Bookshop.org è sbarcata anche nel Regno Unito. Si tratta di una piattaforma etica nata negli Stati Uniti per volere dell’editore americano Andy Hunter.
L’idea è quella di offrire un’alternativa concreta ad Amazon, e aiutare le librerie indipendenti e le realtà editoriali che si sentono strette nella morsa degli algoritmi. I risultati negli Stati Uniti sono straordinari: 50 milioni di dollari di fatturato in meno di un anno, e anche nel Regno Unito l’impresa è decollata.
I lettori possono esplorare il sito e le sue inesauribili proposte – o meglio, le inesauribili proposte di librai, editori, autori. Una forma di cura che su Amazon non c’è.
È degli ultimi giorni, ed è circolata molto anche in Italia, la notizia del lancio di bookshop.org nel Regno Unito. È una piattaforma etica nata negli Stati Uniti per volere di Andy Hunter, editore americano di Soft Skull, Catapult, Counterpoint, LitHub, con l’intento di offrire un’alternativa ad Amazon in sostegno alle librerie indipendenti e in generale a tutte quelle realtà editoriali che si sentono un po’ troppo strette nella morsa degli algoritmi.
Bookshop.org permette ai librai indipendenti di creare e curare le proprie pagine come fossero gli scaffali della loro libreria. Per ogni vendita diretta attraverso il sito, il libraio ottiene il 30 per cento del prezzo di copertina del libro, che è meno di quanto una libreria guadagnerebbe attraverso una vendita nel suo negozio, ma comunque un buon margine per una grande visibilità online.
Chiunque poi, non solo un libraio ma anche per esempio un editore, un autore, un influencer può creare una pagina su bookshop.org e condividerla. In questo caso il guadagno per copia venduta è del 10 per cento del prezzo di copertina, con un altro 10 per cento che viene ridistribuito tra tutte le librerie indipendenti affiliate al sito.
Negli Stati Uniti la sete di un’alternativa ad Amazon durante la pandemia (quando sappiamo che il colosso di Seattle privilegiava ai libri la vendita di carta igienica) ha spinto la piattaforma, lanciata a fine marzo con piani di crescita inizialmente modesti, in un vero e proprio acceleratore.
I risultati sono straordinari: 50 milioni di dollari di fatturato in meno di un anno, 7,5 milioni dei quali per le librerie. Nel Regno Unito, dove il lancio è avvenuto pochi giorni fa, l’impresa è decollata con uno slancio altrettanto vigoroso – 250 librerie già affiliate, editori schierati al suo fianco, 50.000 sterline raccolte per le librerie.
Le ragioni del successo
Bookshop.org ha per statuto la missione «di favorire il bene pubblico contribuendo al welfare della comunità letteraria indipendente». E non potrà mai esser venduto a nessun grande retailer, incluso Amazon. Come mai è riuscito a fare tanto rumore in un paese sofferente e disorientato come il Regno Unito?
In primo luogo, il sito è bello. Il messaggio della piattaforma alla clientela è trasparente e semplice, come trasparente e semplice è la gestione del sistema per i suoi affiliati, che possono allestire una libreria virtuale con pochi click.
Ma ancora più centrale sembra essere l’aspetto della cura. In questi anni l’argomento non pietistico a favore degli acquisti in libreria è spesso stato il famoso “consiglio del libraio”. Ultimamente si cominciano a sentire borbottii un po’ cinici su come Amazon sia tanto più comodo, su come il consiglio del libraio in realtà non serva a niente, su come il libraio non possa sempre azzeccarci. Ma il consiglio del libraio non è solo il libraio che si avvicina mentre ti stai facendo i fatti tuoi in libreria, sbuca alle tue spalle e senza essere interpellato ti dice: «Hai amato questo libro? Allora ti piacerà senz’altro quest’altro», che è ciò che Amazon cerca di emulare con gli algoritmi dei comparative titles. Il “consiglio del libraio”, cioè il valore di comprare un libro in una libreria fisica, è in verità anche il libro che non è sullo scaffale. L’atmosfera. Il consiglio del libraio è anche il libro che piace a lui. Il consiglio del libraio è la sua passione, la sua personalità, l’effetto, spesso sorprendente, che l’incontro con la sua personalità ha su di noi.
Lo stesso vale per gli editori. Nel mondo anglosassone, contrariamente a quanto accade nell’Europa continentale, quella che qui conosciamo come “editoria di progetto” è invisibile. La maggior parte degli editori non pubblica i libri in collane o puntando su una forte impronta grafica. È spesso difficile distinguere un editore indipendente da un grande editore. E ciò si riflette spesso anche sulle politiche di scelta editoriale, gli editori tendono a essere più eclettici, a prescindere dalla loro taglia.
L’idea dominante è che ogni libro sia un progetto a sé, ogni autore di bestseller sia un “brand”, e che l’editore dovrebbe quasi scomparire dietro il suo libro, il suo autore, le citazioni di giornali o una copertina originale. Le librerie anglosassoni solo di rado espongono i libri per editore. E la costruzione della fiducia dei lettori nel loro progetto potrebbe rivelarsi fondamentale per quegli editori che, nonostante magari non lo dichiarino, sono editori di progetto. I lettori possono esplorare il sito e le sue inesauribili proposte – o meglio, le inesauribili proposte di librai, editori, autori. Cioè di altre persone, di altri lettori. Il loro gusto è la cornice, una forma di cura che su Amazon non c’è.
E sono, questi, tempi in cui la cura è ancora più importante del solito.
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