Di tutti i prodotti del nuovo mondo che arriveranno in Europa, alcuni dei quali diventeranno estremamente popolari – come, per esempio, il mais e il pomodoro – il cioccolato gode del curioso primato di essere stato “scoperto” dallo stesso scopritore del nuovo mondo in persona: Cristoforo Colombo.

La “rapina”

Accadde nel suo quarto, e ultimo, viaggio, nel 1502. Impossibilitato a sbarcare su quella che considerava la “sua” isola, Hispaniola (oggi divisa tra i due stati di Haiti e Santo Domingo), si era diretto più a sud finendo con l’incappare nell’isola di Guanaja, una trentina di miglia a nord della costa dell’Honduras.

Qui la mattina del 15 agosto qualcosa di incredibile si era materializzato davanti ai suoi occhi stupefatti: una enorme canoa, lunga tra i quaranta e i cinquanta metri, carica di merci e persone. Bisogna pensare che in tutti i suoi viaggi precedenti non aveva incontrato altro che popolazioni molto semplici.

Era subito scattato il suo consueto comportamento di “rapina”, quello che gli aveva causato l’interdizione da Hispaniola e il ritorno in Spagna in catene: ne aveva ordinato la cattura, il sequestro del carico e la riduzione in schiavitù del suo equipaggio. A bordo raffinati utensili e armi di pietra, preziose cotonine, piume di uccello multicolori e, sorpresa, qualcosa di mai visto prima, ma che, data la natura del resto del carico, doveva essere anch’esso molto prezioso: una notevole quantità di “mandorle”. Erano i semi del cacao.

L’imbarcazione catturata era, con ogni probabilità, un cargo Maya diretto alle coste dello Yucatan, e destinato a ricchi signori del luogo. Quei semi servivano a preparare una bevanda paradisiaca riservata agli dei e, naturalmente, alle classi elevate, tantoché quando, ben due secoli e mezzo più tardi, si trattò di assegnare alla pianta un nome nella nomenclatura botanica, Linneo la battezzò Theobroma cacao, da theos, dio e broma, cibo.

Le prime reazioni

Colombo, però, non assaggiò mai la cioccolata. Ci volle più di un secolo perché si passasse da questo primo incontro a un primo timido consumo nel vecchio mondo. Il paradosso è che l’ostacolo maggiore al suo ingresso nelle abitudini alimentari europee provenne proprio da quella che sarebbe stata – ed è tuttora – la caratteristica fondamentale della sua attrattiva: il suo gusto inimitabile.

Il celebre viaggiatore milanese Girolamo Benzoni così ne scrive, intorno alla metà del Cinquecento, nella sua Historia del Nuovo Mondo: «Quando lo vogliono bevere, in un testo (recipiente per cuocere arrostendo, ndr) lo fanno seccare al fuoco, e poi con le pietre, che fanno il pane lo macinano e messolo nelle sue tazze, le quali sono a modo di zucche, e a poco a poco distemperatolo con acqua, lo beono, il quale più pare beveraggio da porci che da huomini».

E così il padre gesuita José de Acosta sul finire del secolo nella sua Historia Natural y Moral de las Indias: «Il principale beneficio di questo cacao è una bevanda che fanno e chiamano cioccolato, ed è una pazzia che in quella terra lo apprezzino: è disgustosa per chiunque non sia abituato ad essa».

Innovazione monacale

«Bevanda per porci», «disgustosa»: come potrà mai diventare la raffinatezza che ancora oggi è considerata? Su questo non ovvio passaggio esistono moltissime leggende, in cui spesso il ruolo fondamentale viene giocato dalle monache (prima spagnole e poi via via native) che popolano i monasteri del Messico: donne che nei lunghi tempi della vita di clausura sperimentano con quest’unico legame col mondo esterno loro concesso. Come che sia è chiaro, in questo passaggio, il ruolo dei colonizzatori e, soprattutto, dei loro discendenti che, una volta abituatisi alla bevanda per via del prolungato contatto, la riporteranno indietro in patria.

