- La Pontina, in cui mi ero immesso poc’anzi dal Grande Raccordo Anulare, aveva appena seminato l’Eur. Voltandomi sarei stato abbagliato dal riverbero del sole sul marmo latteo dell’Obelisco. Dopo un quarto d’ora eravamo ancora fermi.
- Mi bussarono al finestrino due autostoppiste svedesi. In genere non caricavo nessuno a bordo, ma quelle due avevano lentiggini, codine, sorrisi. - Visto che tu sei impegnato a mangiarti con gli occhi queste due, io esco all’avventura, – dichiarò Ester.
- Il senso del possesso era la pietra angolare dei rapporti di coppia? L’amore era un linguaggio binario come quello dei computer, solo che invece dello 0 e dell’1 tutto quanto si realizzava attraverso il possesso e l’infrazione al possesso?
E poi scalai le marce dalla quarta alla prima, coda.
- Che strazio, – sbuffò Ester. – Ma perché?
- Non chiederti mai il perché di una coda, – sentenziai. – Le code sono misteri insondabili, enigmi dell’universo. Le code accadono.
Restammo in silenzio per un considerevole numero di minuti. La Pontina, in cui mi ero immesso poc’anzi dal Grande Raccordo Anulare, aveva appena seminato l’Eur. Voltandomi sarei stato abbagliato dal riverbero del sole sul marmo latteo dell’Obelisco.
Dopo un quarto d’ora eravamo ancora fermi. Mi bussarono al finestrino due autostoppiste svedesi. In genere non caricavo nessuno a bordo, ma quelle due avevano lentiggini, codine, sorrisi. Avevano anche shorts attillati e canottiere da cui trasparivano distintamente piccoli capezzoli pervicaci. Avevo fatto cenno di accomodarsi e loro erano state velocissime ad aprire la portiera e sistemarsi dietro con gli zaini e tutto. Non parlavano una parola d’italiano, sicché Ester diventò insolente.
- In macchina c’è l’aria condizionata, potrebbero anche rivestirsi, – sibilò. – Comunque puoi guardartele con calma, siamo ancora bloccati.
In effetti mi capitava di guardarle dallo specchietto retrovisore. Le guardavo troppo spesso ed Ester se ne accorgeva. Tuttavia continuavo a guardarle: quello era il senso della vita? Non vergognarsi più del proprio egoismo? Goderne, arrivare perfino a ostentarlo?
Le autostoppiste parlavano soltanto tra di loro, a voce bassissima. Una delle due sbuffò, sembrava scocciata per la coda. Avevano chiesto uno strappo fino a Latina per incontrare “some friend”. Intanto la radio certificò l’incubo – uno dei tanti che l’estate metteva a disposizione – in cui eravamo precipitati: «Rallentamenti e code lungo la Pontina, in direzione di Aprilia e Pomezia».
- Visto che tu sei impegnato a mangiarti con gli occhi queste due, io esco all’avventura, – dichiarò Ester.
- Che intendi?
- Hai capito benissimo. Prendiamolo come un esperimento. Fin tanto che siamo in coda diventiamo una coppia aperta, ci diamo al sesso libero.
- Ester ti senti bene?
- Mai sentita meglio, ti assicuro. Pensi che non sia abbastanza appetibile per il mondo là fuori?
- Non dico questo ma…
- Ogni età ha il suo mercato, non lo sapevi?
La vidi uscire dall’abitacolo con audacia e sparire dentro una Ford Ka rossa che era imbottigliata poche decine di metri più avanti. Da dove mi trovavo non riuscivo a distinguere chi ci fosse dentro, quale automobilista avesse attratto mia moglie. Le autostoppiste dietro non la smettevano di parlottare a bassa voce. Probabilmente stavano commentando la mia défaillance coniugale. Ester non aveva nulla con sé, perché la borsa con portafoglio e cellulare era sul sedile. Scrollai la testa, incredulo. Che cazzo le era preso?
