Miti nel senso di silenziosi, solitari, distanti dagli eccessi. Nessuno ha detto loro di essere così, lo sono e basta. Per brevità potremmo chiamarla "radice Zoff”, chi vince senza apocalisse, senza commedia all’italiana. Quelli che stanno dentro l’autentica sportività, fuoriposto nelle passerelle, un tono sotto. È l’età dei Sinner, dei Ganna, dei Bagnaia; di Lisa Vittozzi, Bassino e Quadarella
Non è detto che a produrre grandi imprese sportive siano sempre i miti facendo coincidere la mitezza di carattere e d'animo con la capacità di coagulare desideri collettivi, anzi, più spesso il mito non è mite per nulla.
Il narcisismo accentuato si innesta sull'impresa sportiva incarnando lo sportivo italiano che può tutto proprio perché capace di dissiparsi e cacciarsi in angoli morti o di mortificazione.
Complice la commedia all'italiana: il paese è più pronto al casinista che al mite, più preparato al cazzaro che all'integerrimo – ogni riferimento alla classe dirigente è voluta – e invece da qualche tempo l'orizzonte sportivo italiano è occupato da brave ragazze e bravi ragazzi, in comune quella che per brevità potrebbe "radice Zoff", cioè chiamare di chi vince senza apocalisse, di chi riesce a fare grandi imprese sportive senza l'aggiunta di grande chiasso prima e dopo, intorno o sotto.
Una Italia diversa, silenziosa, solitaria e familiare, o comunque senza insufficienze comportamentali. Un altro modo di stare in campo, in pista, in piscina, in strada. Un altro modo di essere italiani.
Un cambiamento antropologico notevole, anche se ancora di minoranza. Italiani che non si preoccupano di rispettare i pregiudizi, come invece fanno ministri, presentatori tv, starlette, cantanti.
Capaci di stare in vetta eppure di lato, di stare in copertina eppure di conservare la timidezza, di incidere sui desideri collettivi eppure di avere ancora una cameretta dove regna il pudore, poi, forse, con gli anni, cederanno anche loro agli infradito della volgarità , diventeranno anche loro dei barbari, ma ora, qui, nel casino di questi anni, sono una oasi di perfezione, per quanto provvisoria e senza progetto comune: nessuno ha detto loro di essere così, lo sono e basta.
Tanto che per la prima volta prendiamo le loro foto singole e le mettiamo insieme come si faceva a fine anno scolastico per fermare il tempo e poi rimpiangerlo o vantarsene, che classe.
La formazione
Da sinistra a destra, dal campo di tennis alle piste di sci, dalle strade del mondo abbassandosi nelle curve di ogni continente per arrivare ai trampolini delle piscine olimpioniche di ogni paese a prescindere dalle guerre e dalle divisioni, il catalogo è questo, anzi, no , la formazione della prima fila è questa: Jannik Sinner, Marta Bassino, Lisa Vittozzi, Filippo Ganna, Francesco Bagnaia, Gregorio Paltrinieri e Simona Quadarella, ma altri ancora ce ne sono e altri – si spera – ne verranno.
Il punto non è il quando ma il come. Dimenticate i Fabio Fognini, i Gianmarco Pozzecco, i Filippo Pozzato, i Valentino Rossi e le Federica Pellegrini e imparate questi nuovi nomi, introiettate queste nuove facce, cancellate gli Acerbi e gli stadi che li sostengono – o anche i siti ei giornali che li difendono – e saltate sul carro dei miti, i nuovi miti, quelli che non fanno “ammuina” ma vincono, esibendo solo la purezza del gesto, il racconto – sottovoce – del sacrificio e poi sorridono, anche quando perdono.
Insomma, quelli che stanno dentro l'autentica sportività, sempre un po' fuoriposto nelle passerelle, poi ci vanno, poi si lasciano intervistare, poi raccontano la cucina e l'amore, ma un tono sotto, con un particolare in meno e che, soprattutto, riescono a staccarsi dall'esibizione rimanendo nell'ossessione (sportiva).
Non stracciandosi le vesti, non dissipandosi, non perdendosi, non urlando, tutte azioni rivoluzionarie in un paese che vive di teatralità in un continuo talk show.
