Di lui Bill Gates ha detto: «Prima di Faggin la Silicon Valley era semplicemente una Valley». Federico Faggin è stato il primo a introdurre la tecnologia detta MOS con porta di silicio. Il fisico che ha creato i microprocessori e i touchscreen si racconta
«Papà, voglio inventare delle cose, ma sono già state inventate tutte!». Piangeva così, a cinque anni, con suo padre Giuseppe, Federico Faggin, classe 1941. L’uomo destinato a creare i microprocessori e i touchscreen ha poi cambiato idea. È diventato uno dei fisici e inventori più famosi al mondo. Di lui Bill Gates ha detto: «Prima di Faggin la Silicon Valley era semplicemente una Valley». Fu il fisico italiano a introdurre per primo la tecnologia detta MOS con porta di silicio. Racconta che il primo iPod di Steve Jobs funzionava con una rotella e degli interruttori: fu lui con il suo team a sviluppare il touchpad speciale che poi la Apple adottò.
«A differenza di quando ero bambino, ora penso che c’è anche troppo da inventare: la creatività e la comprensione di sé crescono esponenzialmente». Quando gli chiedi se corrisponda al vero definirlo uno degli uomini che più hanno contribuito all’accelerazione tecnologica negli ultimi cinquant’anni, lui si schermisce – «beh, non esageriamo» – ma sintetizza la sua carriera dall’Olivetti agli Usa pronunciando spesso la parola “rivoluzione”. Rivoluzionaria è anche la disciplina che spiega nel suo nuovo libro Oltre l’invisibile (Mondadori). L’ha chiamata “Nousym”, unione di due termini in greco antico, intelletto e simbolo. Una teoria scientifica che – racconta con accento misto tra americano e vicentino – ha avuto la sua prima origine da una profonda crisi esistenziale.
Erano gli anni Ottanta, e lei aveva ormai raggiunto molti traguardi, personali e professionali.
Sì, tutti quelli che il mondo prescrive per essere felici, forse anche di più. Eppure soffrivo intensamente. Mi chiedevo perché io non fossi contento. Mi ci è voluto molto tempo per capirlo. Gradualmente, ho compreso che spesso la strada che ci conduce all’autocoscienza è la sofferenza. Può essere anche la gioia, beninteso, ma per me è stato utile accettare e capire l’origine della sofferenza perché si sciogliesse come neve al sole. Non bisogna soffocarla, o far finta di non vederla.
Un giorno, anzi una notte, un’illuminazione. Lei la chiama “risveglio”…
Fu accompagnato dallo stupore: «Solo lo stupore conosce», afferma Gregorio di Nissa.
… e si rese conto di essere in errore.
Quella notte di intuizione fu solo il primo step. Allo studio scientifico della coscienza ho poi deciso di dedicarmi interamente dal 2008, e prima la approfondivo part time mentre facevo l’imprenditore. Ho sempre avuto il bisogno profondo di capire come funziona il mondo. All’università scelsi Fisica invece di Ingegneria, perché ero interessato ai prodotti, alle macchine, sì, ma più di tutto volevo andare al fondo delle cose.
Ci è arrivato?
Dopo tanti anni di studi, ho formulato l’ipotesi che la coscienza e il libero arbitrio devono essere proprietà fondamentali della natura, che vanno oltre le proprietà della materia descritte sia dalla fisica classica sia da quella quantistica.
Oltre quindi il materialismo?
Esatto, che avevo accettato passivamente. Pensavo anche io che la coscienza fosse un epifenomeno del cervello, un fatto accessorio. Invece sono convinto che l’idea che esista soltanto la realtà oggettiva, cioè quella che si può misurare con uno strumento, dev’essere incompleta. E soprattutto che ogni individuo è unico, non riproducibile. Sostenevo che la fisica quantistica potesse spiegare la coscienza e il libero arbitrio come fenomeni. È il contrario: ora posso spiegare la fisica quantistica come conseguenza della coscienza e del libero arbitrio.
Sembra più filosofia che scienza.