Uscii dalla macchina e un caldo opprimente mi fece vacillare. O forse vacillavo per la situazione. All’interno della Ford Ka rossa non si distingueva quasi niente, se non la sagoma di due persone che stavano intrattenendosi in attesa che la coda si muovesse. Il senso del possesso era la pietra angolare dei rapporti di coppia? L’amore era un linguaggio binario come quello dei computer, solo che invece dello 0 e dell’1 tutto quanto si realizzava attraverso il possesso e l’infrazione al possesso? Non me la sentii di raggiungere la Ford Ka rossa e fare una scenata. Dio mio. Era estate, il primo giorno di vacanza, stavamo andando come ogni cazzo di anno nella nostra casetta al mare del Circeo. Mi rimisi seduto buono al volante. Ogni tanto la coda si muoveva impercettibilmente, e tentavo di sfogare il nervosismo che stavo accumulando grazie a quei brevi affondi sull’acceleratore.
Dopo un’oretta Ester tornò.
- Questa coda proprio non scorre, eh? – disse, mettendosi in ordine i capelli.
Sembrava soddisfatta. Mostruosamente soddisfatta.
- Che è successo dentro quella Ford Ka rossa? – domandai come un allocco.
Ridacchiò: - Che vuoi che sia successo?
- Dimmelo tu.
- C’era un ragazzo simpaticissimo, un pizzaiolo. Era spazientito perché sta facendo tardi al lavoro, sai quei lavoretti stagionali sottopagati?
- Cristo Ester, e che avete fatto?
- Ci siamo baciati mentre in radio passava Wuthering Heights.
- Cosa? Wuthering Heights è la nostra canzone.
- Appunto, mi sono sciolta completamente. Solo che tu non c’eri.
- C’era il pizzaiolo.
- Esattamente.
- E poi?
- Oh su, non farmi scendere in particolari.
- Avete fatto altro?
- Abbiamo scopato, tesoro.
Ester lo disse come se avesse bevuto un bicchier d’acqua, poi si voltò verso le autostoppiste svedesi per salutarle con la mano.
- E con loro come sta andando? – mi chiese. – Ci stanno? Te le fai?
- Ester ma che cazzo stai farneticando, guadavo solo le tette, c’è una bella differenza tra dare una sbirciatina e scoparsele.
- Oh, mi dispiace per te.
Frugò nella borsa e ne estrasse il beauty e cominciò a rifarsi il trucco.
- Che cazzo stai facendo? – domandai ancora come un allocco.
- Mi do una rinfrescata, voglio riuscire.
- Vuoi riuscire?
- Stavolta farò un giro un po’ più lunghetto. A dopo!
Esattamente come prima, aprì la portiera e la vidi risalire la coda a passi decisi, finché non sparì dentro una Nissan Micra grigia. Le autostoppiste svedesi non la smettevano di parlottare tra di loro a bassa voce, sembravano impazzite. Mi voltai per tentare di zittirle e le vidi sciupate, come se quell’attesa le avesse provate a tal punto da consumarle.
Eravamo ancora all’altezza di Aprilia, in un tratto della Pontina in cui il manto stradale era deforme e gibboso. A destra vedevo un gruppo di pini estenuati dal caldo; a sinistra alcuni silos solcati da crepe rugginose: il mio stato d’animo non poteva essere più in sintonia con quelle due immagini. Il tempo e lo spazio si dilatarono: per ogni chilometro percorso mi sembrava fosse passato un anno. Non ci vidi più. Corsi fuori dalla macchina. Bussai al finestrino della Nissan Micra Grigia e vidi che lo abbassava un tracagnotto che istintivamente odiai con tutto me stesso.
- Che c’è? – mi chiese.
- Poco fa ha dato un passaggio a una signora?
Si mise a ridere: - Ci siamo mossi solo di qualche metro.
- Ah sì?
Rideva indiavolato: - Ha cominciato a parlare del buco nell’ozono e poi me l’ha preso in bocca.
- Ah sì?
Il tracagnotto parve riprendere un minimo di controllo su di sé: - Scusa, tu che vuoi?
- Niente di particolare, – mentii – Volevo farmela anch’io.
Il tracagnotto, rinfrancato da quel pizzico di cameratismo maschile, ricominciò con l’attacco di ridarella: - Non so in che macchina s’è infilata, di sicuro è andata più avanti.
