Le scene terribili con cui si è conclusa la “democrazia” (le virgolette sono d’obbligo) afghana ripropongono una domanda già tante volte fatta, e che si rifarà ancora. È possibile, oltre che lecito, esportare la democrazia con le armi? I risultati degli ultimi giorni sono sotto gli occhi di tutti; ma a questa domanda gli ateniesi, inventori della democrazia nel V secolo a.C., avrebbero senza dubbio risposto di sì. Nel periodo d’oro della loro democrazia, cioè l’epoca di Pericle, essi tentarono di fare appunto questo, con le altre città greche sulle quali estendevano la loro egemonia: portare il proprio sistema politico ovunque potessero; con risultati catastrofici, dato che alla fine persero la guerra contro Sparta e, per qualche tempo, anche la loro democrazia.

L’eccezione

Atene, vale la pena di ricordarlo, era a capo di una coalizione militare formata da decine di alleati, città o isole, che si era costituita per fronteggiare il ritorno offensivo dell’immenso impero persiano; si potrebbe dire, una specie di Nato dell’epoca in cui non vi era dubbio su chi dettasse la politica estera. Atene pur non possedendo risorse smisurate fu una città-stato in grado di sprigionare una forza stupefacente: poche decine di migliaia di ateniesi furono per cinquant’anni capaci di dominare il Mediterraneo, con un modello istituzionale che nessuno mai aveva prima trovato; poi a sconfiggerli furono le lance degli opliti spartani e le contraddizioni interne al loro sistema.

Bisogna pensare che la democrazia ateniese era una piccola isola in una costellazione in cui il potere era detenuto da aristocrazie o da monarchie assolute o anche teocrazie. Fu il prodotto di un’evoluzione politica interna della società ateniese, non un modello importato da fuori, e si affermò quando la massa del popolo scacciò i tiranni e mise saldamente le mani sul timone dello stato, verso la fine del VI secolo a.C.

La prova del fuoco venne poco dopo, quando il popolo ateniese unito riuscì incredibilmente a sconfiggere la super-potenza persiana che aveva occupato la Grecia. A differenza dei soldati afghani che hanno gettato le armi davanti alle barbe dei Talebani, gli ateniesi salirono sulle triremi e si batterono sino alla morte per quella che chiamavano eleutherìa, libertà, e che sentivano come una cosa propria. La vittoria fu il frutto della loro democrazia.

Insegnare la democrazia

Non si fermarono lì. La politica ateniese fu poi di esportare la loro democrazia ovunque si potesse fare, armando la fazione popolare delle varie città e portandola al governo con il sostegno della loro invincibile flotta. Democrazia, cioè potere del dèmos, la parte più povera della città. Lasciamo in proposito parlare Pericle – o almeno il Pericle a cui Tucidide dà voce, in un famoso discorso. Siamo nel 430 a.C., quando è appena iniziata la guerra contro Sparta e sta per iniziare (coincidenze della storia!) una terribile epidemia che avrebbe devastato tutto.

«Noi», dice Pericle «viviamo seguendo una costituzione che non imita quella degli altri, ma è essa stessa da modello, e siccome il potere non è nelle mani di pochi ma della maggioranza la chiamiamo democrazia». A dire la verità, Tucidide non fa dire a Pericle “tutti”, ma “più gente”. Dobbiamo infatti guardarci dal paragonare la democrazia antica a quelle moderne: se non altro perché la democrazia ateniese non accordava pari diritti a tutti gli abitanti.

Era una democrazia diretta, dove ogni cosa avveniva in pubblico e la partecipazione alla vita comune era sentita come un dovere, se non anche come mestiere; il cuore della politica era l’assemblea del popolo, dove possiamo scorgere i più antichi esempi delle tecniche del consenso di massa messe in atto da politici capaci di dirigere l’opinione pubblica, in un sistema in cui la parola “buon governo” era sostituita dalla parola “consenso”.

