- In due anni, nonostante mi abbia sfiorato più volte, il coronavirus mi ha evitato. A un punto tale per cui mi sono chiesto cosa non andasse in me.
- Molto più plausibilmente, ho ridotto la mia vita sociale così tanto da non espormi proprio al contagio. Sono uscito dalle statistiche sulla pandemia ed entrato in quelle sulle malattie legate a una vita sedentaria.
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Alla fine l’ho preso anche io, praticamente a festa finita e mi rendo conto di non essere più speciale, di non suscitare negli altri alcun tipo di compassione.
Scrivere un articolo sulla propria esperienza con il Covid-19 nel marzo 2022 mi rende indie/alternativo al mainstream? Probabilmente sulla copia del Domani che state leggendo questo è uno dei pochi articoli sulla pandemia che trovate, quasi come fosse la sezione notizie bizzarre, trafiletti curiosi.
Eccomi qui, al terzo giorno di isolamento dopo aver scoperto di essere positivo. Proprio mentre ripercorrevo con tenerezza i primi giorni del lockdown di due anni fa nell’archivio Instagram (a cui ho ufficialmente delegato la mia memoria), mi ritrovo chiuso in casa: la faccia più stanca, lo spirito meno speranzoso di allora, assuefatto allo smart working e con molto meno fiato in corpo per cantare dal balcone.
Ho provato a fare una torta ripescata proprio da quel periodo là, ma non ha lo stesso sapore. Non lo ha perché inizio a trovare tutto vagamente amaro, senza odore, distinguo giusto il salato dal dolce.
L’unica cosa che mi rimane da fare, oltre ad affannarmi appresso a una vita che continua, rispondere a email e rispettare scadenze, tollerare una malattia che ormai è considerata un inconveniente, è riflettere su quello che mi sta succedendo. Così, nei ritagli di tempo, sul gabinetto, prima di dormire, mentre guardo l’acqua che bolle.
Marzo 2020
Quando scoppiò la pandemia due anni fa inciampai in una citazione di Epitteto, filosofo greco del primo secolo, che mi servì molto a inquadrare la situazione, anche solo come promemoria per me stesso.
Con lo stoicismo che lo contraddistingueva, Epitteto scriveva che «non sono gli eventi o le cose a turbare gli uomini, ma le loro opinioni su di essi». Che saggio, eh? Che ne poteva sapere che duemila anni dopo sarebbe stato citato da Pierluca Mariti su Domani per ricamare sulla sua positività al Covid.
Dopotutto, sono protagonista della mia storia, al centro del mio romanzo, e sto vivendo la malattia della mia epoca, dopo tante congetture, timori e aspettative. Perché in due anni, nonostante mi abbia sfiorato più volte, il coronavirus mi ha evitato.
A un punto tale per cui mi sono chiesto cosa non andasse in me. Se mi incontri per strada non dico che mi definisci fragile, ma neanche un toro. Ho anche pensato di essere immune, ed ero pronto a donare il mio corpo alla scienza, purché venisse a prenderselo a casa mia e non dovessi compilare troppe scartoffie. Sì, lo so, ora lo fai con lo Spid ma alla fine è comunque uno sbatti.
Vita sedentaria
Molto più plausibilmente, ho ridotto la mia vita sociale così tanto da non espormi proprio al contagio. Sono uscito dalle statistiche sulla pandemia ed entrato in quelle sulle malattie legate a una vita sedentaria, e infatti ho fatto la fortuna del mio fisioterapista.
E nulla, alla fine l’ho preso anche io, praticamente a festa finita.
«Ciao Pierluca, stasera ti conto per il cinema, che prendo i biglietti?»
«Eh no, sono positivo al Covid»
«Al che?»
«Al Covid».
«Ah, ok. Quindi non ti conto, giusto?»
Mi rendo conto di non essere più speciale, di non suscitare negli altri alcun tipo di compassione.
Visto e rivisto, sentito e risentito. Fuori dai giri.
Per capirci: ho visto Game Of Thrones un anno dopo che era finita l’intera serie. Un senso di spaesamento e isolamento incredibile il non poterne parlare con nessuno. Ma come? Una volta non si parlava di altro, ogni puntata un evento di massa, e Jon Snow di qua, e Daenerys di là, e non puoi capire se non lo guardi, e il meme, e lo spoiler, e ora che sono arrivato io è roba vecchia?
Lo strambo del gruppo
Lo stesso negli ultimi mesi di pandemia. Con la normalizzazione del contagio avvenuta con Omicron a Natale, ormai sei lo strambo del gruppo se non lo hai avuto.
Se non hai aneddoti da raccontare, se non puoi vantarti di quanto lievi fossero i tuoi sintomi, o lamentarti di quanto ci è voluto per riavere il green pass, o altre cose a cui voi lettori guariti starete sicuramente pensando.
Comunque sto bene, anche se nessuno me lo sta chiedendo. Molto moccolo, ma neanche a farlo apposta ho ricevuto una scorta di fazzoletti per una sponsorizzazione su Instagram, quasi real time marketing.
Mal di testa a tratti e doloretti sparsi per il corpo, ci metto un po’ a prendere sonno ma ho scoperto su Spotify le playlist di suono marrone. Come il suono bianco, ma più sporco. Per intenderci, il ronzio che si sente in aereo.
Altro rumore marrone, la mia voce un po’ roca, che non mi dispiace perché mi rende senza dubbio affascinante, o è il modo più efficace per tagliare corto con i call center che mi chiamano. Non ho neanche capito a quale variante siamo, credo una Omicron ma nuova, suggerirei di passare alla lettera successiva, la Psi – psiche ormai compromessa, la mia.
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