In italiano diciamo “prestare attenzione”, come se l’attenzione fosse un bene che diamo in prestito e che ci verrà poi restituito. Naturalmente non è così: l’attenzione (come tempo, salute e opportunità), è un bene che ci attraversa e non torna più.
In italiano diciamo “prestare attenzione”, come se l’attenzione fosse un bene che diamo in prestito e che ci verrà poi restituito. Naturalmente non è così: l’attenzione, come il tempo, è un bene che ci attraversa e non torna più.
Non è un prestito
L’attenzione non può essere prestata anzitutto perché non può essere messa da parte, e cioè in qualche modo immagazzinata. L’attenzione è peggio dei beni deperibili, degli esplosivi, dei materiali radioattivi, di tutte quelle sostanze che per essere immagazzinate necessitano che si presti attenzione (presti attenzione!).
Beni che danno grossi grattacapi, ma mai quanto l’attenzione, che semplicemente a essere immagazzinata non ci sta. Vola via.
L’attenzione non può dunque essere neppure risparmiata, messa via per il futuro, in banca o sotto il materasso. Non possiamo decidere di non usare la nostra attenzione oggi allo scopo di ritrovarci, domani, con il doppio dell’attenzione, così come non possiamo mettere da parte il tempo che abbiamo oggi sperando di ritrovarci, domani, con una giornata di quarantott’ore.
L’attenzione è presente in noi, questo sì, con intensità diverse a seconda dei momenti, e dunque, se siamo stanchi, possiamo sperare di riposarci e di avere più attenzione quando saremo riposati.
Ma è poca cosa: l’attenzione si distribuisce in maniera disomogenea, in certi momenti è di più, in altri è meno, tutto lì. Non si moltiplica. E persone diverse hanno capacità di attenzione diversa, sappiamo bene che alcuni fortunati riescono a concentrarsi molto a lungo e altri fanno più fatica.
Però esclusi i casi degli eccezionalmente dotati o degli sfortunati, possiamo dire che le differenze di attenzione fra le persone non sono così marcate da creare le disuguaglianze che osserviamo nel campo, per esempio, della ricchezza.
Anche perché la ricchezza si accumula, si moltiplica, si autoalimenta, si trasmette alle generazioni… L’attenzione, come abbiamo ben capito, non fa nulla di tutto questo. Non posso lasciare in eredità ai miei figli l’attenzione che non ho usato mentre guardavo il soffitto.
Altri beni simili
Ci sono altri beni, oltre all’attenzione (e al tempo), che non possono essere messi da parte per un uso futuro, che non sono adatti al risparmio? Naturalmente sì, ed è bello citarli, perché questa loro caratteristica in fondo li rende nobili. La salute, per esempio, non si può mettere in banca, oggi c’è e domani chissà, anche se possiamo fare del nostro meglio per non rovinarla.
Ma non possiamo rinunciare a un po’ di salute da giovani per avere più salute in vecchiaia. (Se fosse possibile distribuire l’intensità dei malanni nel corso della vita vivremmo volentieri con un piccolo raffreddore costante fino al compimento dei cento anni: pensate che strategia gestionale interessante sarebbe.)
Anche le opportunità non possono essere usate in futuro: o le cogliamo adesso, mentre si presentano, o le perderemo. Alcune si ripresenteranno, alcune saranno più prevedibili di altre nel loro presentarsi e ripresentarsi. Alcune avranno una finestra di durata più lunga, ci daranno più tempo. Ma in linea di massima, prima o poi, si dissolveranno. Soprattutto le opportunità che contano veramente.
E le relazioni affettive? Be’ quelle richiedono il famoso lavoro continuo, sono come le piante e i giardini, bisogna starci molto dietro, se non ci stai dietro muoiono oppure fanno come vogliono loro, chissà.
Non possiamo cristallizzare la nostra storia d’amore perfetta di oggi e metterla da parte per continuare a viverla fra cinque o sei anni, prendendoci una pausa. Non possiamo ritrovarla intatta quando avremo voglia di riprendere ad amare. (Pensate che cosa singolare e inquietante sarebbe: togliere dall’armadio una storia d’amore conservata perfettamente e ricominciare a indossarla).
Altre cose che non si possono mettere da parte per il futuro? L’ispirazione, la creatività… Potrei andare avanti. Tornando all’attenzione, l’altro giorno riflettevo sull’uso inglese, là dove “prestare attenzione” lo traduciamo con “pay attention”: che non è prestare, ma pagare. Pagare con l’attenzione. L’attenzione in inglese è un dazio che paghiamo per ricevere in cambio conoscenza e informazioni: è sicuramente un’immagine molto precisa e attuale.
Oggi le informazioni sono tantissime, e gli stimoli sono continui. Paghiamo moltissimo, in termini di attenzione, per ricevere quella che ci sembra perlopiù confusione, violenza e insignificanza. È come se qualcuno avesse finalmente capito qual è il bene più prezioso (la nostra attenzione, appunto) e avesse deciso di svenarci per darci in cambio della paccottiglia. Di sicuro non abbiamo una strategia gestionale al riguardo.
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