Sarà di sollievo per molti genitori sapere che il dubbio su quale sia lo sport più adatto per i propri figli, non ha ragione di esistere. Tutti gli sport vanno bene anzi, l’ideale è praticarne più di uno. Quindi se si sbaglia, è perché si limita non perché si amplia. Fino a 12 anni la multidisciplinarietà rappresenta il metodo migliore per costruire il bagaglio motorio, apprendendo abilità varie in maniera giocosa. Per tutti rappresenta il presupposto su cui costruire uno stile di vita sano e attivo, divertendosi a esplorare contesti differenti, interiorizzando schemi motori diversi. E per qualcuno costituisce anche il percorso attraverso cui scoprire un talento, una passione e iniziare a scalare la piramide della propria capacità prestativa. Un’ascesa, una verticalità che potrà essere tanto più efficace, sana e sicura quanto più ampia e variegata sarà la base, l’orizzontalità, delle abilità e qualità atletiche acquisite.

Da molti anni, le evidenze scientifiche confermano l’importanza di questa fase di avviamento allo sport, chiamata tecnicamente “sampling” nel noto “modello di sviluppo della partecipazione sportiva” elaborato dal professore e ricercatore canadese, Jean Cotè. Qualcuno obietterà che però ci sono discipline a specializzazione precoce ed è vero ma sono solo quelle ad altissimo contenuto tecnico (ginnastica artistica, tuffi, pattinaggio artistico) e comunque, anch’esse necessitano della base che va anticipata o integrata nell’avviamento sport specifico. In ogni caso, giusto per fare un esempio che tutti ormai conoscono, anche il tennis era tra le discipline ritenute a specializzazione precoce: ed ecco che Sinner ci dimostra che a 23 anni si può essere il numero uno al mondo nonostante a 13 ancora non sapesse scegliere tra sci, calcio e tennis. Specializzarsi però non è obbligatorio oppure, giocando con le parole, si può scegliere la specialità multidisciplinare.

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Le prove multiple

Nella sbornia di medaglie vinte dagli azzurri ai campionati europei di atletica di Roma, non hanno trovato attenzione due risultati straordinari, due record nazionali nelle prove multiple: il decathlon maschile (10 prove) e eptathlon femminile (7). Due specialità con radice nello sport antico con il mito dell’atleta completo, che sa lanciare, correre, saltare. In Italia non si è mai data troppa attenzione a questo campo di applicazione del talento atletico tant’è che, pur se giustificato dall’incredibile quantità di successi, il valore tecnico di questi due record è passato inosservato.

I due protagonisti sono Dario Dester e Sveva Gerevini, due ragazzi nati nella stessa città, cresciuti nella medesima società sportiva e che hanno in comune anche l’allenatore, a dimostrazione che la multilateralità e la polivalenza sono questioni di talento si, ma anche di cultura. Sveva ha frantumato un record che durava da oltre 25 anni. Dario invece ha migliorato il record nazionale già suo. Incredibilmente i due atleti condividono anche il piazzamento, un onorevole sesto posto in classifica generale e si spartiscono pure l’ansia dell’attesa perché, nonostante il risultato, la loro partecipazione ai Giochi di Parigi non è ancora certa. Sarebbe bello per loro, lo meritano e sarebbe importante per dare ulteriore impulso ad una specialità in cui l’Italia non ha mai ottenuto titoli internazionali.

Le prove multiple dell’atletica leggera hanno ispirato altri sport nel creare una competizione che metta alla prova la versatilità e l’ecclettismo degli atleti. Lo ha fatto il ciclismo su pista che dal 2012 ha introdotto “l’omnium” di cui è stato campione olimpico Elia Viviani, già portabandiera agli scorsi Giochi di Tokyo. Così come lo fa la ginnastica con la classifica “all around” che premia la somma dei risultati ottenuti nelle classifiche dei singoli attrezzi (cavallo, corpo libero, ecc.)

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Ci sono poi sport multidisciplinari che comprendono specialità di settori differenti e che dunque allargano ulteriormente il campo delle diverse competenze. Il più vario per abilità richieste è senza dubbio il pentathlon moderno (così chiamato per distinguerlo dal pentathlon dell’antica Grecia) che prevede scherma, nuoto, equitazione, tiro a segno, corsa campestre. Discipline che lasciano intuire l’origine militare e perciò gli atleti azzurri non potevano che essere fortissimi, dato che i gruppi sportivi militari erano e sono sempre più la spina dorsale dello sport italiano. Nella storia un solo alloro olimpico con Daniele Masala nel 1984 ma la spedizione azzurra per Parigi è al completo e sembra più competitiva con le donne che con gli uomini. Questi i nomi da seguire: Matteo Cicinelli, Elena Micheli (bi-campionessa mondiale), Alice Sotero e a Giorgio Malan.

Un altro sport multidisciplinare di grande appeal, anche perché decisamente più semplice da praticare, è il triathlon composto nell’ordine da nuoto, ciclismo e corsa. Tre specialità di resistenza da effettuare di seguito, tanto che anche il cambio tra una e l’altra è diventato un dettaglio fondamentale ai fini della prestazione. La versione olimpica prevede di nuotare per 1,5 km, pedalare per 40 e correre per 10, una versione ridotta ma molto più veloce rispetto a quella originaria, meglio conosciuta come IRONMAN (3,5 km a nuoto, 180 in bicicletta e 42,125 a piedi). Il movimento italiano è forte ma, ad oggi, non ha ancora registrato nessun risultato importante a livello internazionale: sperare è comunque lecito, perché l’Italia ha qualificato la squadra al gran completo. Il triathlon è l’unica disciplina multipla presente anche nel programma paralimpico (il paratriathlon) di cui grande interprete è stato Alex Zanardi.

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L’importanza della multilateralità e il fascino dell’atleta polivalente, si associano alla crescente attenzione verso ciò che, al di fuori dell’ambito sportivo, si riconosce con la definizione di persona multipotenziale. Il termine venne usato per la prima volta agli inizi degli anni settanta e sopravvisse, un po’ in sordina, fino ad affermarsi come definizione del profilo di chi sa sviluppare più talenti ad alto livello, grazie alla proprie capacità e/o alle opportunità ambientali. Un concetto che vuole rompere il doppio pregiudizio per cui è necessario specializzarsi per la realizzazione personale e secondo il quale, solo la specializzazione è indispensabile per il progresso umano. Un concetto pensato e voluto per liberare la multidisciplinarietà dalla reputazione che la dipinge come qualcosa da evitare perché anacronistica, arcaica: una considerazione che è necessario superare perché causa principale dei compartimenti e comportamenti stagni.

Entrare nei dettagli apre scenari sempre più complessi che necessitano di un approccio globale: più sofisticato è un sistema, maggiore è la necessità di saperlo vedere nella sua totalità. La specializzazione ci offre dettagli preziosi, è il dito a cui guardare per focalizzare l’attenzione su un aspetto preciso. La multidisciplinarietà è la luna verso cui indirizzare quel sapere minuzioso. Due dimensioni diverse e necessarie l’una all’altra.

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