Konrad racconta una vita felice. Dotato di una straordinaria capacità di entrare in sintonia con gli animali; ottimista, pieno di risorse che gli permetteranno di tornare vivo da una prigionia di tre anni in Unione Sovietica; spericolato amante della velocità e conferenziere irresistibile; padre dell’etologia, Premio Nobel 1973 per la Medicina; sposato con la donna che ha amato fin dall’infanzia: Konrad Lorenz è stato molto felice. Un merito di Ilona Jerger, non l’unico, è di parlarcene evitando due cliché simmetrici: è stato un grande scienziato, ma anche un nazista, oppure, è stato un nazista ma anche un grande scienziato.

Le contraddizioni 

Jerger sceglie una terza possibilità: fare in modo che la personalità di Lorenz emerga dalle sue azioni e parole, con le sue tante contraddizioni. È molto simpatico, ha una vitalità straripante: allestisce uno zoo nella casa del padre Adolf, che invece lo vorrebbe medico («15 garzette, 32 nitticore, 3 tacchini…»); internato in Armenia e ribattezzato per dileggio Adolfovic, si adopera per i compagni di prigionia (la laurea in medicina, alla fine, l’ha presa) e stupisce i russi ammaestrando uno storno; nel dopoguerra si autoproclama, non senza ragione, ambasciatore degli animali presso gli uomini.

Al tempo stesso, rimane convinto che il popolo germanico, in quanto «non addomesticato», sia ancora pervaso, a differenza degli altri, da una vitalità primigenia; non cambierà mai idea. Incontra il figlio dell’amico Paul Hellman, ucciso nel lager; fanno un giro in barca; piagnucola un po’, poi si tuffa nel lago e quando ne riemerge è tutto contento e non se ne parla più. Nel 1973, scrive Jerger, «Brandt continua a lavorare per sgombrare le macerie del Terzo Reich, cercando di riparare qualcosa e viaggiando da un luogo del delitto all’altro», mentre in partenza per Stoccolma, dove riceverà il Nobel «Lorenz ha diramato un comunicato stampa. Anche lui non ha ancora finito di sgombrare le macerie del Terzo Reich».

Ignorando la richiesta di Simon Wiesenthal di rinunciare al Nobel per non screditarlo, Lorenz dichiara: «Se ancora oggi considero altamente pericolosi i cambiamenti genetici introdotti dall’addomesticamento, retrospettivamente mi rammarico profondamente di avere utilizzato la terminologia dell’epoca, che in seguito è diventata strumento di obiettivi così atroci. Molti altri scienziati hanno sperato, come me, per un breve periodo, che dal nazionalsocialismo potesse venire qualcosa di buono».

Ne fa una questione di lessico, quindi: ha usato parole inappropriate, ma solo per un breve periodo e in un contesto che, per quanto foriero di sviluppi atroci, avrebbe sedotto molti altri scienziati.

Conclusioni spericolate

Oltre che eccellente scrittrice, Jerger è biologa e sottolinea, senza pedanteria, le scorciatoie che hanno portato Lorenz a trarre dallo studio degli animali conclusioni spericolate sull’uomo. Lorenz voleva diventare il Darwin del XX secolo, ma quando cerca di spiegare la violenza e la guerra (cioè, implicitamente, il nazismo) si dimentica della teoria darwiniana.

Non si tratta solo di linguaggio obsoleto: secondo Lorenz l’umanità porta in sé un’aggressività innata che, se non trova sbocchi, mette a rischio la sopravvivenza della specie. Musica per le orecchie di chi ha inneggiato al Führer, ma è così semplice? È scienza, questa? «Che non siamo solo il prodotto dei nostri geni lo sa anche Lorenz», scrive Jerger, «ma mettersi a operare distinzioni è contro la sua indole».

Un romanzo corale

Le pagine più belle di questo magnifico libro sono le scene collettive in cui seguiamo in simultanea decine di personaggi. Nel 1938 c’è chi viaggia per preparare la guerra, chi per affari, chi per sfuggire alle persecuzioni razziali, e anche un orso, che va in treno da Lipsia a Buchenwald. Si svuotano dai libri proibiti gli scaffali delle biblioteche, mentre suore trasportano in pesanti valigie i manoscritti di Edmund Husserl, e altri imballano le vetrate medievali delle chiese per stivarle nelle cantine in previsione di futuri bombardamenti. Niko Tinbergen, che con Lorenz condividerà il Premio Nobel nel 1973, è in un vagone piombato diretto verso il lager, mentre Lorenz, erede della cattedra che fu di Kant, fa i bagagli per trasferirsi a Königsberg.

In questa sontuosa coreografia c’è posto per un incontro, che chissà se è mai avvenuto, ma sarebbe stato possibile, a Friburgo, fra Lorenz e Martin Heidegger. Con grande finezza, Jaeger immagina cosa potrebbero essersi detti lo zoologo e il filosofo, e anche quello che nessuno dei due avrebbe trovato il coraggio di chiedere all’altro: ma il tuo distintivo con il bordo rosso e la svastica al centro, che fine ha fatto?


Konrad (Neri Pozza 2024, pp. 320, euro 20) è un libro di Ilona Jerger, tradotto da Irene Abigail Piccinini 

© Riproduzione riservata