Lo scrittore norvegese è morto a 83 anni, in italiano i suoi libri sono pubblicati dalla casa editrice Iperborea. La sua lotta esistenziale è stata anche politica. Era un socialista, credeva nel miglioramento del mondo, si disperava nel vedere la socialdemocrazia della sua Norvegia erosa dal consumismo. Nelle sue pagine la storia procede in un blocco dove tutto è mescolato: ricordi, pensieri, dialoghi, monologhi, azioni
Lo scrittore norvegese Dag Solstad è morto a 83 anni per un arresto cardiaco. Solstad è stato uno scrittore dalla prosa distintiva, si divertiva a sperimentare e cercare forme libere. Nel corso degli anni la sua opera è stata tradotta in diverse lingue e ha trovato nuovi lettori in giro per il mondo. In italiano i suoi libri sono pubblicati dalla casa editrice Iperborea. Una leggenda narra che la scrittrice statunitense Lydia Davis abbia imparato il norvegese a forza di leggere Solstad.
«Dubito che sarei diventato scrittore senza aver letto Knut Hamsun da adolescente», raccontava Solstad in una vecchia intervista a Paris Review; «Volevo scrivere libri che facessero quello che i libri di Hamsun hanno fatto con me». Knut Hamsun è sceso sulla letteratura norvegese come una fiamma, il visionario modernismo di Fame ha cambiato la mente del lettore norvegese e le aspirazioni di chi voleva mettersi a scrivere. Anche Karl Ove Knausgaard riconosce il debito verso Hamsun nella sua titanica lotta di scrittura. Hamsun è una specie di origine. Secondo Isaac B. Singer da Hamsun è venuta fuori tanta letteratura quanta in Russia dal cappotto di Gogol.
Il metodo norvegese
Si potrebbe azzardare a dire che, dai germogli della terra fino a Dag Solstad, in Norvegia non si riesca a smettere di scrivere. Una popolazione di cinque milioni di abitanti, poco meno di quelli della regione Lazio, e una misteriosa compulsione letteraria. Tra i norvegesi che hanno vinto il Nobel per la Letteratura ci sono lo stesso Hamsun, la scrittrice Sigrid Undset, e il più contemporaneo Jon Fosse. Undset e Fosse sono le anime religiose, coloro che hanno trovato la luce divina in fondo alla foresta. C’è chi ha dovuto scavare sul fondo dei boschi e chi ha lottato con il quotidiano estraendo parole. Ci sono i mangiacarte selvaggi e gli annotatori.
Dag Solstad si muoveva in un margine, in un limite della realtà. La sua lotta esistenziale è stata anche politica. Era un socialista, molto distante dal pensiero di Hamsun, che aveva finito per avvicinarsi al nazismo. Solstad credeva nel miglioramento del mondo – e un po’ si disperava nel vedere la Norvegia ridotta all’individualismo, con una socialdemocrazia sempre più erosa dal consumismo. Il giovane Solstad marciava con i lavoratori e si portava dietro le sue utopie nella tasca. Sul taccuino cercava di annotare l’inesprimibile. Tentativo di descrivere l’impenetrabile racconta con disincanto il passaggio dallo spazio sociale al ritiro nell’individualità avvenuto in Norvegia e un po’ ovunque alla fine del Novecento. Naturalmente non è tutto qui: perché l’impenetrabile che tenta di cogliere Solstad non è solamente il sociale, ma l’umano. C’è nel Tentativo una trama che si risolve poco alla volta, una pulsione verso la tristezza. E c’è nella scrittura di Solstad una tensione tra un’aspirazione sociale e una resa di conti pessimista alla realtà.
Le sue figurine
I suoi personaggi possono essere i più esistenzialisti tra la gente comune, i più disperati, i più solitari e assurdi. In Romanzo 11, libro 18 Bjørn Hansen è un esattore delle tasse che nel tempo libero fa l’attore. Timidezza e dignità racconta la vicenda umana di un professore di norvegese che a scuola insegna Ibsen, ha scatti di rabbia per piccolezze, nel tempo libero immagina di fare un’audizione per diventare il personaggio di un romanzo di Thomas Mann.
Il margine da cui scrive Solstad è la lateralità della mente umana, la voce e i collassi interiori dei personaggi, quello spazio misterioso anche detto “sottosuolo”. Nelle pagine dei suoi libri la storia procede in un blocco dove tutto è mescolato: ricordi, pensieri, dialoghi, monologhi, azioni; un modo di procedere da ossesso continuamente alla ricerca.
Aveva scritto un romanzo di sole note a piè di pagina – Armand V. Aveva raccontato la luce e il buio, la città di Oslo, i cambiamenti delle generazioni norvegesi, la malinconia e il quartiere di Romsås, progettato da sogni di collettivismo e ridotto al deserto solitario dell’uomo moderno. Come tutti, Dan Sostag aveva amato, fantasticato, si era torturato e arreso. Se n’è andato poco prima dell’arrivo della primavera, con la moglie al fianco. Si dice che abbia lasciato scritti ancora inediti.
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