faceva un tempo, frustrato dall’impossibilità di prendersi la scena. Uno specchio in cui osservare la velocità di una moto dominante: la Ducati. La casa di Borgo Panigale negli ultimi anni ha spezzato l’egemonia facendo esplodere un altro universo, con lune e satelliti come Pramac e Gresini.

Il seme

Da ragazzo ripeteva che solo una cosa trovava veramente insopportabile: «Non vincere, quella è la cosa che mi fa arrabbiare». Il fallimento lo ha scoperto tardi. A 7 anni già conquistava il campionato catalano di enduro; a 10 il suo primo titolo su squadra, il Champion Open Race 50, prima di passare alla classe 125 e spiccare il volo.

Intanto Juliá e Roser, i suoi genitori, continuavano a sorridergli, come quando a 4 anni Marc si presentò da loro per chiedergli la prima motoretta. All’improvviso però nella sua marcia trionfale qualcosa si è inceppato: Marquez non ha vinto più. O non come era abituato a fare.

È stato l’infortunio al braccio del 2020, alla prima gara della stagione, a Jerez, a compiere il ribaltamento. E poi la diplopia, le riabilitazioni, le insicurezze, i dubbi. Tutto ha contribuito alla parabola discendente di Marc.

Un anno perso, poi due, poi questo, stagioni trascorse a inseguire l’ombra del pilota che fu: «La mia intenzione è di tornare ad essere il Marc che ero prima. Mi è chiaro che finché sono fisicamente in forma posso essere di nuovo quel pilota. Non so se sarà sufficiente per vincere titoli o no. Per lottare però penso di sì. Ora il mio fisico mi permette di andare in moto, ma non posso fare magie».

A un certo punto la Honda non è sembrata più in grado di offrire a Marquez una moto competitiva, all’altezza dei suoi sogni. Così anche la questione del fisico è passata in secondo piano. Soprattutto quando Marc è riuscito ad accendere una scintilla di speranza con un podio o una gara quantomeno decente per i suoi standard.

Ancora ad agosto lo spagnolo lanciava invettive alla casa giapponese: «La situazione è critica. Ma stiamo lavorando e investendo. Mi sono fratturato tre ossa, ho rotto un legamento e quindi non è difficile capire che è obbligatorio cambiare il mio approccio alle gare». Deve essere cominciata lì la sua rivoluzione, un seme dentro la testa che è cresciuto al punto da fargli decidere di cambiare.

Una nuova storia

Dal 2008 a oggi, Marquez ha corso il mondiale ben 16 volte (comprese le altre classi). Mettendo assieme 85 vittorie, 59 solo nella MotoGp. Però l’ultimo trionfo risale a Misano, quasi due anni fa, e questo rende l’ultima parte della carriera una specie di calvario.

«Non sogno le vittorie – ha detto una volta –, sogno di guidare senza dolore». Sopportazione. Non ci può essere un’altra strada per lui. Nella vita di Marquez non c’è mai stato un piano B. «Avrei fatto il meccanico, comunque avrei lavorato nel mondo delle moto. Non credo che avrei fatto l’università. Mi piace la matematica, che è immediata. Non devi studiare a lungo come con la storia o la letteratura».

Un mondo fatto di cifre, di millesimi da limare. Ed è quello che Marquez rivede alla Ducati. La Gresini è poi una squadra che ha già lanciato stelle e talenti, rispolverare il vecchio campione è perciò impresa possibile. Il viaggio a ritroso di Marquez, verso il suo essere, il vero sé, comincia dunque da qui.

La Ducati è lo strumento a cui lo spagnolo vuole affidare la sua rinascita. Ogni grande romanzo contempla un oggetto del desiderio: che sia una principessa o la moto più veloce della galassia non fa nessuna differenza. Purché permetta all’eroe di compiere la sua trasformazione.

«Per ora la mia ragazza mi aspetta al box: è la Honda RC213V. Siamo praticamente inseparabili». Questo lo diceva nel 2018. Ma anche le grandi storie finiscono. Fiammante, bella e possibile, così veloce, più che irresistibile: la Ducati ha fatto irruzione nel cuore di Marquez. Amore e gomme hard. Tra speranza e resurrezione, tra bisogno di novità e qualche certezza. È così che Marquez ha deciso di ricominciare.

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