Atene era fondata sulla libertà di ogni cittadino, sull’uguaglianza davanti alle leggi e sulla libertà per tutti di dire quello che volesse, isegorìa: niente censure di nessun genere. Questi “tutti” non erano però, appunto, proprio tutti: dalla vita politica erano escluse le donne, gli stranieri anche se residenti, gli schiavi. E gli ateniesi democratici esigevano lo ius sangiunis: chi non era figlio di discendenti ateniesi, anche se era nato in città e vissuto ad Atene per tutta la vita, non sarebbe mai diventato cittadino a pieno titolo.

Una democrazia parziale, dunque; qualcuno l’ha definita persino “un club di soli maschi”. Giudizio antistorico: l’emancipazione femminile fu come sappiamo una conquista dell’ultimo secolo, e lo ius sanguinis resta tuttora vigente anche da noi. Fu sostanzialmente un esperimento: nonostante questi limiti, nessuno stato sino ai tempi moderni fu mai retto da un ordinamento simile.

Pericle prosegue il suo discorso dicendo «noi siamo la scuola della Grecia». Cioè, gli altri devono prendere lezione da noi, non noi dagli altri. Un modello assoluto. Difficilmente però chi pensa di essere il maestro rinuncia ad ammaestrare gli altri. Così facevano gli ateniesi, e non sempre per esportare ideali. Pensavano che se si abitua la massa alla libertà e si tolgono di mezzo i tiranni, il resto viene da sé: il popolo capirà chi lo difende meglio.

La sconfitta di Atene

E così, si dedicarono a rovesciare oligarchie ovunque potevano per sostituirle con gruppi democratici devoti, e del resto i democratici di ogni luogo guardavano ad Atene. La città praticava quella che si potrebbe definire una forma di welfare, ma solo per i suoi cittadini: la parte più povera della popolazione riceveva uno stipendio per partecipare alle giurie popolari e ad altre funzioni pubbliche, e le cariche erano fatte ruotare allo scopo di assicurare un’entrata a più cittadini possibili; la flotta era formata di cittadini rematori pagati a spese pubbliche, o il cui costo era sostenuto dai ricchi.

Erano somme enormi per mantenere il démos: e a pagarle fu la costellazione di stati satelliti, senza i quali mai Atene avrebbe potuto offrire benessere al suo popolo. Così, per sostenere il suo sistema, la democrazia ateniese fu costretta a diventare imperialista e a porre tasse agli alleati e fallì perché non fu capace di includere chi non era ateniese, e renderlo partecipe dei suoi vantaggi.

Quello che per Pericle era migliore dei modelli di stato riempiva di orgoglio gli ateniesi. Ma non tutti: anche ad Atene la democrazia aveva i suoi nemici, che tentarono più volte di rimettere a posto l’inquieto dèmos. Fuori di Atene c’era chi preferiva le proprie oligarchie, per quanto oppressive, in difesa delle antiche leggi, e allora interveniva l’armata ateniese, finché fu in grado farlo.

Come accadde nell’isola di Corfù dove aristocratici e democratici si scannarono con scene di una violenza inaudita, che Tucidide commenta dicendo: «Queste sciagure sempre avverranno sinché la natura dell’uomo sarà la stessa». Come scrisse Eric Dodds, non fu la guerra trentennale tra Atene e Sparta a insegnare all’uomo a comportarsi da belva: questo l’ha sempre saputo fare; la cultura ateniese dell’epoca però insegnò a trovare le parole per analizzare la violenza della guerra e le ragioni del potere.

La democrazia ateniese, quanto meno, lasciò all’umanità un’eredità culturale di cui ancora oggi noi fruiamo, e probabilmente la sua civiltà contribuisce ancora a comprendere meglio la natura dell’uomo. Atene fu sconfitta, ma qualcosa della sua democrazia rimase. Per una legge inevitabile della storia è difficile pensare che in Afghanistan si potranno cancellare semi piantati in questi anni, tra innumerevoli errori e corruzione. E allora potremmo persino immaginare che l’occidente ha perso la guerra, ma non è escluso che possa vincere la pace.

 

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