Ormai anche il mondo dei cocktail si è raffinato, l’asticella si è alzata, sono finiti i tempi dell’angelo azzurro e del vodka tonic. Ora serve tecnica, e ci sono scuole e strutture dove impararle
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Il mondo del bar, dei cocktail, è cambiato. L’asticella si è alzata, parecchio, portando a un livello accettabile e, a volte, alto, più bar italiani di quanto lo sia mai stato prima d’ora.
Complice internet e i social, sicuramente, così come la produzione più massiccia di notizie sulle pubblicazioni – soprattutto online – a riguardo. E complici, soprattutto, alcuni bar pionieri che hanno scommesso fin da subito sulla qualità di un buon cocktail, sia esso di estrazione puramente classica o, più recentemente, bar che sposano un modo di vedere il bere miscelato con occhi più simili a quelli della cucina, dove preparazioni, infusioni, ridistillazioni e l’utilizzo di ingredienti inusuali la fanno da padrone.
È naturale che per arrivare ad avere un risultato del genere, l’intero settore, dal consumatore al bartender, si è mosso in maniera organica, lineare, spingendo i limiti un po’ più in là: le liste, i premi e la possibilità di avere uno sguardo sul mondo sono stati anche loro un modo importante per raggiungere lo scopo.
Ora, crescere in maniera organica è bello, interessante e umano, ma crescere davvero significa partire dalla base, che fa rima con educazione.
Nel mentre che sempre più bar, ispirati da altri bar, miglioravano sé stessi, negli ultimi dieci anni c’è stato un altro fenomeno che, si può dire, essere esploso: quello delle scuole per bartender. O, più in generale, dell’educazione dei e delle bartender, se vogliamo essere precisi.
Ora, a distanza di tempo sufficiente per tirare le somme, a che punto siamo con questa educazione? Quali sono le tipologie di scuole che effettivamente funzionano e perché? E qual è il rovescio della medaglia?
Si può affermare che tre sono le macro-aree quando si parla di educazione nel mondo del bere: ci sono le scuole di basso livello, le accademie di alto profilo e ci sono, grazie soprattutto al periodo della pandemia, una nuova serie di masterclass online, partite in maniera un po’ raffazzonata e oggi stabili e innovative.
Per capire meglio come navigare in questo territorio ancora paludoso, abbiamo chiesto a rappresentanti di questi mondi e a dei bartender a che punto siamo, in Italia, davvero.
Le scuole di basso livello e l’educazione sul campo
Freni e Frizioni è uno dei bar più conosciuti di Roma. Parlando qualche tempo fa con il bar manager, Manuel Di Cecco, è uscito nella conversazione il problema, sempre più diffuso, di presunte scuole di bartender a buon mercato che non solo rendono un servizio di bassa qualità, ma che, in diversi casi, fanno il contrario di quello che dovrebbero: invece di preparare, distruggono. «Così, a noi, tocca ricominciare da capo», dice Manuel Di Cecco. «Il discorso è semplice: le scuole di bartending potrebbero essere fondamentali, ma il problema è che se non vengono costruite come si deve, poi tocca a chi lavora smontare tutto quello che i ragazzi hanno imparato e insegnare da capo. Nel caso di queste scuole, che sono nelle città, ma spesso in provincia e che si riconoscono perché scorrono sui feed di Instagram inesorabilmente, non viene davvero insegnato il mondo del bar. Vengono insegnati semmai i drink, da persone che spesso non sono qualificate per farlo».
Queste scuole, che hanno incontrato terreno fertile soprattutto dopo la pandemia, partono dal sogno, il sogno di mettere in mano un mestiere secondo loro assai remunerativo, con grandi possibilità di carriera, relativamente facile e divertente. «Le riconosci dai termini che utilizzano, inglesismi come new mixologist che non significano nulla, ma che vendono bene. A parer mio la cosa migliore da fare è iniziare dalla gavetta, imparare sul campo e poi informarsi, iscriversi a corsi professionali. Il bar non è un mondo lineare, fatto di ricette e basta: è dinamismo e umanità, che si imparano osservando e lavorando. A quello poi si unisce la scuola. Ma nessuno, fidatevi, vi regalerà niente. Se vi propongono magie, allora statene alla larga».
Le accademie
La Jerry Thomas Academy (oggi Jerry Thomas Educational Campari Academy) dal 2012 è garante di un eccellente servizio di educazione sul bere.
Inizialmente rivolta ai soli professionisti, oggi è un faro per chi vuole imparare davvero il mestiere. «Di scuole di bartending, in Italia, ce ne saranno un centinaio, ma solo quattro o cinque davvero valide», dice Michele Garofalo, responsabile della Jerry Thomas Educational. «Dopo il Covid le cose sono un po’ peggiorate: da quell’animosità che contraddistingue l’hospitality si è ritrovati in una sorta di paura per questo mondo, per cui ci sono sempre meno persone disposte a fare questo lavoro e imparare».
Ad ogni modo i loro modelli sono vincenti. «Noi partiamo sempre dalla storia, seguita dai classici che sono immortali fino ad arrivare a come gestire un bar, perché non può essere improvvisato. Mi piace dire che insegniamo a essere osti. Non c’è un vero gap tra il mondo del bar e quello della cucina: il vero problema è che in Italia questa cultura è ancora una nicchia. Usciamo volentieri a mangiare, ma meno con lo scopo di spendere i nostri soldi in un bar. Per questo osserviamo i trend di mercato e li spieghiamo tanto quanto la storia del Martini Cocktail».
Internet e le accademie online
Non tutto internet vien per nuocere. L’hanno capito benissimo Simone Caporale, leggendario bartender creatore di bar come SIPS di Barcellona (oggi primo al mondo per la 50 Best Bars) e il suo socio Luca Missaglia. Insieme hanno da qualche anno fondato TAOS, aka The Art Of Shaking: una piattaforma online che insegna le nuove tendenze del bar.
«L’abbiamo fondata», dice Luca Missaglia, «perché ci siamo resi conto che le scuole insegnano le basi. Noi volevamo parlare all’eccellenza, alla nicchia che già lavora e si vuole migliorare».
Con l’aiuto di alcuni bartender tra i più noti al mondo, oggi TAOS possiamo dirla molto vincente. «Il problema durante la pandemia era che i bartender dovevano reinventarsi e così hanno creato le loro masterclass online. Per noi non è mai stato così: TAOS è sempre stata la missione, anche per questo l’abbiamo lanciata subito dopo la pandemia. Volevamo dare al bartender moderno una community e delle dritte sui pilastri del bar moderno, che sono nuove tecniche, la costruzione di un menu e i cocktail». Ad oggi contano più di 1500 iscritti paganti e il loro modo di affrontare la questione educazione è andando estremamente a fondo di ricette e tecniche. «Il vantaggio della tecnologia è che hai tutto sempre a portata di mano, un bigino. Le informazioni non spariscono come in un’aula».
Storia, ospitalità, creatività. I pilastri del mondo del bar sono questi, ma è dall’educazione che si cambiano davvero i mondi.
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