«C’era una volta Sogno, una ragazza bellissima. Sogno si chiamava così perché così avevano voluto i suoi genitori. Avevano pensato che fosse un dono, che Sogno fosse un nome magnifico in qualunque lingua. Non sapevano che ogni lingua considera il proprio sogno più bello di quello degli altri».

Sembra l’inizio di una fiaba, ma in realtà è la storia di un’orfana cresciuta dalla nonna in una città-discarica dove il mare s’intravede solo in lontananza oltre i cumuli di latta e il filo spinato. Nessun principe azzurro arriverà mai, nessuna carrozza a salvarla, nessun incantesimo a trasformare i suoi sogni in realtà. Il paese in cui vive l’eroina è un «inferno in cui da sempre correva il fuoco e scorreva il sangue. Uno di quei paesi che non conoscono mai tregua né respiro dove nei raccolti, invece che grano, riso e mais, si mietono migliaia di vite, animali e umane».

David Diop, vincitore del Premio Strega Europeo 2019 per Fratelli d’anima, romanzo consigliato anche da Barack Obama, ci regala questa volta un racconto iniziatico sull’ingiustizia del mondo, una favola moderna sull’emigrazione e l’esilio. Il paese di Sogno (Neri Pozza, settembre 2024) è un racconto per giovani lettori che, attraverso la poesia e l’immaginazione, esorcizza la violenza e la crudeltà della realtà. Lo scrittore nato a Parigi, ma cresciuto in Senegal, ha deciso di raccontare di una ragazza qualunque in un luogo imprecisato perché la sua diventasse una storia universale. Su chi parte, o spesso fugge, su chi arriva ma spesso non viene accolto, su chi sogna un’altra vita possibile ma non ha sempre la fortuna di viverla.

Grandi vigliacchi

«Ho scelto di chiamare l’eroina Rêve, cioè Sogno in italiano, per offrire una lettura allegorica del racconto». Per lo stesso motivo chiama la nonna Speranza. «Volevo suggerire che Sogno e Speranza formano una coppia, che Speranza si nutre di Sogno. Per questo, in diverse occasioni, ho specificato che il personaggio di Rêve porta il cibo a sua nonna. La speranza ha bisogno di sogni per mantenersi in vita».

E il paese in cui vivono Sogno e Speranza è governato da quelli che lo scrittore chiama i “grandi vigliacchi”, ovvero «tutti i potenti del mondo che fanno lavorare il popolo non per il bene comune, ma per il proprio e per quello della loro famiglia in particolare. I grandi vigliacchi nel Paese di Sogno sono i tiranni e i despoti che si mantengono al potere con la forza delle armi per continuare a sfruttare la ricchezza senza condividerla con i loro concittadini».

Il paese di Sogno in questo senso assomiglia a un racconto filosofico. «Rêve ed Espérance ricordano i personaggi dei contes philosophiques di Voltaire, dove i protagonisti non sono personaggi di un romanzo, ma concetti al servizio di una dimostrazione». Ma è anche un «racconto di iniziazione incompiuto. Perché sta al lettore scoprire la fine del viaggio di Rêve».

Potere femminile 

Il paese di Sogno è inoltre una riflessione sulla potenza del femminile che spesso costituisce un rischio e una minaccia per l’uomo nelle società patriarcali. «Nel paese di Sogno la bellezza era un pericolo, per una ragazza, un incitamento al delitto. In attesa di tempi migliori, la nonna di Sogno l’aveva imbruttita ricoprendola di stracci, sporcizia e miseria», scrive David Diop in questo racconto delicato e struggente.

«La bellezza può esporre le donne alla predazione in molti luoghi del mondo, così le prede si devono mimetizzare e rendersi invisibili per sfuggire ai predatori». Perciò Sogno per sopravvivere è costretta a uscire solo di notte ricoperta di stracci, che in fondo non sono altro che i sogni di qualcun altro ormai abbandonati nella città-discarica.

Tra plastica raggrinzita, lamiere a brandelli e cartoni ammuffiti di una città scurita dal fumo delle immondizie, ci facciamo strada nel paese di Sogno. «Non è un paese specifico, perché ce ne sono di simili in ogni continente, in Asia, in Africa, in America e anche in Europa». Inevitabile non pensare ai tanti luoghi del mondo, abitati da miseria, orrore e violenza, dove l’unico desiderio possibile è quello di fuggire. La letteratura, a differenza della cronaca che snocciola fatti, cifre e statistiche, può far provare ciò che motiva spesso le partenze, può far vivere l’inferno dove è impossibile anche sognare. «Se la letteratura non può cambiare il mondo, può almeno contribuire a rendere i lettori più consapevoli del loro ambiente sociale, politico e culturale».

Realtà in filigrana

Del suo Senegal, invece, David Diop non ha voluto lasciar traccia, ma ammette di aver creato il paese di Sogno tenendo a mente alcune immagini reali, come per esempio le «discariche di vestiti sulle spiagge di Accra in Ghana o le bidonvilles di Manila». 

La realtà quindi si intravede in filigrana nella narrazione. «Ho incontrato molti migranti a Pau, in Francia, dove vivo e insegno (letteratura francese all’università). Ho letto molte testimonianze di giovani, di cui molti bambini arrivati da soli soprattutto dall’Africa occidentale, alcuni dalla Costa d’Avorio e dal Senegal. Sono storie violente e crudeli in cui la realtà supera di gran lunga la finzione».

Ma David Diop ha bisogno di prendere le distanze dall’orrida realtà per poterla raccontare, senza però mai edulcorarla. «Mi sembra che la poesia e, più in generale, il racconto mi abbiano permesso di scrivere di un argomento che mi stava a cuore senza cadere nella trappola di cercare di imitare un’esperienza di vita che non avrei vissuto personalmente. La narrazione è universale: non ambientando i personaggi in luoghi reali, lascia allo scrittore e al lettore una maggiore libertà di immaginazione. Ed è a questa condizione che la finzione può diventare realtà. La narrazione permette al lettore di risvegliare la propria sensibilità, la propria intelligenza del cuore».

La doppia sensibilità 

In quanto scrittore franco-senegalese, David Diop si ritiene fortunato di avere una doppia sensibilità che permette di vedere il mondo da diversi punti di vista e orizzonti culturali. «Ciò che in Europa e in generale nei paesi occidentali diamo per scontato in termini di bisogni primari (salute, casa, istruzione, lavoro), manca in molti altri paesi del mondo. Godiamo di tutti questi vantaggi senza pensarci, sottovalutando il fascino che invece questi esercitano su chi viene da paesi meno fortunati».

In una Francia che oggi deve fare i conti con il suo passato coloniale, «combattuta tra una forma di negazione da un lato e di lucidità dall’altro», Diop sente il peso della scrittura come impegno politico. «Gli scrittori adoperano le loro armi, quelle della letteratura: incoraggiare i giovani lettori a riflettere sul mondo, senza costringerli a pensare in modo unilaterale».

La scrittura poetica e immaginifica di David Diop è, dunque, una porta aperta alla speranza; la scrittura è sogno. «Una parola dal significato antico che esprime quello che secondo me è il potere dello scrittore. Sognare non significa solo fantasticare, ad occhi aperti o meno, ma anche meditare, pensare, riflettere». Il sogno per Diop quindi non è mai rêverie fine a sé stessa, ma un modo di riscrivere il mondo.


Il paese di Sogno (Neri Pozza 2024, pp. 64, euro 6) è un libro di David Diop

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