- Da un po’ di tempo circola questa idea: l’idea che dichiararsi femministi, o comunque rispettosi delle donne, o di credere nella parità di genere, sia un metodo, in realtà, per rimorchiare.
- Questa idea ratifica lo sguardo eterosessuale come principale metro di giudizio del comportamento altrui. Ma soprattutto sono in contrasto con la natura del femminismo stesso, con quello a cui serve.
- Certo che un uomo etero femminista ha una vita di relazione, sentimentale e sessuale, più appagante di uno indifferente alle questioni di genere, oppure proprio antifemminista o maschilista. Ma non per il motivo che è più facile immaginare.
Da un po’ di tempo circola questa idea: l’idea che dichiararsi femministi, o comunque rispettosi delle donne, o di credere nella parità di genere, sia un metodo per rendersi piacevoli alle donne, iniziare a conquistarle, avere accesso a un livello di vicinanza e di confidenza che potrebbe portare più facilmente a piacevolissimi traguardi sessuali. L’idea è cretina quanto poche altre, ma è sintomo di fenomeni estremamente interessanti dal punto di vista sociale.
Femminista maschio etero
Innanzitutto questa idea ratifica lo sguardo eterosessuale come principale metro di giudizio del comportamento altrui. Un uomo sarebbe femminista perché vuole fare più sesso con le donne. Ecco già che gli uomini che non sono attratti sessualmente dalle donne non avrebbero alcun motivo per essere femministi: privi di uno scopo sessuale e non volendo un corpo femminile che subisca la pressione patriarcale, non hanno motivo di avvicinarsi ai femminismi.
Cretinata classica, che dimostra l’ignoranza riguardo le lotte femministe. Cretinata che - sia chiaro - è espressa anche da molte donne, ma ovviamente loro non sono nella stessa posizione sociale degli uomini, e hanno molte più ragioni per dubitare e criticare. A me interessano queste idee quando sono espresse da uomini - è proprio lì che sono più divertenti.
Indubbiamente è ancora difficile immaginare un uomo bianco etero che possa essere realmente interessato allo smantellamento dei poteri patriarcali in circolazione nella società, che sia effettivamente coinvolto nella ricerca di una parità sociale in tutti gli aspetti della vita in comune.
Però ci sarebbe sempre un’amara realtà da considerare: gli uomini etero vivono meno delle donne, muoiono in maniera più violenta e cruenta, si ammalano più gravemente e cadono più spesso in depressione cronica, ma guai a far loro notare che queste sono conseguenze di un’idea tossica di maschilità - come hanno dimostrato tanti femminismi.
La narrazione tossica produce già ottime spiegazioni facili da capire ma sbagliate: la colpa è del capitalismo (figlio maschio del patriarcato), la colpa è dei politici (uomini etero per la maggior parte), la colpa è delle donne (idea giusto in filino maschilista). I vantaggi a essere femministi ce ne sarebbero parecchi ma se si scambia costantemente la causa con l’effetto, e non si vuole riconoscere di essere condizionati a farlo, certi ragionamenti sociali pure evidenti sono impossibili fin dall’inizio.
I femministi stanno meglio con le donne
La cosa più divertente, per quanto complessa da spiegare, è proprio che l’idea del titolo, pur espressa così rozzamente, è giusta: certo che un uomo etero femminista ha una vita di relazione, sentimentale e sessuale, più appagante di uno indifferente alle questioni di genere, oppure proprio antifemminista o maschilista. Ma non per il motivo che è più facile immaginare.
Essere femminista significa innanzitutto avere smantellato la necessità di tutto quell’apparato di codici sociali che va sotto il nome di “corteggiamento”. Sottolineo: la necessità. Questo infatti non vuole dire che un femminista non corteggi: vuol dire che lo fa solo dopo essere sicuro che sia qualcosa di gradito, e che è un gioco da fare in due e non una dimostazione di potere di uno sull’altra.
Quando grazie a una critica dell’idea maschile ancora diffusissima nella nostra cultura molti più uomini etero capiranno come vivere il loro desiderio senza bisogno di ricorrere a metafore belliche (la “conquista”), né a comportamenti nei quali mettono in mostra un potere di genere, tutto quell’indotto di frustrazione, ansia da prestazione, sicumera sfacciata, terrore di presentarsi, prosopopea maschioalfa, pavoneggiamento rituale - semplicemente svaniscono. Il mio desiderio si manifesta palese ma educato, presente ma non pressante, esistente ma non esuberante. Chi è interessata risponderà allo stesso desiderio con il suo, chi non è interessata no, e fine lì.
