Diffusissima, la Bibbia ebraica e cristiana è sempre stata utilizzata anche politicamente. Nei paesi di tradizione cattolica come l’Italia, la Spagna, il Portogallo – in parte anche la Francia, che ha però una storia del tutto peculiare – l’uso politico dei testi sacri è stato meno frequente, perché dopo la Riforma protestante la loro lettura è stata scoraggiata e proibita dalle autorità ecclesiastiche fino a mezzo secolo fa.

Altrove, soprattutto negli Stati Uniti e in Israele (ma anche nella cultura politica britannica), la storia è ben diversa, fino alle attuali elezioni presidenziali americane e alla feroce guerra scatenata da Hamas.

Sin dalle origini hanno avuto un significato anche politico parole antichissime come quelle del Deuteronomio (6,5) ripetute nello shemà, la preghiera quotidiana ebraica: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutte le tue forze». Eckart Otto ha rilevato che la medesima formulazione era usata come giuramento di fedeltà richiesto dal sovrano assiro.

Divengono allora chiarissime le conseguenze politiche della frase biblica, che suona dunque come un’affermazione contraria a ogni potere – anche dei re d’Israele – di fronte al dovere nei confronti di Dio.

Cuore delle Scritture ebraiche è la tradizione sulla liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto. Da qui parte un intelligente e documentato libro sull’uso politico della Bibbia – La utilización política de la Biblia (Editorial Verbo Divino) di Rafael Aguirre, con un epilogo di Julio Trebolle, tra i migliori biblisti contemporanei – che viene analizzato in cinque contesti: Stati Uniti, Israele, Africa del sud, America latina, Regno Unito.

Il mito fondatore

Per quanto riguarda questo mito fondatore ebraico, reinterpretato dall’esilio babilonese nel VI secolo prima dell’era cristiana fino a oggi, non solo sono state lette politicamente l’oppressione subita dagli ebrei e l’uscita miracolosa dall’Egitto.

Significativo è stato considerato anche l’errare degli israeliti nel deserto per quarant’anni; Dio infatti – scrive Aguirre – «non voleva semplicemente liberarli dalla schiavitù, ma che fossero un popolo di persone libere, e questo esigeva una lunga e dura pedagogia». Lo spiegava nel medioevo Maimonide: affinché «l’anima torni coraggiosa» e il popolo «si abitui a nascere senza l’umiliazione della servitù».

Sono le stesse Scritture a rileggere il mito fondatore dell’antico Israele, e dal V secolo prima dell’era cristiana – nell’età persiana e in quella ellenistica – i libri profetici e sapienziali si fondano sull’epopea dell’esodo dall’Egitto per aprirsi all’attesa di un nuovo esodo alla fine dei tempi.

E poco più tardi le interpretazioni politiche della Bibbia divengono apocalittiche, condizionate dalle guerre dei maccabei contro i sovrani seleucidi della Siria e da quelle giudaiche contro i romani, che si concludono con la disfatta e segnano uno spartiacque nella storia ebraica.

Letture contrapposte

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In tempi recenti le letture bibliche continuano a contrapporsi, come mostra il caso della politica dell’apartheid in Africa del sud. Questa viene giustificata sulla base delle Bibbia tra il 1943 e il 1974 dalla chiesa riformata olandese. Ma il confronto sui testi sacri si accelera e il segregazionismo è respinto da diverse chiese come «errore» nel 1986, finché nel 1990 viene considerato «inaccettabile» e definito «peccato». E nel 1994, eletto presidente Mandela, si costituisce la Commissione per la verità e la riconciliazione guidata dall’arcivescovo anglicano Desmond Tutu.

Il caso della Bibbia nei conflitti politici in America latina è ben conosciuto dallo spagnolo Aguirre, che ha insegnato anche nell’Università centroamericana di San Salvador, segnata nel 1989 dal massacro di sei gesuiti da parte dell’esercito. Molto partecipe e informata è dunque la sua analisi, sin dall’antefatto della difesa degli indigeni schiavizzati dagli spagnoli condotta dai frati domenicani Antonio de Montesinos, nel 1511, e Bartolomé de las Casas, nel 1514.

Pur vicino alla lettura «popolare» della Bibbia delle comunità di base, approvata già nel 1962 dai vescovi brasiliani, Aguirre ne critica però con nettezza le interpretazioni rivoluzionarie e mostra i limiti politici, ma anche culturali, della teologia della liberazione.