Continuai a camminare. Visto come si erano messe le cose, considerata l’equazione drammatica che avevo stabilito, voleva dire che stavano trascorrendo anche svariati anni. Ogni tanto bussavo al finestrino di qualche macchina, affranto, tentando di fornire un identikit di Ester minimamente plausibile: «Si è mica intrattenuto con una signora attempata con un vestito a fiori e dei sandali di corda, filiforme, colta e simpatica che, magari, dopo una breve conversazione sull’impatto ambientale delle centrali nucleari in oriente o sulle teorie cospirazioniste relative al crollo delle Torri Gemelle o su quanto l’Unione Europea avrebbe bisogno di una strategia comune oltre a una moneta unica, le ha fatto un pompino?».
Alla fine, grazie a un paio di soffiate, la trovai nel parcheggio di un benzinaio. Tre camion avevano formato una specie di triangolo scaleno mentre Ester al centro si stava denudando. Prima che si aprissero le portiere irruppi nella figura geometrica e la trascinai via.
- Ma ti sei impazzita? – gli dissi, fuori di me.
- O forse sono rinsavita.
- Siamo alle orge?
- Perché negarsi la possibilità di esplorare? Solo perché siamo sposati?
- Questa situazione è squallida.
- E lo squallore non è eccitante? Queste non sono anche le tue fisse, i tuoi demoni? Dì la verità alla tua mogliettina.
Stavo per insultarla, lì, sul retro di un benzinaio nei pressi di Velletri.
- Alle donne può succedere di tanto in tanto di concedersi una giornata particolare, in cui un po’ per noia un po’ per sfinitezza decidono di assecondare le voglie degli uomini.
- Stai farneticando.
I tre camion che formavano il triangolo all’interno del quale Ester aveva dato il suo spettacolino cominciarono a suonare i clacson. Sulle prime pensai che la stessero richiamando ai suoi doveri extraconiugali, poi capii che la coda si era mossa di colpo, e allora scappai da lì. Mi misi a correre, percorsi la Pontina all’indietro, quella strada maledetta che era l’acquitrino definitivo. Saltai dentro la mia macchina, il motore era ancora acceso. Ero furioso. Ester aveva distrutto il mio senso del possesso e quindi la ragion d’essere della nostra relazione. L’esperimento era finito male, malissimo: le coppie sincere erano le coppie che si lasciavano, anzi diventavano sincere proprio perché volevano finire (oltre che sfinirsi).
Mi voltai per controllare che le autostoppiste svedesi fossero sempre al loro posto. Forse avrei dovuto saltargli addosso. Già, perché Ester sì e io no? Perché avevo subito passivamente quella sua scelta? Le autostoppiste però erano ormai completamente invecchiate. I codini si erano sfilacciati come cimose consunte e le lentiggini sembravano piccole escoriazioni. Solo l’azzurro degli occhi era rimasto identico, vivo, ma con un che d’incupito e rapace, che faceva pensare a sguardi d’uccello…
Fu a quel punto che Ester mi svegliò dandomi di gomito: - Ohi, guarda che la coda si sta muovendo.
- Sei tornata? Ma dove ti eri cacciata? – dissi ancora imprigionato nella dissolvenza dell’incubo.
- Io sono rimasta qui, sei tu che sei andato nel mondo dei sogni.
Deglutii un grumo di saliva amarognolo: - Quanto ho dormito?
- Dieci minuti, più o meno. Però è strano, avevi gli occhi aperti.
Pensai che gli unici sogni interessanti fossero quelli che ci mettevano al riparo dal mondo onirico, con i suoi schemi ripetitivi generati da impulsi elettrici trasmessi al cervello dal sistema nervoso. Invece mi piaceva l’idea di aver sognato a occhi aperti. Eravamo nel terreno del paradosso, cioè quello della letteratura.
Ingranai la prima e poi la seconda e poi la terza. Mentre riprendevo velocità e imboccavo la deviazione per San Felice Circeo, cercai di svegliarmi del tutto.
- Ho sognato che per sconfiggere l’oppressione coniugale ti davi al sesso libero, – dissi.
- Mica male come idea, – osservò Ester. – E come finiva?
- Mi hai svegliato sul più bello. Comunque credo che sarei piombato con la macchina su un gruppo di camion che si contendevano i tuoi servigi. Morivamo carbonizzati in un incendio stradale provocato dalla mia gelosia.
Questo racconto è tratto dal romanzo “Gli estivi”, uno dei tre tasselli del ciclo delle stagioni di Luca Ricci, insieme a “Gli autunnali” e “Gli invernali”, tutti editi dalla Nave di Teseo.
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