Un anno fa, l’11 gennaio 2020, viene pubblicata in Cina la notizia della prima morte provocata da una misteriosa polmonite molto grave. La città di Wuhan diventa di colpo famosa, capitale della nuova geografia del contagio. L’11 febbraio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dà un nome a quella malattia: Coronavirus Disease 2019, cioè malattia da coronavirus del 2019, o Covid-19.  

È di pochi giorni fa la notizia che il virus circolava a Milano sulla pelle di una ragazza nel novembre del 2019. Una notizia che cambia la storia e la mappa del virus. Non l’inquietudine, l’incertezza, soprattutto la stanchezza provocate da un presente senza fine messo alla prova dalla pandemia. La pandemic fatigue.

Mentre gran parte del mondo si ritirava nelle proprie case per le vacanze di Natale, il libro più bello per leggere lo Spirito del Tempo è Svegliarsi negli anni Venti di Paolo Di Paolo, Mondadori. Un saggio che si legge come un romanzo come nessuno, se non Baricco, ha il coraggio di scrivere in Italia.

La mappa del presente corticuitando il passato per interrogare lo Zeitgeist. I Venti sono quelli ruggenti dell’età del jazz di Zelda e Fitzgerald, le maschiette, la moda, il design, il dadaismo di Marcel Duchamp e di Man Ray. Un secolo fa, con una guerra mondiale e la grande epidemia della spagnola alle spalle, il mondo ruggiva festoso, ignaro delle nubi che si addensavano all’orizzonte. Eppure l’angoscia della prosa di Franz Kafka e la malinconia di quella di Stephen Zweig erano già le lingue che anticipavano le letterature del futuro. Walter Benjamin studiava la fotografia e la riproducibiltà tecnica dell’arte.

E i nostri anni Venti sono quelli dentro il neoproibizionismo neomillenaristico dei Dpcm per interdire feste, balli, aperitivi e movida. E soprattutto selfie. Scene della vita di prima. Diciamo più o meno fino al marzo scorso degli anni Venti.

Noi alla fine degli anni Ottanta avevamo cominciato con i pendolini. Più veloci dei treni precedenti, ad assetto variabile, oscillavano e davano la nausea. Poi furono gli Eurostar, infine le Frecce. I soliti nostalgici, prigionieri dell’abitudine, e funzionari dell’inquinamento, continuavano a prendere i voli Alitalia tra Milano e Roma. La nostra vita era cambiata.

Telefono cellulare, portatile, treno veloce. Lavoravamo sempre e il nostro ufficio ora era in movimento. Taxi. Stazione. Frecciarossa fino a Milano o a Roma. Aziende e luoghi di lavoro anche disegnati da archistar, fuori città, dove non arrivano i mezzi per incrementare l’uso delle automobili private, vetrate senza finestre, anche capolavori con laghetti, enormi parcheggi. Riunioni. Appuntamenti. Pranzi e cene. Altro taxi. Hotel. Via di corsa. Altro taxi, treno, taxi. Gravi danni per l’ecologia dell’ambiente e della mente. Però. Quanto ci manca questo sbattimento.

Scene della vita del dopo. Vestiti a metà, sotto sempre in tuta, acqua minerale e tazza del caffè fumante sulla scrivania, mezz’ora di riunione su Zoom, grazie a tutti e buon lavoro. Però. Che palle. Non se ne può più di lavorare in casa. Ora stiamo fermi, l’ufficio è immobile. Inquadratura fissa sulla libreria.

Non è passato un anno e abbiamo cambiato modo di lavorare, di studiare, di abitare. Di vivere. Ne abbiamo ancora per un bel pezzo e, oltre questa consapevolezza, abbiamo capito che nulla tornerà esattamente come prima. Ci illudiamo che tecnologia, intelligenza umana e artificiale, sostenibilità ambientale trovino una sintesi per la nostra vita futura. Ma siamo come sempre spreconi e poco consapevoli del costo energetico dei consumi della nostra vita in streaming. Nessuno sa qual è il consumo di un’intera serie scaricata.

Abbiamo una nuova mappa mentale, colorata, per capire se possiamo o no bere il caffè al bar dentro la tazzina di ceramica. Il ministro Speranza ha chiarito che sarà mantenuto il modello delle fasce colorate e che sarà confermato nel nuovo Dpcm l'abbassamento della soglia dell'Rt: con 1 si va in arancione e con 1,25 in zona rossa.

Ricordate la vita normale?

