- A un documentario il Leone d’oro, a un’opera prima l’argento del Gran premio della Giuria, entrambi di registe donne: questa edizione 79 della Mostra di Venezia entrerà nel Guinness, se non dei primati, dei Festival.
- I documentari sul podio più alto sono mosche bianche. All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras è un film militante su Nan Goldin: «Questo Leone – ha detto Poitras - sarà il suo regalo di compleanno».
- Premio Speciale della Giuria a Jafar Panahi per Khers Nist (No Bears). Sarebbe stato il Leone d’oro più politico in assoluto, quello al regista iraniano arrestato l’1 luglio e condannato a sei anni di carcere. Il premio Speciale serve a rendergli onore e a tener viva la solidarietà dell’Occidente.
A un documentario il Leone d’oro, a un’opera prima l’argento del Gran premio della Giuria, entrambi di registe donne: questa edizione 79 della Mostra di Venezia entrerà nel Guinness, se non dei primati, dei Festival.
Anche perché nella sezione Orizzonti ha vinto un altro documentario, Vera, co-regista una donna, Tizza Covi, con Vera Gemma migliore attrice.
Dall’alto della sua doppietta di premi per Gli spiriti dell’isola, titolo italiano di The Banshees of Inisherin, uno dei più grandi drammaturghi viventi, Martin McDonagh, ha dato il crisma ufficiale al sorpasso di Venezia su Cannes: è «il festival del cinema più importante del mondo». Michael Moore ha vinto la Palma d’oro a Cannes nel 2004 con Fahreneit 11/9, per la prima volta dopo il documentario premiato nel 1956 The Silent World, di Jacques Cousteau e Louis Malle.
Venezia ha rotto il ghiaccio nel 2013, consegnando il Leone a Sacro GRA di Gianfranco Rosi. I documentari sul podio più alto sono mosche bianche. All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras è il film militante che la documentarista - già Oscar nel 2015 per Citizenfour, su Edward Snowden - ha dedicato a Nan Goldin, fotografa americana leggendaria e trasgressiva, diarista per immagini da cinquant’anni dell’underground queer e di varia diversità tra New York, Berlino e Londra.
È il mondo ‘a parte’ in cui si è sempre riconosciuta, scavando cruda bellezza tra vite e amicizie segnate da alcool, droghe e Aids, ma irripetibilmente libere.
Il film è un viaggio dalla sua tormentata infanzia all’attivismo che ne ha fatto un simbolo, passando per raccolte di opere memorabili come The Ballad of Sexual Dependency e Witness : Against Our Vanishing.
Ma al centro del documentario c’è la crociata intrapresa da Goldin con il suo gruppo P.A.I.N. per spingere i musei a rifiutare i finanziamenti della potente famiglia Sackler, proprietaria di quella Purdue Pharma responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone dipendenti dal farmaco oppiaceo OxyContin. Una regista donna, quindi, a servizio di un’artista e di una combattente, che compie 69 anni il 12 settembre. «Questo Leone – ha detto Poitras- sarà il suo regalo di compleanno».
Alice Diop
Il vero exploit veneziano però è quello della francese Alice Diop, di origine senegalese, unica opera prima in concorso: il suo Saint Omer non ha vinto solo il Leone d’argento, ma anche il premio Luigi De Laurentiis per il migliore esordio. Formalmente è un film processuale, ma scava per strati successivi nelle profondità insondabili dell’esclusione, dell’invisibilità sociale, della maternità e della depressione. È un film sconvolgente, imperfetto e viscerale, che viola tutte le regole del confortante e del pre-digerito.
Una ragazza senegalese ha ucciso, lasciandola annegare sulla battigia, la sua bambina di quindici mesi. Ma il suo racconto, per la scrittrice che assiste al processo, è un viaggio nell’ignoto delle responsabilità, degli umilianti quanto universali comportamenti ordinari del cittadino rispettabile, dell’immaginario ancestrale che hanno condotto all’infanticidio.
Luca Guadagnino
Leone d’argento per la regia a Luca Guadagnino e a Bones and All – Più che dovuto: è uno di quei film felici che mettono d’accordo pubblico e critica, una tenera ballad horror che ha ottenuto anche il premio Mastroianni per l’artista esordiente, la Taylor Russell canadese di The Waves ed Escape Room. Nella sua versione glamour della Cerimonia di premiazione era irriconoscibile.
Nel film Guadagnino ha sfruttato una freschezza e una spontaneità che oscurano perfino un partner superstar come l’antipatico, ma molto decorativo, Timothée Chalamet. Road movie cannibalistico, metafora dei ‘diversi’ a ogni titolo, fuga senza meta attraverso Virginia, Maryland, Ohio, Kentucky, Iowa, Minnesota fino al Nebraska cantato da Bruce Springsteen, è un film con l’anima libera anni ’70 che lascerà il segno come la prima regia di Terrence Malick, Badlands ( da noi La rabbia giovane ), del 1973.
Gli attori
Premio per la sceneggiatura e Coppa Volpi per il miglior attore a Martin Mc Donagh autore e a Colin Farrell interprete, per Gli spiriti dell’isola.
Era il mio Leone d’oro del cuore, con quella scrittura da brividi che il drammaturgo britannico ha già profuso in Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Premio balzano, in realtà, quello al solo Farrell, la cui sintonia con il co-protagonista Brendan Gleeson ( che già aveva fatto coppia con lui in Bruges, dello stesso regista ) è da armonia delle sfere celesti. Irlanda anni ’20, agricola e sperduta, umanità picaresca e un umorismo di fondo ( ma senza speranza ) che ricorda i perdigiorno filosofi di John Steinbeck e di Cannery Row. È il film più universalmente e indistintamente amato della Mostra, con grande sorpresa di Alberto Barbera e dei selezionatori.
Coppa Volpi per la migliore attrice a Cate Blanchett. ‘Ci sta’, per quel monumentale one-woman-show che è Tàr, di Todd Field, supremamente tedioso però nel seguire splendori e declino di una grande e preparatissima direttrice d’orchestra che cade in disgrazia per un tipico vizietto maschile: molestie sessuali. Coi suoi due Oscar, di questa Coppa Blanchett non aveva bisogno, però: magari sarebbe stato meglio segnalare l’emozionante infanticida senegalese di Saint Omer.
Jafar Panahi
Premio Speciale della Giuria a Jafar Panahi per Khers Nist (No Bears). Sarebbe stato il Leone d’oro più politico in assoluto, quello al regista iraniano arrestato l’1 luglio e condannato a sei anni di carcere. Il premio Speciale serve a rendergli onore e a tener viva la solidarietà dell’Occidente, ma non a ricordarci che combattere vuol dire anche fare cinema clandestino con mezzi di fortuna, raccontare la morsa del tuo paese con le facce vere e i problemi veri, sfidare il Potere e assumerti per intero, mettendoci la tua faccia, la responsabilità del tuo lavoro.
È una condizione estrema, e un’apoteosi del gesto artistico, che nessun altro dei film premiati dalla Mostra 2022 può vantare. Perché quel titolo? Nello sperduto villaggio raccontato da Panahi ci sono strade da non percorrere, secondo le dicerie contadine, perché ci sono gli orsi. Ma gli orsi non esistono, se non hai paura di avere paura.
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