Waskom, Texas, oggi è poco più di un paio di pompe di benzina a poche miglia dalla Louisiana. Non che prima fosse molto di più, ma era una stazione di transito lungo la via del cotone, lungo la tratta che da Dallas passava per Shreveport e che poi arrivava fino a Jackson, Mississippi.

Era terra di piantagioni e sole a picco sui campi d’estate, il sud opulento, orgogliosamente confederato e strutturalmente schiavista d’America. Oggi Waskom è un paese di meno di duemila abitanti che all’anagrafe perde persone ogni anno, da cui è più facile pensare di andarsene che restare.

Eppure Waskom è in qualche modo il cuore dell’America a stelle rosse, conservatrice, bianca, trumpiana e a base No vax, quella che finisce ai telegiornali solo per una sparatoria a scuola o per un uragano, quella dove dire East coast, New York o California è come dire gente che chiacchiera di inclusività e si balocca con questioni di transgender e pronomi invece di lavorare, fare figli e raccomandarsi al Signore.

Città santuario

Nel giugno del 2019 Waskom è stata la prima città a bandire l’aborto entro i propri confini dichiarandosi «Sanctuary city for the unborn», Santuario dei bambini non nati. A votare all’unanimità, un consiglio comunale di maschi bianchi.

Dopo Waskom, sempre nel 2019, Omaha, Naples, Big Spring, sempre in Texas, e poi Blue Hill, in Nebraska, e infilando una via l’altra quasi quaranta città santuario dei bambini non nati.

In realtà si tratta di piccoli luoghi di transito, la media sono mille abitanti, spesso molti di meno. Uno dopo l’altro, in un domino reazionario, i consigli comunali si sono riuniti per deliberare che mai e poi mai sulla loro terra avrà diritto di sorgere una clinica in cui si pratichi l’interruzione di gravidanza. Difficile pensare che, nella patria del business, una clinica voglia investire in un posto in cui vivono qualche centinaio di anime. Ma tant’è, adesso è vietato.

Il paladino di tutto questo è Mark Lee Dickson, un ex pastore ora dedito principalmente alla causa, che batte palmo a palmo il Texas rurale, centinaia di conferenze ogni anno, e parole irripetibili buttate a palate sulle piccole folle che raccoglie a ogni piazza. «Assassini», «campi di sterminio» sono gli epiteti destinati ai dottori e alle cliniche in cui è consentito l’aborto.

Cappellino da baseball girato al contrario, camicia a quadri con sopra la giacca, Lee Dickson è noto per i suoi “Heartbeat Teddy bear”, orsetti di peluche in cui batte, registrato, il cuore di un feto. Non è sua l’invenzione – è tanto regolarmente quanto misteriosamente in commercio – ma è sua la conversione in dispositivo di lotta antiabortista. L’ideatore dei Santuari sale sul palco, brandisce l’orsetto e comincia a parlare. Finito il comizio rimette in borsa l’orsetto. Sulla pancia del peluche c’è la foto di un bambino.

Cittadini sorveglianti

Ora, quella dell’ex pastore texano Lee Dickson (che si autodefinisce «un vergine di 36 anni») e dei suoi trentotto attuali Santuari per bambini non nati, potrebbe facilmente suonare come una nota di folklore locale. I centri sono piccoli, è facile obiettare, il fenomeno è marginale – anche se quando pure Lubbock si è “convertita”, 250mila abitanti a nord ovest del Texas, si è sentito un vento più forte.

E però in Texas è entrata in vigore a settembre una legge che, nei fatti, vieta l’aborto. Lo vieta dopo la sesta settimana, che è come bandirlo del tutto. Con una diabolica sottigliezza giuridica non è lo stato a vietarne la pratica, ma sono i cittadini a farsi sorveglianti delle cosiddette vite future. Delatori farsi avanti: l’istigazione del governo locale è a denunciare dottori, infermieri, tassisti, chiunque contribuisca a un’interruzione di gravidanza. La pena è in denaro, 10mila dollari per aver guidato il tuo taxi fino alla clinica.

La Corte Suprema, facendo leva sul cavillo giuridico, non ha bloccato la legge. E così da settembre il confine del Texas non è più solo quello a sud, dei migranti haitiani che guadano il Rio Grande per entrare in America a piedi. È anche quello a nord, con l’Oklahoma, il Nevada o il New Mexico, e lo passano donne che cercano di raggiungere cliniche dove decidere del proprio corpo è ancora un diritto.

Quelle che possono permetterselo lo fanno. Le altre, quelle per cui assentarsi significa nella concretezza delle cose perdere il lavoro, cercano di risolvere la cosa in maniera autonoma, con il terrore, se poi qualcosa andasse storto, di presentarsi in ospedale.

Soffia il vento

Se Waskom fosse solo un paio di pompe di benzina nel Texas dell’est, si potrebbe stringere i denti di rabbia, scuotere la testa di sconforto e indignazione, e dire “il solito Texas”. Ma analoga legge, analogo bando, è in Mississippi.

Ancora una volta il ricorso è alla Corte Suprema, che Trump ha sistemato a sua immagine e somiglianza prima di lasciare lo scranno sapendo che presto tornerà a bussare alla porta. La Corte Suprema non blocca e non bloccherà la legge. E sarà un’altra picconata alla cosiddetta “Roe v. Wade”, la storica sentenza che nel 1973 vide contrapporsi e vincere Norma McCorvey – meglio nota con lo pseudonimo Jane Roe – contro lo stato del Texas rappresentato dall’avvocato Henry Menasco Wade.

E allora sarà lo tsunami di cui si sente già il vento, in un attimo ventidue stati potrebbero tornare al 1972. E allora Waskom con i suoi 1.617 abitanti, Grapeland con i suoi 1.571, Ackerly con i suoi 214, Carbon con 433, Latexo con i suoi 322, Hayes Center con i suoi 288, potrebbero diventare il centro dell’America nuova, del trapassato remoto. 


Il testo è contenuto in “Metamorfosi”, secondo numero della rivista trimestrale Sotto il Vulcano, edito da Feltrinelli e in uscita il 17 febbraio

© Riproduzione riservata