Morta poco più di un anno fa, Pontecorvo è stata un’eccezionale educatrice e studiosa dei processi educativi, ma è stata soprattutto una figura capace di mettere insieme comunità e spiriti diversi del mondo della formazione. Un convegno e alcuni libri la ricordano, ma è lei stessa a averci insegnato che non sono anche i libri, ma le relazioni personali, gli incontri, le memorie vive a creare comunità, metodi, ideologie
Clotilde Piperno Pontecorvo, 1936-2022, è stata ricordata a un anno dalla morte nel convegno “Un’idea di educazione. Il contributo di Clotilde Pontecorvo per l’educazione del futuro”. Si è svolto a Roma il 27 novembre 2023, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. Il convegno è stato coordinato da Anna Maria Ajello insieme a Paolo Mazzoli e col supporto di Carla Fermariello, presidente della Commissione scuola del Comune di Roma. Ha poi passato il testimone al Centro Studi Clotilde e Maurizio Pontecorvo per la serata del 6 dicembre e al centro culturale Pitigliani, Centro Ebraico Italiano.
In questa occasione è stato presentato da Cristina Zucchermaglio il testo collettivo Pensare e ricordare insieme Clotilde Pontecorvo (Valore Italiano editore) curato dal Centro Studi. Dalla quarta del libro: «Il libro raccoglie ricordi dei tanti che hanno conosciuto e che hanno collaborato a vario titolo in diversi momenti e luoghi con Clotilde Pontecorvo, professore emerito di Psicologia dell'educazione presso l'Università di Roma “La Sapienza”. Un racconto corale che ripercorre la sua ricca e articolata storia umana e scientifica e che, nel contempo, mostra la vitalità e attualità delle sue linee di pensiero, di ricerca e di azione».
La struttura stessa del testo sottolinea alcuni aspetti fondamentali dell’essere di Pontecorvo nel mondo. Innanzitutto la sua capacità di far incontrare e ibridare diverse prospettive, persone lontane, visioni del mondo apparentemente distanti; e poi l'essere stata una studiosa che ha aperto linee di ricerca e azione innovative sulle pratiche educative, sulle pratiche di socializzazione dei bambini, sulla formazione degli insegnanti, che ha contribuito con un intenso lavoro politico istituzionale a cambiare le scuole e il sistema scolastico italiano.
Pontecorvo ha formato generazioni di studiosi che insegnano in università italiane e estere continuando a diffondere l'originalità del suo pensiero e la produttività delle sue linee di ricerca, le sue battaglie per favorire l'incontro tra disciplinaristi di discipline diverse, i suoi sforzi nel costruire ponti e favorire incontri, il suo sguardo lungimirante sulla scuola e la società che la portavano spesso ad anticipare le questioni piuttosto che a rincorrere i guasti. Il suo lavoro accademico non è stato mai disgiunto dal lavoro sul campo, dalla ricerca di base e dal dialogo continuo con le insegnanti e gli insegnanti.
Ho rappresentato il Movimenti di Cooperazione Educativa (MCE) nel convegno in Campidoglio del 27 novembre: Pontecorvo era molto vicina al MCE che aveva conosciuto tramite Maria Corda Costa negli anni ’60 quando, laureata in filosofia, insegnava in una scuola di avviamento professionale a Mentana, e faceva parte da moltissimi anni del comitato scientifico della rivista Cooperazione Educativa (CE). Nel 2012 la parte tematica del numero 4 della rivista CE era stata dedicata al tema In merito: Clotilde Pontecorvo intitolò il suo pezzo “Merito e motivazione alla competenza”.
Il suo testo affrontava l’idea del merito rispetto a sé stessi cioè all'acquisire competenze per imparare, per sapere e non solo in vista di un voto e di un giudizio altrui. Rilevava, inoltre, quanto questo tema visto in altro modo, come giudizio e pena, abbia un carattere politico. Rispetto al merito scriveva infatti: «Al di là della litania sulla necessità di una società più meritocratica, tipica della destra politica del nostro Paese…». Nella ricerca di un nesso tra merito e motivazione intrinseca, in cui si apprende in vista del gusto di apprendere e dell’acquisire una competenza per sé, scriveva: «La psicologia contemporanea ci ha insegnato che la motivazione più forte che sostiene l’apprendimento non è la ricompensa… bensì il supporto psicologico che deriva dall’essere o dal divenire competenti».
Nel mondo della pedagogia, non sono importanti solo i libri, ma fondamentali gli incontri personali. Nell'articolo infatti Pontecorvo scrive: «Come mi ha insegnato un amico, il giovane ragioniere Roberto Della Rocca…», e poi ancora «come mi hanno segnalato recentemente anche alcune insegnanti di scuola di base di un incontro alla CGIL Scuola», e più avanti «questa acquisizione l'abbiamo ricavata da R.W. White in un importante articolo…», e ancora «un altro buon esempio di motivazione alla competenza che è sostenuta e sollecitata dalla presenza di altri allievi più competenti come ci ha insegnato Vigotskij».