Una volta che avremo imparato ad agire una maschilità non tossica, non considereremo più un rifiuto come un affronto, un diniego come una umiliazione, un “no” come una sfida mortale, perché nessuno di quegli eventi rappresenterà un’offesa alla propria maschilità, ma l’espressione, lecita e pacifica, di una libertà altrui.
Corte e potere
Molti e molte continuano a rispondere, davanti a questi evidenti dati di fatto, che a loro piace il corteggiamento, piace essere corteggiate e piace corteggiare “alla vecchia maniera”. Nessuno glielo vieta né credo voglia farlo, ma mi piacerebbe che chiunque fosse più consapevole di cosa sia il corteggiamento, di cosa sia “la vecchia maniera”.
Dovremmo ricordare più spesso che il corteggiamento e più in generale quell’ambito di precetti morali e comportamentali che era “la cavalleria” consisteva in un codice di condotta tenuto da persone di altissimo livello sociale. Lo scopo era, in estrema sintesi, fare in modo che i figli nobili ma senza eredità di terra e potere (non primogeniti e non votati alla carriera ecclesiastica) potessero incontrare figlie nobili che invece l’eredità di terra e potere l’avevano (uniche o primogenite) allo scopo di produrre una nuova discendenza maschile dotata di più terra e più potere.
Sì, sono passati secoli, ma la cavalleria e il corteggiamento sono rimasti comportamenti codificati per mettere in atto un preciso rapporto sociale di potere. Esattamente quello per cui ancora tanti uomini si lamentano di pagare una cena per poi non avere nulla in cambio - quando va bene, che diventano cocktail offerti come occasione per stupri.
Non sarebbe più liberante per tuttə sbarazzarci di questi rapporti di potere nascosti in inviti, precedenze in porte aperte, complimenti non richiesti e così via, e imparare a gestire ed esprimere più sensatamente il proprio desiderio?
Travestirsi da macho
Questo sa fare un uomo femminista, tra le altre cose, né più né meno. Non ha alcun bisogno di indossare maschere o interpretare ruoli per far capire il proprio interesse sessuale, né richiede che chi lo interessa interpreti a sua volta particolari ruoli o si comporti come secondo lui dovrebbe fare chi ritiene sessualmente appagante. Perché sa benissimo, come tantə raccontano da anni, che un sesso felice, divertente e appagante è ogni volta una scoperta di sé e dell’altrə.
Ancora tanti uomini sono convinti di sapere come funziona il loro desiderio sessuale, cosa gli piace e cosa no, cosa desiderano e cosa no. Costruiscono il loro immaginario sessuale da quando sono ragazzini con i gusti spacciati loro da media che vendono da decenni il corpo femminile - e da un po’ anche quello maschile - a tranci di pericolose illusioni, o da una pornografia commerciale dov’è assente esattamente la componente più eccitante - l’incertezza del desiderio - rimpiazzata da un copione rassicurante, da uno sguardo confortevole, da un esito scontato come nelle migliori finzioni cinematografiche. Il risultato lo conosciamo: uomini che costruiscono la loro identità di genere sulla quantità di rapporti sessuali “portati a termine” secondo il loro criterio disumanizzante, oppure uomini paralizzati da ansie da prestazione che gli impediscono qualsiasi forma di appagamento felice, oppure uomini arrabbiati contro le donne “libere di scegliere con chi fare sesso”, come se poter scegliere fosse un delitto di lesa maestà.
Una volta compreso e fatto esperienza che tutto questo arsenale difensivo - sì, è principalmente difensivo - che gli uomini si tramandano da generazioni, attraverso una cultura gerarchica e oppressiva, produce solo sofferenze per chi lo agisce e per chi lo subisce, viene da sé anche accorgersi che si tratta di un problema sociale che possiamo risolvere solo parlandone insieme, smettendo di credere alla storia - difensiva anche questa - di qualche individuo maschile particolarmente stronzo o “pazzo”. Questo raccontano, da secoli, tanti femminismi. Questo ha capito, finalmente, un uomo femminista, che sa di non aver alcun motivo per continuare a impersonare quel maschio che non è necessario essere.
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