Nel frattempo siamo arrivati a 80mila morti, più o meno la capienza dello stadio di san Siro. In attesa del derby senza pubblico. Se le due squadre ne mettono assieme undici sopravvivendo alla mannaia dei tamponi. Ricordate quando alle partite allo stadio c’erano i tifosi che si menavano nelle curve o dentro il catino c’era il pubblico danzante alla liturgia della messa laica dei grandi concerti, da stadio? Appunto. O quando negli studi televisivi, durante i programmi, c’era il pubblico, per applaudire e ridere a comando.

O quando andavamo al cinema, poco, a teatro, ancora meno, nei musei, quando mai. O addirittura alle presentazioni di libri in un paese poco incline alle letture.

O quando c’erano i festival culturali, della mente, della letteratura, della filosofia, della satira. Quello dell’antropologia di Pistoia annuncia oggi, con ottimismo della volontà sull’esito antropologico della campagna vaccinale, le date, auspicabilmente in presenza, dal 18 al 20 giugno.  

Ma più di tutto ricordate quando i nostri figli andavano a scuola invece di ciondolare la propria noia tra letto e computer? Ricordate quando ci davamo la mano, ci abbracciavamo, addirittura ci baciavamo. E c’era solo Miss Keta che portava la mascherina inneggiando alle ragazze di Porta Venezia, regine della movida prima che il governo si occupasse della stretta anti-movida. Stiamo tutti in casa, sono diminuiti anche i furti negli appartamenti. Ma non vediamo nonni e genitori da mesi.

Decide lo streaming

Per tutti gli anni Dieci, mentre i social media e le piattaforme di streaming prendevano sempre più spazio nelle nostre vite, ci siamo raccontati che la cultura digitale non avrebbe mai sostituito le modalità tradizionali di consumo. Il 2020 ha in gran parte smentito questa teoria.

Mentre attendiamo la terza ondata non sappiamo cosa fare e tutto è intrattenimento e Netflix ne decide il palinsesto e l’agenda. Quello globale con serie come La regina degli scacchi e The crown, quello locale con la storia italiana. Pensate che SanPa avrebbe avuto lo stesso esito se fosse stata programmata da Raitre o da Sky? Il prolungarsi della prigionia di massa ha riportato al centro della dieta mediale la vecchia tv generalista, i vecchi, chiusi in casa, guardano la televisione tutto il giorno governando un telecomando che li protegge dall’incubo delle password richieste da tecnologie più complesse.

Così accade che, grazie all’insperato recupero di centralità di quella tv, Bruno Vespa, si badi, con un libro su fascismo e Mussolini, sia l’autore più venduto dell’anno. I Millennials, che schifano la tv e guardano le serie Netflix, provano, quasi sempre invano, a coinvolgere i nonni che così potrebbero vedere The crown e la saga della famiglia reale, mentre impazza in rete e sui giornali il dibattito su eroina e Vincenzo Muccioli(ni). Un altro con dichiarate simpatie reazionarie, se non fasciste.

I nuovi eventi culturali sono ideati a partire dalla loro costruzione digitale. Abbiamo visto idee e sperimentare nuovi linguaggi addirittura nel genere più difficile e congelato: l’opera lirica. Il barbiere di Siviglia messo in scena per l’Opera di Roma da Mario Martone con la direzione di Daniele Gatti si può vedere su Raiplay, è un gioiello che inaugura un genere che non è più teatro né tv ma, grazie alla regia congiunta teatrale e televisiva di Martone, è un’opera in una lingua nuova.

Così come abbiamo visto in streaming la festa romana del suo primo capodanno digitale: “Oltretutto”, un evento magnifico, inimmaginabile nell’anno precedente. Tra performance artistiche e musicali, testi letterari e spettacolari installazioni, “Otretutto” ha accompagnato la grande bellezza degli scorci non scontati di Roma nel 2021. Parole di Michela Murgia e Chiara Valerio. Visione dei fratelli D’Innocenzo, Mauro Covacich, Igiaba Scego, Francesco Bruni, Chiara Caselli, Chiara Francini. Musica di Diodato, Manuel Agnelli, Gianna Nannini.

È interessante anche notare che, sull’orizzonte dello streaming, Roma batta Milano. Oltre due ore di evento in streaming a cavallo della mezzanotte più attesa, per cercare di rispondere alle domande inevase dell’anno appena concluso. Come possiamo sentirci vicini pur essendo lontani? Come può la città più bella del mondo tornare a essere una casa e non solo un paesaggio? Come non smettere di sognare? Inventando.

