Nella letteratura siamo sempre andati a cercare le cose che non avevamo la forza di dire (o ascoltare) altrove. Guadalupe Nettel ha la capacità, utilizzando una lingua nitida e sempre accogliente per il lettore, di addentrarsi in ciò che rende la letteratura un campo autonomo, descrivendo la realtà
Se dovessi scegliere un libro recente o un autore di questi anni per mostrare a chi ignorasse del tutto cosa intendiamo, o dovremmo intendere, per “letteratura” un’ottima candidata potrebbe essere Guadalupe Nettel.
Non tutta la narrativa è infatti letteraria: se è vero che si possono raccontare storie per denunciare soprusi, rievocare personaggi storici, rendere più appassionante la cronaca, strappare una risata o una lacrima, provare a fare letteratura ha invece che fare col riportare a galla – come pescatori di perle, scriveva Hannah Arendt a proposito di Benjamin – tutto ciò che non ha cittadinanza nel discorso medio, storico-politico, mediatico, o anche solo interpersonale.
Nella letteratura siamo sempre andati a cercare le cose che non avevamo la forza di dire (o ascoltare) altrove. E Guadalupe Nettel ha proprio la capacità, utilizzando una lingua nitida e sempre accogliente per il lettore, di addentrarsi in ciò che rende la letteratura un campo autonomo: l’autrice messicana (trapiantata a Barcellona) ha il talento di descrivere la realtà sotto l’influsso dello specifico letterario.
Combinando in maniera nuova e ammaliante elementi tutto sommato semplici, i libri di Nettel affrontano i nodi dell’esistenza accettando i nodi insolubili, le contraddizioni, le ambivalenze per cui si esaltano e dannano gli esseri umani. È stato così nelle sue due prime raccolte di racconti tradotte in italiano (Bestiario sentimentale e Petali), e nei suoi due romanzi, La figlia unica (finalista quest’anno all’Internation Booker Prize) e Il corpo in cui sono nata, memoir costruito a partire dal problema agli occhi che ha segnato la formazione emotiva e intellettuale della scrittrice.
Questo stesso talento si ritrova, in forma persino più concentrata, nel nuovo La vita altrove, uscito in anteprima mondiale qui da noi il 5 settembre, come sempre con La Nuova Frontiera (con la traduzione di Federica Niola).
Otto storie, ultravive perché piene di riverenza verso l’invisibile, i cui protagonisti si trovano a fare i conti la trascendenza che sempre ci caratterizza, quella la capacità, meravigliosa e terrificante, e non sempre innescata di proposito, di andare oltre noi stessi. La vita che va altrove, che si sposta da dove abbiamo pensato fosse: le deviazioni e gli scivolamenti che animano questo piccolo libro sono quelle di donne e uomini la cui vita trabocca o implode seguendo i dettami, spesso incantatori, di un’anomalia, un’agnizione, una decisione irreversibile.
Storie di desiderio
Nel racconto che dà il titolo alla traduzione italiana (l’originale è invece Los divagantes), Nettel fa dire all’attore protagonista, vittima di un’ossessione immobiliare in cui si riassume la frustrazione per un matrimonio asfissiante e una vocazione interrotta: «Continuavo a chiedermi in che anno o a che chilometro avevo lasciato l’autostrada che conduceva al destino che pensavo mi spettasse o, al contrario, a quale angolo avrei dovuto svoltare per non finire in quella via piena di macchine, in quella superstrada diretta ai parchi frustrati della quarantina».
Il desiderio è sempre al centro di queste storie, e se ci hanno a lungo sempre ripetuto che i sogni son desideri, a chi fa letteratura spetta il compito di ricordarci che i desideri talvolta possono anche sconvolgere o spalancare la porta della catastrofe. Le persone non sanno cosa vogliono, e quando pensano di saperlo, si accorgono in fretta che tra la fantasticheria e il vivere spesso c’è di mezzo tutto il mare delle conseguenze.
Anche quando si prova a fare del bene – accade nel racconto La confraternita degli orfani – la nostra esperienza pregressa si mette di mezzo, e il trauma personale può diventare una convinzione letale, una lente deformante che muta la buona azione in condanna del bisognoso di turno, rendendo la virtù solo un abbaglio: «Di rado recidiamo il da farsi basandoci sul presente, e meno che mai sull’intuizione del momento. Agiamo partendo dalle esperienze positive e negative che abbiamo vissuto in passato e dai pregiudizi sulla realtà che ci siamo costruiti in base a quelle».
