Basandosi esclusivamente sullo schema elaborato da T. H. Marshall si sarebbe indotti a elaborare la cittadinanza alimentare come un mero diritto al cibo. Che dunque verrebbe elaborato come un diritto di dignità e sicurezza, essenzialmente come l’affrancamento da una condizione di bisogno. (…) La food citizenship è molte altre cose rispetto a una mera questione di diritti.

Cionondimeno, la cittadinanza alimentare è anche un diritto. Ciò significa va analizzata anche a partire da questo registro, per capire se intersechi soltanto la classe dei diritti sociali e in quale misura, o se viceversa faccia riferimento ad altre classi di diritti.

I diritti sociali

Il nesso fra cittadinanza alimentare e diritti sociali è quello che in modo più diretto viene indicato per definire i contenuti della food citizenship. (…) Il cibo è certamente l’oggetto di un diritto fondamentale della persona. Lo è innanzitutto nei termini dell’accesso. In una prospettiva di diritto di cittadinanza universale, esso dovrebbe essere elaborato come un bene da garantire a ogni cittadino del pianeta. Proprio questo aspetto del diritto al cibo come diritto globale è però ciò che rende problematico limitare la cittadinanza alimentare entro il perimetro dei diritti sociali. Tale problematicità è legata ad almeno due condizioni. La prima condizione è che, fra le classi di diritti individuate da Marshall, proprio i diritti sociali sono quelli più strettamente vincolati ai sistemi nazionali della cittadinanza e ai programmi di welfare implementati dai governi, sia di livello centrale che di livello locale.

La seconda condizione è che, se proiettato su un piano globale, il diritto al cibo viene inserito in un contesto tematico molto più ampio, che riguarda i sistemi alimentari e il loro impatto di portata globale in termini di equità distributiva, giustizia sociale, incidenza ambientale e infine, elemento tutt’altro che secondario, definizione di quale sia l’effettivo contenuto di un diritto al cibo (…). Il mero accesso al cibo non può essere un contenuto sufficiente di questo diritto.

I diritti civili

(…) Delle tre classi di diritti di cittadinanza individuate da T.H. Marshall, proprio (quella dei diritti civili) è la meno associata dalla letteratura scientifica al profilo di cittadinanza alimentare. Una rapida rassegna bibliometrica condotta attraverso i motori di ricerca di estrazione accademica (…) produce soltanto risultati indiretti. Cioè, non si trova un nesso immediato fra cittadinanza alimentare e diritti civili, ma piuttosto vengono effettuate associazioni che rimandano alla sfera delle libertà civili (…), o al rapporto fra cibo e diritti umani (…). Un altro filone privilegiato dalle scelte dell’algoritmo insiste sul ruolo della società civile che, in quanto attore collettivo orientato a mobilitarsi per la realizzazione del bene comune, è pronta a raccogliere la sfida di misurarsi anche su questo fronte (…). Quest’ultimo è un approccio convincente. Ma con un’avvertenza: è necessario proiettare il piano dell’analisi da un livello individuale a un livello collettivo.

Il motivo sta nel fatto che la classe dei diritti civili è la più individuale fra le tre indicate da T. H. Marshall e sollecita la propensione all’emancipazione personale. I diritti sociali sono prestazioni e hanno l’effetto di rafforzare il vincolo tra individuo e comunità. E quanto ai diritti politici, specie se si guarda alla loro dimensione associativa in vista del conseguimento di fini collettivi (sindacati, partiti), essi comportano l’impegno collettivo. Invece i diritti civili, in quanto diritti di libertà della persona, sono puramente personali e come tali sono declinati. Con riferimento alla cittadinanza alimentare, la dimensione civile viene dalla possibilità di realizzare sistemi alimentari che garantiscano una reale libertà di azione e scelta come precondizione per l’esercizio della libertà individuale in campo alimentare.

Quest’ultima è data dalla capacità di consumare in modo informato e responsabile nell’arena del mercato alimentare. Ma senza la realizzazione delle precondizioni necessarie questo esercizio di libertà ed emancipazione individuali rischia di rimanere allo stato di petizione di principio. (Ne deriva) che una reale possibilità di emancipazione, dunque l’affermazione dei diritti civili nel campo della cittadinanza alimentare, avviene nel momento in cui il soggetto può cominciare a rapportarsi col cibo non più in termini di bisogno ma in termini di libertà (…). E la libertà in oggetto è una questione di affrancamento dagli schemi di consumo ripetitivi o forzati, con espansione del comportamento verso cibi alternativi ma anche verso stili di consumo più sobri. Prendere le distanze dal cibo, inquadrarlo come un oggetto di consumo consapevole, inserirlo in uno schema delle libertà per cui esso prende sia la dimensione di «libertà di» che di «libertà da»: sembra proprio questo il registro che maggiormente approssimala classe dei diritti civili al profilo di membership della cittadinanza alimentare.

I diritti politici

Delle tre classi di diritti di cittadinanza delineate da T.H. Marshall, quella dei diritti politici è la più pertinente rispetto al profilo della cittadinanza alimentare. (…) Si può sostenere che il profilo di cittadinanza alimentare si sviluppi a partire dal diritto al cibo, da inquadrarsi come diritto sociale; che successivamente essa evolva verso una forma matura di diritto civile; e che nel mezzo si sviluppi la gamma dei diritti politici, che in parte sono generati dalla spinta a trasformare la necessità in diritto opzionale, ma per altra parte sono essi stessi a determinare una ristrutturazione del campo dei diritti e a definirne i contenuti.

Nel campo della cittadinanza alimentare i diritti politici si esprimono attraverso la capacità di mobilitazione strutturata, con lo scopo di incidere nel campo delle politiche alimentari dei governi nazionali e delle agenzie internazionali, ma anche di sottoporre a controllo e condizionamento l’azione dei colossi privati dell’agroalimentare. Va rimarcato che il cibo è un business fra i più rilevanti dell’economia globale, e che la catena industriale che lo governa è fra le più impattanti in termini ambientali. Le stime presentate nel 2022 dal World

Economic Forum hanno descritto l’agroalimentare come un’industria da 10 trilioni di dollari, che corrispondono al 12% del Pil globale. Il settore assorbe il 40% della forza lavoro mondiale, ciò che certifica l’apporto in termini di crescita e benessere. Al tempo stesso, esso risulta contribuire per un terzo alle emissioni complessive di gas serra, incide per il 70% sul consumo di acqua e per l’80% sulla deforestazione (…). Cifre così imponenti descrivono una volta per tutte l’immensità dello scarto che passa fra il nostro piatto e il sistema globale dell’economia e della sostenibilità. Il contenuto politico del cibo è immerso nell’oggetto, sta all’attore sociale coglierlo nel momento stesso in cui vi si rapporta adottando i comportamenti da consumatore.

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