Era solo questione di tempo prima che diventassi del tutto dipendente da Casa a prima vista.
Questo dice molte più cose di me che del programma di Real Time – sono anche dipendente da un account di Instagram dedicato esclusivamente a video di una pressa idraulica che schiaccia oggetti vari, non ho questo gran palato sopraffino – ma era in effetti inevitabile che la mia ossessione per il mercato immobiliare milanese (riassumo per chi si fosse perso le puntate precedenti: inaccessibile, frustrante, sul crinale dell’illegalità) traslasse nel consumo compulsivo di tutte le puntate di questo show. Il format è semplice: all’inizio di ogni puntata tre agenti immobiliari ascoltano le richieste dei clienti in cerca di casa, poi si ritirano nei loro uffici a fare una ricerca approssimativa su Immobiliare.it come faremmo noialtri stronzi qualsiasi, e selezionano una proposta a testa.

Ciascun agente porta poi i clienti in visita alla casa selezionata, mentre gli altri due seguono il tutto su un iPad da dentro un van dai vetri oscurati (come vuole la grande tradizione di Alessandro Borghese). Alla fine i clienti scelgono una delle tre case e l’agente che trionfa vince una bambolina pelosa.

Malessere milanese

Esistono due edizioni diverse, una “su Milano”, come abbiamo deciso di dire da queste parti, e una romana. In quella romana si vogliono tutti bene, si respira un’aria rilassata da tarallucci e vino, un tizio di nome Mauriziano cerca uno spazio creativo a Torre Spaccata, dove i metri quadri costano come la pizza bianca. Non c’è alcuna tensione narrativa e a me tutto questo non interessa.

Mi interessa invece vedere coppie di Milano che cercano casa a Porta Romana venire reindirizzate in zona Corvetto con vista cavalcavia, perché il loro budget non permette altro. Mi interessa vedere appartamenti da 800mila euro in cui la finestra del soggiorno dà sulle scale interne del condominio. Mi interessa vedere fino a che punto può spingersi la determinazione a negare l’evidenza degli agenti immobiliari di questa città. «Una stanza di dimensioni generose» è la menzogna che ripetono più spesso, cercando di plasmare a parole la realtà intorno a sé, convinti che dicendo “dimensioni generose” un numero sufficiente di volte i salotti con cucina a vista dove è possibile aprire il frigo senza alzarsi dal divano diventeranno magicamente appetibili.

Ma forse è questo che mi piace di Casa a prima vista. Mentre altri programmi analoghi sono mirati a creare nello spettatore una smania esagerata per abitazioni che non esistono nella vita vera di nessuno – penso agli agenti di Selling Sunset e alle loro ville per miliardari con più bagni che camere da letto (ma mai una che avesse un bidet) – Casa a prima vista è un triste quanto confortante specchio della realtà. Gli agenti di Milano si barcamenano tra trilocali striminziti al piano terra, balconcini vessati dal passaggio costante di treni merci, bagni ciechi, tutto rigorosamente foderato di gres effetto legno, un materiale per la cui invenzione spero che qualcuno stia scontando un ergastolo. Il colore dominante è il grigio, come la nuvola che si sposta insieme ai malcapitati che si trovano – proprio come noi – a contemplare l’idea di investire tutti i loro risparmi in un sottoscala semiabitabile e da ristrutturare che pagheranno per il resto delle loro misere esistenze.

La triste provincia

In questa accurata rappresentazione del nostro malessere però esiste anche il piano B: la provincia. In puntate ancora più deprimenti, in cui gli agenti nascondono a fatica il disgusto per il concetto di villetta a schiera, ci troviamo catapultati nel Lodigiano o nei dintorni di Monza, a minimo mezz’ora dal primo segno di civiltà, dove i prezzi sono più bassi e con loro si dimezza anche la voglia di vivere.

Lo sconforto si legge soprattutto negli occhi di Gianluca Torre, agente conosciuto anche fuori dal programma in quanto artefice di alcuni reel piuttosto ipnotici che gli sono valsi infinite parodie (segnalo in particolare quella di Vittorio Pettinato).

Sui suoi profili di TikTok e Instagram mostra case milanesi sorprendentemente prive di gres, illustra con enfasi docce walk-in e vasche free-standing, ti vende il dream e l’experience e conclude con la richiesta economica, che a suo dire è sempre perfetta, e che si aggira di solito intorno al fantastilione e mezzo, più una fetta di culo per il box auto. Torre prova a portare lo stesso entusiasmo anche in Casa a prima vista, ma in certi appartamenti anche Daniel Day Lewis farebbe fatica a camuffare il disappunto.

Non risultano molto più convincenti nemmeno le altre due agenti: Ida Di Filippo, che in quanto salernitana dotata di un forte accento partenopeo risveglia in me una lunga serie di vergognosi stereotipi introiettati, dandomi sempre l’impressione di voler rifilare ai clienti delle gran sole (un Rolecs, una Vuis Luitton, un appartamento su due livelli che altro non è che un monolocale con soppalco), e Mariana D’Amico, che ancora più degli altri prova a modificare il dato di realtà con affermazioni categoriche (“dimensioni generose”), piegandolo il più possibile a proprio piacere fino a fargli raggiungere la stessa inclinazione estrema delle sue sopracciglia. A ulteriore conferma che il programma è fatto su misura per me, tra le puntate in trasferta dell’ultima stagione di Casa a prima vista ne sono state confezionate non una, ma ben due a Parma, la città in cui sono cresciuta e dove ogni tanto accarezzo l’idea di tornare per provare prima o poi l'ebbrezza di vivere in una casa in cui possono entrare più di quattro persone alla volta senza produrre l’effetto festa in Colazione da Tiffany. Poi penso che a Parma non ce le avrei neanche quattro persone da invitare, perché ce ne siamo andati tutti e con valide argomentazioni, e quindi torno a sfogliare gli annunci con vista cavalcavia in zona Corvetto, sognando un format uguale ma un po’ diverso, in cui i clienti, invece di subire passivamente i soprusi del mercato immobiliare milanese e dei suoi rappresentanti, si ribellano e impongono le loro condizioni. C’è il gres effetto legno? Via 100mila euro dal prezzo finale. Ci sono solo due camere da letto? Via altri 100mila, che sono i soldi che spenderò in terapia del mio figlio unico, rimasto tale per carenza di spazio. Non sarebbe un programma migliore? Non vi procurerebbe una gioia di dimensioni generose?

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