Nel procedere del mio ragionamento parto invece proprio da un teorema della fisica quantistica che afferma che uno stato quantistico puro non si può clonare, cioè non si può copiare. Questa proprietà la hanno i “qualia”, e cioè le emozioni e sentimenti che proviamo. La teoria che ho messo a punto con il professor Giacomo D’Ariano, fisico anche lui, cambia tutto ed è inoppugnabile.
Non dimostrabile in laboratorio, però, giusto?
È una teoria scientifica che si può solo falsificare. Essa rivela il dinamismo fondamentale del nostro stato interiore. Non siamo macchine. Però oggi ci vogliono convincere non solo che lo siamo, ma che siamo sostituibili con l’Ia. Ci vogliono inebetire. È disastroso.
Perché? Cosa rischiamo?
Guardi i ragazzi: sono spaesati, annichiliti. Utilizzano il telefonino come alter ego. Con i miei studi voglio combattere lo scientismo: non è scienza, ma oggi accettiamo una visione del mondo per cui procediamo meccanicamente. Questa è la tendenza, e sono molto preoccupato quando sento parlare alcuni esperti di intelligenza artificiale. Le religioni hanno perso la capacità di interpretare il mondo, il materialismo e il riduzionismo dominano il pensiero filosofico. Giustificano una competizione sfrenata: io vivo, tu muori, perché io sono il più adatto.
Succede soprattutto negli Usa?
Ovviamente questo in America è un percorso in accelerazione, un punto di vista che viene anche – sotto sotto – da un desiderio di superiorità.
Se comandano business e tecnologia, ha mai pensato di aver contribuito a creare questo tipo di orizzonte?
Se mi sta chiedendo se sono pentito, non lo sono. Semplicemente perché il progresso tecnologico permette di liberarci da molte schiavitù, può essere utilizzato per il bene. Non certo per incatenare le persone, ma per liberarsi.
Manca l’etica?
Ha mai sento un ingegnere, o un fisico, parlare d’amore? O di coraggio? L’essere umano è fatto di tre centri fondamentali: cuore, pancia, testa. Sono termini che uso ovviamente in senso metaforico. La testa è la razionalità e l’intuizione, la capacità di andare oltre a quello che può fare la macchina. La pancia è l’azione coraggiosa, etica e risoluta. Il cuore è il centro: la compassione, la comprensione, la saggezza. La conoscenza vissuta è quella in cui essere e conoscere diventano un tutt’uno. Parte dal cuore e finisce nel cuore. Perché conoscere è esistere e amare.
In tanti la ringraziano, altrettanti la criticano.
Anche quando alla Synaptics volevo costruire un computer che imparasse da solo e usavo le reti neurali artificiali, gli esperti di IA mi prendevano per folle.
L’intelligenza artificiale le fa paura?
L’umanità è a un bivio, ma non certo perché verrà sostituita. Mi faccia dire innanzitutto che chiamarla “intelligenza” è un inganno verbale non innocente. Per chi ci lavora, una macchina che dice “ti amo” in risposta al sorriso di una persona è sufficiente a dire che la macchina è empatica. Ed è vero che molte persone dicono “ti amo” senza provare nulla, eppure ciò non significa che l’amore non esista. E poi le ricordo che la coscienza non è un fenomeno accessibile ai computer. E che il computer non ha dei bisogni e viene alimentato dai nostri algoritmi.
Qual è il bivio?
Dobbiamo – tutti, ciascuno – decidere se sottometterci alla visione che le ho descritto e quindi alle macchine. Per risolvere problemi climatici, guerre e la lunga lista delle sfide dell’umanità di oggi, occorre però cooperare. Se competiamo soltanto, sarà il disastro per l’umanità. È prevedibile. Siamo già sulla strada di una tecnologia per cui basta premere un bottone e fare fuori un intero paese con la bomba atomica. Non è una possibilità tanto remota, non le pare?.
Come si fa a fare questa scelta?
Se la maggioranza delle persone di buon senso sceglieranno la cooperazione, non si lascerà spazio a governi di destra, e per destra intendo l’idea fondamentale dell’uomo forte, che impone come si procede. Dittatoriali, alla fine. Basta guardare alla Russia e ad altri paesi, e a come il concetto di democrazia sia diventato una farsa. Quanti soldi si spendono per la difesa rispetto agli investimenti in educazione?
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