Trovo sia questo un atteggiamento molto femminile di attenzione all'oralità, che non riconosce credito solo alla parola scritta e stampata, ma anche di manifestazione della pratica di quell'ascolto reciproco che riteniamo tanto importante nell'azione educativa. Di questa attenzione ci accorgevamo in molte, sue allieve, amiche, collaboratrici, tanto che Cristina Zucchermaglio scrive: «Ci coinvolgeva, sollecitava il nostro pensiero la nostra curiosità. Ed era genuinamente interessata alle nostre idee, opinioni e perplessità. Un'esperienza completamente diversa e assai più coinvolgente di tutte le altre lezioni».
La pedagogia dell'ascolto è stata elaborata e proposta da Alessandra Ginzburg, psicoanalista e figlia di Natalia, nel Movimento di Cooperazione Educativa in un primo momento negli anni ‘70-80, nel lavoro con le insegnanti della scuola dell'Infanzia. E poi quella modalità di relazione tra insegnanti e allievi ma che dava anche grande importanza alla relazione e al dialogo tra gli allievi, fin da molto piccoli, è arrivata a tutti noi e in tutti i livelli scolastici.
Ebbene, quell'ascolto praticato da Clotilde in tanti contesti di incontro e di scambio, ha fatto sì che poi lei abbia potuto riutilizzare quelle parole che rivivono in una rete di relazioni. Scrive Franca Rossi: «Lei creava contesti di lavoro nei quali si pensava molto insieme. Il pensiero costruito nell'interazione sociale ha rappresentato sì un suo interesse di ricerca, ma anche un modo di vivere la ricerca empirica. Un principio vygotskiano studiato, ma anche agito in prima persona».
Tra i suoi ultimi lavori, a cui molte e molti tra i presenti abbiamo collaborato, c’è la scrittura coordinata da Clotilde con Antonella Fatai e Amelia Stancanelli, del libro del 2016 È tempo di cambiare – Nuove visioni dell’insegnamento/apprendimento nella scuola secondaria. In questo libro i testi sono di docenti universitari e di insegnanti di scuola, perché Clotilde ha sempre sostenuto e incoraggiato la “scuola militante” a confrontarsi con la ricerca educativa, e a non buttare via quel sapere acquisito sul campo perché gli altri non debbano ricominciare sempre daccapo.
Questo ricorda Lucia Marchetti della Società Italiana delle Scienze Umane e Sociali (SISUS) di cui Clotilde è stata presidente onoraria, e che informa della situazione delicata dei Licei economico sociali (LES), che rischia la confluenza nell’opzione «made in Italy». Concepito come “liceo della contemporaneità”, il Les è stato inserito nel panorama dell’offerta formativa nel 2010, e ha introdotto discipline e “buone pratiche” di carattere socio-antropologico, fino ad allora inediti nel repertorio curricolare delle scuole italiane, se non in via sperimentale. Ha avuto una notevole crescita e ha espresso una classe docente di profonda innovazione e capacità di autoformazione per adeguare l’insegnamento alle esigenze della modernità e al legame con i territori. Oggi il futuro del Les non è chiaro.
Altro problema della scuola italiana di oggi è la formazione degli insegnanti secondari: dal 1999 al 2004 Clotilde è stata la prima responsabile per il Lazio della Ssis, la Scuola di specializzazione per l’Insegnamento secondario. La Scuola, che è proseguita fino al 2010, durava due anni e aveva elementi strutturali importanti quali la collaborazione di diverse Università di una Regione e di diverse discipline, corsi di laboratorio e attività guidate di tirocinio, in cui si affrontavano aspetti generali e disciplinari in stretto contatto con docenti universitari e con colleghi di scuola più esperti. Molti di questi aspetti positivi che abbiamo sperimentato per circa dieci anni oggi sono in gran parte negati da una richiesta ai futuri docenti di scuola secondaria di primo e di secondo grado, di seguire 60 Cfu (Crediti formativi universitari) in un tempo assai più ristretto e in una modalità assai meno coordinata e organica.
Oltre alla scuola l’interesse, lo studio e il sostegno di Clotilde, sono stati per associazioni quali i Cemea (Centri d'esercitazione ai metodi dell'educazione attiva,) di cui era presidente onoraria, per diverse associazioni di insegnanti, per le esperienze dei Maestri di Strada e di Chance e non solo.
Sarebbe bello dire che è tutto quello che ha fatto va riscoperto. La verità è che per la maggior parte anche dei docenti e degli educatori va scoperto.
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