Cose che accadono sulla terra è un film umano e intimo che racconta una piccola rivoluzione etica intrapresa da una famiglia di allevatori che decidono di cambiare radicalmente il loro impatto sull’ambiente.

Applicando le teorie del pascolo rigenerativo, i protagonisti di questo film utilizzano i bovini per rigenerare i terreni della loro azienda e sequestrare carbonio dall’atmosfera. Una pratica già diffusa negli Stati Uniti, in Australia, in Africa e in Sud America. Come cita il motto di questo movimento di allevatori che in tutto il mondo stanno sperimentando il pascolo rigenerativo: «Is not the cow is the how».

A 50 chilometri dal Grande raccordo anulare, sui monti della Tolfa, c’è un’immensa area incontaminata, migliaia di ettari, in cui vivono cavalli selvatici e capi di bovini allo stato brado, in cui ancora l’allevamento si conduce secondo antiche tradizioni tramandate da generazioni di butteri, i cowboy italiani.

Qui passa una frontiera tra il mondo civile con le sue leggi e il mondo naturale anch’esso con le sue leggi. Cose che accadono sulla terra è ambientato su questa frontiera. Da un lato il mondo degli uomini, dall’altro il mondo selvatico. Ma anche qui, dove apparentemente uomo e natura convivono in maniera sostenibile, la siccità e lo sfruttamento dei terreni ha generato fenomeni di desertificazione e gli animali faticano a sopravvivere nelle sempre più frequenti ondate di caldo anomalo.

La salute del suolo

Si parla molto, ai summit sul clima che si susseguono anno dopo anno, di concentrazioni di C02 nell’atmosfera e di adattamento al cambiamento climatico, ma si parla molto poco del ruolo dei suoli nell’equazione ambientale.

Come scriveva la scienziata Praveena Sridhar all’indomani della chiusura della Cop28 a Dubai: «Un suolo sano è il più grande serbatoio di carbonio terrestre del pianeta, in grado di trattenere tre volte la quantità di carbonio presente nell'atmosfera, e si stima che possa sequestrare il 27 per cento delle emissioni globali necessarie per mantenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi». 

Ma la salute dei suoli è ad alto rischio: l’International Panel on Climate Change stima che, a oggi, il 30 per cento dei suoli del mondo è degradato e che questa percentuale salirà al 90 per cento nel 2050 con gravissime conseguenze nella produzione alimentare globale.

Il pascolo rigenerativo

Giulio e Francesca sono tra i primi in Italia a sperimentare su larga scala il pascolo rigenerativo: una tecnica che, invece di utilizzare l’assistenza di fertilizzanti di sintesi, cerca di ottimizzare il rapporto tra suolo, piante e animali con mutui benefici.

L’idea del pascolo rigenerativo è semplice: mimare il comportamento dei grandi erbivori che in natura migrano per l’effetto delle stagioni e della predazione. Così, ruotando costantemente i pascoli, gli erbivori accelerano il ciclo di formazione dell’humus necessario alla rigenerazione dei suoli, sequestrando carbonio dall’atmosfera.

Quando ho incontrato Giulio e Francesca come tutti credevo che i bovini fossero solo un grave problema ambientale. Durante le riprese mi sono accorto che il problema non sono gli erbivori ma le nostre modalità di produzione della carne. Gli allevamenti intensivi sono di fatto un grande problema ambientale: secondo la Fao le filiere zootecniche sono responsabili del 15 per cento delle emissioni globali di gas serra di origine antropica. Per non parlare dei problemi connessi: deforestazione, impoverimento dei suoli, inquinamento delle falde acquifere. Ma la piccola storia raccontata in questo film testimonia che in realtà i bovini possono anche essere una risorsa per accelerare la rigenerazione dei suoli.

Uomo e natura

Il tempo verbale della crisi ambientale è il futuro. A narrare il film che profondamente si confronta con questa tematica è la voce della più piccola della famiglia. Brianna, in un dialogo con la madre Francesca, si interroga sulla sua vita e sul suo futuro, rivelando i molteplici sottotesti del film. Francesca risponde alle domande e, alla fine, la aiuta a superare la sua più grande paura: quella del lupo.

A differenza della maggioranza dei bambini che conoscono i lupi solo attraverso le favole, Brianna ne ha esperienza diretta, ed è molto arrabbiata con loro: i lupi infatti le hanno ucciso due pony, hanno minacciato la sua mamma e abitano i suoi incubi.

La presenza del lupo, che irrompe nel film attraverso inquadrature fisse, notturne, in bianco e nero simili a camere di sorveglianza, è un elemento centrale del racconto che, in una sorta di “richiamo della foresta” contemporaneo, ci invita a riflettere sul rapporto tra uomo e natura ai tempi della crisi climatica.

L’impronta del lupo

Mi sono sempre interessato di tematiche ambientali e condivido l’ecoansia rispetto al futuro del pianeta e di tutte le specie viventi che lo abitano. Durante il lockdown ho deciso di riprendere i miei studi sull’argomento. Chiuso nelle quattro mura del mio appartamento, prigioniero di un virus invisibile, forse come mai prima mi sono accorto che il mondo in cui viviamo è già del tutto antropizzato.

Le rivoluzioni industriali hanno portato a concentrazioni senza precedenti di gas serra nell’atmosfera che stanno cambiando il clima del pianeta. L’agricoltura intensiva, con l’alterazione del ciclo dell’azoto prodotto dai fertilizzanti di sintesi, ha alterato l’equilibrio della vita, mettendo a repentaglio la salute dei suoli.

L’uomo, con il potere prometeico della tecnica, ha già inconsapevolmente ingegnerizzato il mondo e non sembra esserci via di ritorno allo stato di natura. Proprio per la gravità della situazione ambientale mi sembra urgente recuperare qualcosa dal mondo animale. Come diceva Deleuze in Abecedarie: «Si tratta dell’impronta di un lupo? È un lupo o è altro? Ammiro moltissimo le persone che li sanno riconoscere. (…) In quel momento sono animali, hanno con l’animale un rapporto animale, ecco cos’è avere un rapporto animale con l’animale, è formidabile».

Da cittadino, grazie ai protagonisti del film ho capito di più di questo rapporto animale con l’animale, vivendo per due anni a stretto contatto con loro: con i bovini, i cani, le volpi, i lupi, i rapaci, i cavalli, gli asini ho riscoperto la parte animale della natura umana che penso sia fondamentale abbracciare per tornare a fare parte del ciclo della natura e dall’interno provare a influenzare una profonda rigenerazione dei suoi equilibri.


Il 3 novembre, Cose che accadono sulla terra, diretto da Michele Cinque e prodotto e distribuito da Lazy Film, inaugura il concorso italiano del Festival dei Popoli di Firenze. Il15 novembre farà il suo debutto internazionale al Festival IDFA di Amsterdam. Il documentario sarà nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 5 novembre.

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