Ma, come in tutti i processi di contatto culturale, quello che avviene non è un semplice e passivo assorbimento, quanto piuttosto un processo di ibridazione. Alla preparazione principale (che è quella riferita sopra da Benzoni) vengono affiancate varianti che a poco a poco diventano dominanti.

La più importante è l’aggiunta di zucchero, ancora oggi accompagnatore immancabile del nostro cioccolato. Motivata dal temperare il gusto fortemente amaro della bevanda originale, fu promossa dalla straordinaria disponibilità di questo ingrediente che si venne a verificare proprio in quel tempo e in quel luogo. La canna da zucchero, trapiantata prestissimo sull’isola di Colombo – Hispaniola – si acclimatò così bene che già nel 1518 l’isola possedeva otto enormi piantagioni.

L’altra variante fondamentale fu la sostituzione dell’acqua, nella quale veniva sciolto il cacao, con il latte. Così addolcito e ammorbidito il cioccolato divenne, verso la metà del XVII secolo, la bevanda sociale d’elezione della nobiltà europea. E, per ciò stesso, le sue ricette di preparazione divennero ben presto terreno di competizione.

Segreti

Ulteriori ingredienti e sapori vennero aggiunti, non senza l’inevitabile vincolo dell’assoluta segretezza, indispensabile per mantenere la titolarità del primato. Tra i più famosi detentori di questo primato vi fu senz’altro il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, la cui celebre cioccolata al gelsomino fu elaborata nientemeno che da Francesco Redi, medico, biologo fondatore della parassitologia, nonché illustre membro dell’Accademia della Crusca.

«Mi dispiace», scrive Redi al suo collega Cestoni, «che Vostra Signoria mi abbia domandato una cosa la quale io ho ordine espresso di non palesare. cioè come si manipoli il Cioccolate con l’odore de’ gelsomini». Bisognò aspettare la sua morte, perché la ricetta fosse rivelata.

La ricetta

Ed eccola, con l’aggiunta di alcune note utili a ricreare oggi questa celebrità del passato: 

«Piglia caccao torrefatto, e ripulito, e stritolato grossolanamente mezzo chilo (“ripulito” vuol dire privato della pellicola che riveste il seme; la torrefazione deve essere leggera: deve solo servire a rendere il seme croccante per poterlo rompere). Gelsomini freschi sufficienti da mescolare con detto caccao, facendo strato sopra strato in una scatola, o altro arnese, e si lasciano stare 24 ore, e poi si levano, e si tornano a mettere altrettanti in esso caccao, facendo strato sopra strato come prima; e così ogni 24 ore si mettono gelsomini freschi per dieci o dodici volte (questo è il processo di “impregnazione” del cioccolato che dura 10-12 giorni). Poi piglia zucchero bianco buono asciutto 350 g. Vaniglia perfetta 10 g. Cannella fina perfetta 10 g. Ambra grigia 0,25 g (di difficile reperibilità: si può eliminare o usare una goccia di olio essenziale aggiunta direttamente al composto lavorato) e secondo l’arte si fa il cioccolate (e cioè, macinare finissimamente tutto il composto su una pietra calda – ma non bollente – fino a ottenere una pasta, da sciogliere in acqua o latte).


Questo testo sarà letto al FESTIVAL DEI SENSI XIV edizione che si svolgerà  il 17, 18, 19, 20 AGOSTO 2023 a Martina Franca, Cisternino, Locorotondo, Ostuni nella Valle d’Itria in Puglia.

Le viti, e gli alberi: querce, roverelle e poi lentischi e lecci e il re ulivo dominano e disegnano il paesaggio della Valle d’Itria, la valle dei trulli. Erbe e ortaggi crescono spesso spontanei tra queste colline e innumerevoli specie si diffondono in una danza del verde, grazie al vento e agli insetti che vagano come messaggeri di semenze.

Di semi che nascono, germogliano, si diffondono e si tramandano parlerà quest’anno il Festival dei Sensi. 

Ricchezza e povertà, avventure e sorprese saranno al centro di Caffè, spezie e cioccolato, un percorso degno di un romanzo per i semi più superflui e intriganti di sempre. A parlarne Francesco Antinucci, già direttore di ricerca all’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR.

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