Descrive quindi la quasi sparizione di queste due correnti, il successo dell’indigenismo e dei populismi, l’involuzione dittatoriale del sandinismo di Daniel Ortega in Nicaragua, il complessivo arretramento della chiesa cattolica in tutto il subcontinente e l’avanzata impressionante di pentecostali ed evangelici, con il corollario di inaccettabili – e culturalmente inconsistenti – letture fondamentaliste delle Scritture.

L’influenza negli Usa

Negli Stati Uniti decisiva, nonostante la secolarizzazione, resta l’influenza della Bibbia nella politica attuale, soprattutto a partire dalla presidenza di Reagan, fino al duello tra Trump e Biden. Le radici risalgono al 1620, quando i «padri pellegrini» (Pilgrim Fathers), partiti dall’Inghilterra, sono decisi a stabilire oltre l’oceano «una città su un monte», che richiama quella descritta dall’evangelista Matteo (5,14).

La rivoluzione americana – così diversa da quella francese – diviene allora un nuovo esodo dall’Egitto e il suo primo presidente, George Washington, un nuovo Mosè (ed «è molto significativo che lo si chiamasse il Mosè, non il Davide, d’America»).

Sullo sfondo della tremenda guerra civile, che insanguina gli Stati Uniti tra il 1861 e il 1865, si scontrano anche interpretazioni opposte della Bibbia. La schiavitù viene giustificata con l’inferiorità di Cam, figlio maledetto da Noè (Genesi 9,25), poi per reazione alcuni afroamericani si ritengono discendenti degli antichi ebrei (con ondate di ritorno in Africa, nel 1877 e nel 1890), finché nella seconda metà del secolo scorso i testi biblici alimentano il movimento dei diritti civili. Memorabili per l’uso politico della Bibbia sono la figura di Martin Luther King e due suoi discorsi intrisi di riferimenti scritturistici. Nel primo, il 28 agosto 1963 a Washington, per ben otto volte ricorre la celeberrima frase I have a dream, «un sogno – dice – radicato profondamente nel sogno americano»: allora «ogni valle sarà innalzata, e ogni montagna e ogni collina saranno abbassate, le strade scoscese diverranno piane e le tortuose diritte, e la gloria del Signore sarà rivelata e tutti gli uomini uniti la vedranno» dice citando il profeta Isaia (40,4) il pastore trentaquattrenne.

Nel secondo discorso, il 3 aprile 1968 a Memphis, la spiegazione e l’esaltazione della non violenza si accompagnano al presagio della propria morte. Qui l’allusione è a Mosè morente che dal monte Nebo vede la terra promessa dove però non entrerà, come si legge nella conclusione del Deuteronomio. «Voglio solo fare la volontà di Dio. E lui mi ha concesso di salire sulla cima del monte. E io ho guardato da qui. E ho visto la terra promessa. Potrei non entrarvi con voi». Il giorno seguente Martin Luther King viene assassinato.

La nascita del sionismo

Altrettanto presente è la Bibbia nella politica dello stato israeliano. Anche se agli inizi il progetto di Theodor Herzl è totalmente laico, al punto che la Scrittura non è nemmeno menzionata nella sua opera su uno «stato degli ebrei» (Der Judenstaat). Al primo congresso sionista, che si tiene a Basilea nel 1897, assiste però una delegazione di cristiani, frutto di un «protosionismo» risalente al pastore anglicano dissidente John Nelson Darby, attivissimo negli Stati Uniti.

Qui si costituisce poi un forte movimento sionista di stampo evangelico che, dopo la proclamazione dello stato d’Israele nel 1948, sostiene sempre più la politica filoisraeliana statunitense.

Nel movimento sionista ebraico coesistono invece una componente laica e socialista, all’inizio maggioritaria, e una piccola minoranza conservatrice radicalmente ostile agli arabi. Ma poi, dal 1977, il vento cambia. I contrasti – con usi politici dei testi sacri da parte dei partiti estremisti, come sulla questione dei confini biblici della terra d’Israele – s’incendiano e polarizzano il paese. Fino all’ultima sanguinosa guerra.

L’eccezione britannica

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Aguirre analizza infine l’intrigante eccezione britannica, dove la Bibbia gioca un ruolo di rilievo nella politica. Dalla rivoluzione del secolo XVII alla nascita del laburismo, e dal discorso con cui David Cameron celebra nel 2011 il quarto centenario della Bibbia di re Giacomo fino ai funerali di Elisabetta II e all’incoronazione di Carlo III, unto re dal primate anglicano con l’olio sacro benedetto appositamente a Gerusalemme.

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