I tentativi umani di mettersi al sicuro possono molto poco, dato che il tempo ritorna, e i recinti fisici e razionali tendono prima o poi a cedere: «L’infanzia non finisce tutta in una volta come avremmo voluto da bambini. Rimane lì, rintanata e silenziosa nei nostri corpi maturi, poi appassiti, finché un bel giorno, dopo molti anni, quando crediamo che il carico di amarezza e di disperazione che portiamo sulle spalle ci abbia irrimediabilmente trasformato in adulti, ricompare con la rapidità e la potenza di un lampo, ferendoci con la sua freschezza, con la sua innocenza, con la sua dose infallibile di ingenuità».
Non antropocentrica
Come sempre Nettel, in questo suo ruolo da esploratrice del perturbante, si fa aiutare dalle altre specie, dal mondo vegetale ma anche dall’inanimato. Animali, piante, pietre e forze della natura (e forse del sovrannaturale) sono i ricettacoli per l’inesprimibile, in una triangolazione tra l’io, lo stato psicologico e il corpo dell’altro, sia questo un albatros, un albero secolare che inizia a morire o un incendio che tutto divora.
L’autrice messicana è un’osservatrice notevolissima non solo del mondo antropomorfo, nelle sue storie i temi eccedono i confini dell’umano, e si proiettano sul cosmo intero in una continua, e solo in parte decifrabile, conversazione: «Un uccello che ha vissuto un’esperienza forte come quella di essersi smarrito e di non poter volare a casa, può accoppiarsi solo con un altro individuo altrettanto smarrito. Nel caso, poco probabile, che uno dei due voglia – e riesca – a tornare, smette di essere un esemplare vagante?».
Corpo umano e corpo animale, radici, rami, code, zampe, boschi e volte stellate: l’empatia estetica – il sentire la vita ovunque, tracciando connessioni e rimandi simbolici – è certamente una delle doti dello sguardo di quest’autrice, che si muove libera da mode e sbrigative pieghe consolatorie. Un’etologia del cuore che muta, quella di Nettel è una poetica delle somiglianze e delle alleanze tra gli esseri, priva di intenti edificanti, che riconcilia il reale, anche quando la perdita rimane, i conti non tornano più.
Coraggio e politica
Non c’è letteratura senza coraggio, che spesso significa apertura massima, più grande del lecito e della morale, disponibilità ad accettare anche ciò che di solito riusciamo a tollerare, sospensione che, nonostante tutto, si rinnova, e polverizza la quiete.
Anche quando tocca il tema della violenza domestica e dell’incesto – come accade nel bellissimo racconto che apre il libro – Nettel si mantiene infatti sulla soglia, costringendo il lettore a micro-oscillazioni costanti, che fluidificano il giudizio o lo rendono cangiante: «C’era dolore nello sguardo di mia madre e umiliazione in quello di mio zio. Provai compassione per entrambi».
La vittima e il carnefice, il manipolatore e il manipolato: i ruoli, pur chiari, netti, a prima vista, se si amplia la visuale rischiano di sovrapporsi, scivolare l’uno nell’altro. Un miscuglio che nasce soprattutto dal corpo e dal desiderio, dagli imprinting fondamentali che, dalla nascita in poi, si accumulano in noi, spesso negandosi a vicenda.
Abbiamo bisogno della politica, dell’attivismo e dell’impegno verso i diritti negati di chi soffre e non può difendersi da sé, ma forse, per restare in contatto con tutto ciò che ci muove e orienta, abbiamo bisogno anche delle storie in cui riannodare le matasse altrove necessariamente sbrogliate.
Ci sono casi in cui si deve inchiodare la vita a una sola interpretazione, a una sola versione dell’assiologia e della responsabilità, ma vale anche la pena – letteralmente, la fatica – di coltivare la bellezza di altre pratiche, come quella letteraria, e più genericamente quelle creative, in cui coltivare un sentire in grado di reggere la compresenza degli opposti, l’incoerenza e il dissidio sentimentale.
Uno sentire più ampio, in cui familiarizzare con ciò che più ci destabilizza, dargli una forma, fino a riconoscerne il fondo inspiegabile di vitalità e invischiante, sinistra bellezza.
La vita altrove (La Nuova Frontiera 2023, pp. 192, euro 16,50) è una raccolta di racconti di Guadalupe Nettel
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