La radice Zoff
Il risvolto umano dello sport, quello che non abusa del consenso, ma nemmeno lo soffre. I Dino Zoff, capaci di dimettersi dal CT della nazionale di calcio per un giudizio incongruo del presidente del consiglio, il fu Silvio Berlusconi, che strologava di marcature su Zinédine Zidane in una finale persa sul golden gol, una assurdità.
I Dino Zoff che come premio dopo aver vinto un mondiale di calcio – a Spagna '82 – che mancava all'Italia da più di quarant'anni finisce a fumare una sigaretta all'alba con Gaetano Scirea – irreplicabile – scavando nel caos della festa una grotta del silenzio.
Dove l'irriverenza non è la sigaretta, ma la pubblica ammissione di trasgressione sportiva per i due samurai calciatori che, però, avviene dopo anni e come testimonianza del si può fare ma senza esibizione.
Perché i nuovi miti sono capaci di tenersi a distanza dallo sbrago, non lasciandosi contaminare dall'effimero, creando un nuovo repertorio per la gloria sportiva. Scolpendo l'esempio, forgiando il carattere di chi vuole e dovrà imitarli, non avendo il timore di non essere visti, ascoltati, seguiti. Vincono senza lamentarsi né recriminare. Verrebbe da dire che vincono e basta.
Basta ricordare come Jannik Sinner ha sopportato le fughe strategiche in bagno del campionissimo Novak Đoković durante la Coppa Davis, o come in questi giorni Pecco Bagnaia sta sopportando gli attacchi – con caduta – di Marc Márquez e della sua corte di bravi manzoniani.
Grazie a queste ragazze ea questi ragazzi si crea una possibilità che scavalca la solita chincaglieria parlamentare o peggio governativa. Per un ministro che tradisce il suo compito c'è uno di questi sportivi che supplisce riannodando l'idea di stato, è già successo in passato in Sudamerica dove lo sport diventava l'altro governo, l'altro paese, l'altra possibilità d 'essere.
Lo scrittore russo Sergej Dovlatov diceva di aspettarsi una parola di verità solo dagli altri scrittori russi rispetto al governo e alla Chiesa, immaginando uno stato di scrittori, inimmaginabile in Italia perché la maggior parte non ha etica, mentre tra gli sportivi – a radice Zoff – quasi miracolosamente l'etica c'è e si vede.
Una nuova stagione
Forse la loro è solo timidezza, ma mancano i dialoghi efferati, mancando la commediaccia si finisce nel precedente positivo. Si crea un nuovo album di figurine senza la faccia sporca, ma solo segnata dal sudore del casco, della salita, del rovescio o contaminata dal cloro e dal gelo.
Nuovi corpi per nuove figurine che faticano a trovare l'esaltazione corale ma poi si piazzano in testa senza possibilità d'essere smossi. E soprattutto sembrano già essere nati senza alcuni difetti: senza razzismi né discriminazioni, senza prevaricazioni – se non quella agonistica –, senza inclinazioni agli imbrogli, senza fughe rispetto agli errori, onesti e miti. Miti d'una nuova stagione.
Che non partono più dal presupposto che la vittoria concede tutto, ma lo rovesciano proprio perché vittoriosi: conservando un profilo basso, l'ultima possibilità di essere anche un po' normale.
Potrebbe essere egoismo, in realtà è una forma complessa di altruismo. Potrebbe essere istinto di conservazione, in realtà è un nuovo modo d'essere italiani.
Ovviamente dietro di loro, visti non visti, ci sono padri e allenatori, mamme e fidanzate/i, una catena d'affetti e di disciplina che fatica all'unisono, che contribuisce alla resa e alla difesa del progetto sportivo.
E che poi esce dagli spogliatoti, dalle stanze di albergo, dai loro sport e arriva nelle piazze, negli appartamenti e nelle ville e si insinua come scirocco urtando la suscettibilità ei cattivi esempi, divenendo bozza di futuro. Nuova sceneggiatura.
Atto di meraviglia e non più semplice discussione o delusione cocente. Tanto che la sconfitta viene accettata, quasi contemplata, perché c'è tutto il resto, un meraviglioso pacchetto di gesti e parole che confortano anche senza la corona della vittoria. Che poi quando arriva è ancora più formidabile perché autentica e di radice anomala e di minoranza. Il dettaglio del mito.
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