Senza nostalgia di un passato che non torna. Abbiamo tutti una voglia matta di fare le cose di prima, di vivere vicini, in comunità. C’è persino gente che ha sviluppato una nuova sindrome neofantozziana e posttafazziana: la voglia di tornare in ufficio. Ma nulla è reversibile. Il processo di digitalizzazione del lavoro, dello studio e della cultura non sarà disinnescato quando il cinema, il teatro, le biblioteche, la scuola non saranno più uno sbiadito ricordo e frequentare una biblioteca o andare al ristorante con gli amici saranno addirittura una possibilità.

L’orizzonte dello streaming e il digitale saranno definitivamente la metà di un doppio cuore, la metà di una doppia lingua da affiancare a un reale oggi molto difficile da immaginare.

Reinventarsi

I grattacieli destinati al terziario hanno appena ridisegnato lo skyline delle nostre città di prima, pensate a Milano. Inospitali e inadatti alla vita del dopo, non sappiamo immaginare ora che destino avranno. E il destino del teatro dal vivo, ontologicamente fatto della presenza di attori e spettatori, su cui Andrea Delogu e Stefano Massini hanno aperto una straordinaria finestra nel loro bel programma Ricomincio da Raitre?  

Al Teatro Storchi di Modena tutto è pronto per andare in scena. Attori. Luci. Scene. Suoni. Costumi. Elettra. Onora il padre e la madre è la riscrittura del drammaturgo Fabrizio Sinisi di tutte le Elettre del mondo classico, di cui Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni firmano la regia. Uno spettacolo nuovo di zecca con gli attori di Ert. Sipario 16 e 17 gennaio. Ma non accadrà. In attesa di poter riaprire le sale teatrali, lo spettacolo cambia forma e diventa una serie tv: Elettra. Onora il padre e la madre il sequel. La compagnia lavora ora intorno al mito di Elettra insieme a Fabrizio Sinisi che firma sia la drammaturgia dello spettacolo sia quella della serie.

Un “sequel” immaginario che si sviluppa in quattro diversi episodi in forma di interrogatori e che gioca a ricostruire verità, menzogne e fantasmagorie delle vicende di Elettra. Con gli attori Francesca Mazza e Simone Francia, Diana Manea, Paolo Minnielli, Giulia Trivero della Compagnia permanente di Ert, racconta le “versioni” di Egisto, Oreste, Mia ed Elettra intorno alla misteriosa morte di Clitennestra.

Lo scrittore Nicola Lagioia, autore di uno dei libri più importanti sulla scena, La citta dei vivi, Einaudi, fa anche il manager perché dirige il Salone Internazionale del Libro di Torino, il più importante evento culturale italiano e tra i maggiori in Europa. Gli chiedo di definirmi il Salone oggi: «Il Salone di Torino non è un luogo, è una comunità. È una rete di rapporti tra editori, autori, lettori, librai, istituzioni, aziende, singoli individui uniti da una comune sensibilità per la letteratura, per la potenza delle sue storie, per il linguaggio universale che le fa trascendere confini, tempi, difficoltà apparentemente insormontabili. A maggio abbiamo usato il digitale come una stampella e una rete di salvataggio. Di fronte a una minaccia globale senza precedenti, abbiamo inventato SalTo Extra trasferendo in digitale l’intero programma dei quattro giorni e 140 ospiti da tutto il mondo. Con un risultato eccezionale, non ricordo i numeri, ti dico solo questo, i minuti totali di visualizzazione sono stati 64.485 ovvero 2.686 giorni, che tradotti in anni fanno sette anni e tre mesi trascorsi con il Salone Extra».

E poi?

«A dicembre abbiamo inventato un modello ibrido sfruttando la aperture delle librerie, abbiamo inventato Vita nova e dato 120mila euro di buoni libri per gli studenti dai 14 ai 25 anni».

Qual è la prossima mossa?

«Nessuno sa, ora, se potremo fare il prossimo Salone nei modi consueti. Certo è che la forma ibrida, dal vivo e digitale, comunque resterà, abbiamo imparato a fare le traduzioni in simultanea, ma il meglio accadrà e tante saranno le innovazioni. Occorrono idee e investimenti».

Mi fai degli esempi?

«La piattaforma americana di e-learning Masterclass ha la qualità visiva delle serie Hbo e l’efficacia dei Ted, forse è il modello della scuola postpandemica del futuro: Joyce Carol Oates insegna l’arte della short story, Dan Brown quella del thriller, Margaret Atwood della scrittura creativa, Salman Rushdie dello storytelling, David Sedaris dell’umorismo, David Mamet della drammaturgia. David Lynch e Martin Scorsese insegnano cinema e Carlos Santana chitarra. Una scuola pazzesca. Oppure la app e l’abbonamento ai meravigliosi concerti della Berliner Philharmoniker, il migliore auditorium digitale per ascoltare la musica. Certo, si paga, in entrambi i casi».

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