Negli ultimi anni la composizione di una colonna sonora ha assunto sempre di più il ruolo di spartiacque in grado di determinare la riuscita o meno di un film sia a livello di critica sia commerciale. Costruire un reparto sonoro coerente con la narrazione è diventato un fattore determinante per rendere il cinema sempre più interattivo. Il risultato di questa evoluzione è che sempre più musicisti, non sempre appartenenti alla sfera cinematografica, si cimentano con il mondo delle colonne sonore creando nuovi linguaggi sempre più idonei al cinema contemporaneo.

Anche i registi hanno creato una loro visione musicale affidandosi non solo al compositore ma anche ai sound designer e alla nuova figura del music supervisor, professione coerente con i nuovi trend e fruizioni musicali.

Se pensiamo alle primordiali hall adibite alla programmazione cinematografica, l’unico elemento che permetteva di seguire gli sviluppi narrativi e sonori di un film era l’orchestra. L’accompagnamento musicale aveva il compito sia di compensare l’assenza di effetti sonori sia di limitare il rumore prodotto dal pubblico non ancora pronto al nuovo linguaggio cinematografico.

Le prime ensemble provenivano da ambienti culturali disparati e la loro funzione era inizialmente limitata solamente a creare ritmo rispetto a quello che avveniva in scena. Abituati a sonorizzare ogni singolo elemento, la loro musica, non essendo ancora fondata sulle immagini, era considerata un mero accompagnamento differentemente da quello che in seguito avrebbe rappresentato all’interno della colonna sonora.

Dai primi del Novecento, con le prime trasformazioni tecnologiche date anche dalla nascita di nuove apparecchiature che permettevano una prima sincronizzazione tra suono e immagini, i produttori cominciarono a commissionare delle musiche che rispecchiassero il contesto narrato. Nasceva un nuovo linguaggio artistico ma anche la possibilità per le case di produzione come la Warner Brothers che aveva acquistato l’unico sistema audio in commercio Vitaphone, di rendere i propri film più appetibili sul mercato.

Ma quali sono stati gli elementi artistici e sociologici che hanno reso la colonna sonora un elemento così imprescindibile per la riuscita di un film?

Il foglio musicale

Già a partire dal 1907, sia in Europa sia in America, iniziarono ad essere redatte delle guide musicali che stabilivano le regole da utilizzare per l’arrangiamento orchestrale a seconda delle tematiche che venivano trattate. Il cosiddetto foglio musicale consisteva in una lista di brani studiati appositamente per aiutare gli accompagnatori nella creazione di uno spazio sonoro che fosse appropriato al contesto narrato e che non avesse momenti di pausa. Queste antologie catalogavano in modo approfondito le varie situazioni narrative che si potevano presentare suggerendone la musica appropriata.

Il limite di tale impostazione fu che la maggior parte delle orchestre iniziarono a rispettare unicamente questi cliché, come ad esempio il tremolo per creare suspense oppure la dissonanza per indicare malvagità, riproducendo in serie quanto veniva riportato nel Foglio Musicale. Con la mancanza di effetti sonori la musica doveva rispettare regole che facessero risuonare i movimenti degli attori ed anche il ruolo del compositore era principalmente focalizzato nel dirigere l’orchestra

Solamente in Europa nel 1924, quattro anni prima dell’introduzione ufficiale del sonoro, avvenne la prima e importante rappresentazione di cosa dovesse essere una colonna sonora, sia come rappresentazione di perfetta congiunzione artistica tra regista e compositore, sia nelle sensazioni che suscitava negli spettatori.

L’incontro tra Rene Clair, uno dei più importanti registi del dadaismo francese, ed Erik Satie diede vita ad Intermezzo, opera concepita per essere proiettata tra i due atti di un balletto. Come raccontato da Kathryn Kalinak nel saggio Musica da film, Satie si distaccò dalle convenzioni prestabilite dell’accompagnamento musicale evitando di utilizzare temi che riconducessero solo ad una determinata emozione, in quanto doveva essere lo spettatore a poter interpretare secondo le sue sensazioni sonore quello che avveniva in scena, ed eliminando del tutto il sincronismo perfetto tra musica e immagini, anticipando le modalità compositive che si sarebbero presentate dagli anni Quaranta in poi.

Lo stile hollywoodiano

L’approccio al sonoro negli Stati Uniti, pur rappresentando il palcoscenico principale dove vennero testati i primi dispositivi audio, fu inizialmente caotico. Al di là delle difficoltà tecniche e logistiche causate dei sistemi di registrazione, ancora non si era completato il processo evolutivo e di attuazione dell’utilizzo della musica nel cinema.

Solo dopo i primi e riuscitissimi esperimenti con i musical nel 1927, che si sposavano perfettamente con la nuova tecnologia del suono, ci si iniziò ad interrogare sulla musica come parte integrante del film e non solo come accompagnamento.

In questo percorso, da un lato, rimasero in voga le impostazioni del cinema muto con composizioni strettamente legate al foglio musicale ma contestualmente furono anche messe in pratica delle soluzioni innovative, come la sonorizzazione musicale degli elementi scenici, per dare ulteriore veridicità a quanto veniva mostrato. Il risultato di tali commistioni fu il primo grande stile del cinema moderno, il Romanticismo.

Questo modello musicale, basato principalmente sulla melodia e con una struttura di facile comprensione, corrispondeva perfettamente alla struttura narrativa ideata ad Hollywood agli inizi degli anni Trenta.

Infatti, proprio in quel periodo le cinque più grandi case di produzione, Warner Bros, Rko, Fox, M.G.M. e Paramount, idearono un protocollo per la realizzazione di film in serie che mettessero in luce gli aspetti positivi e di speranza della cultura americana, colpita dalla grande depressione del 1930: la musica divenne l’elemento fondamentale per creare una perfetta alchimia tra il pubblico e le gesta gloriose che venivano svolte dai protagonisti.

La composizione romantica doveva alimentare la struttura narrativa rispondendo in maniera esplicita alle azioni sullo schermo, delineando la soggettività e gli stati d’animo dei personaggi. Il Romanticismo, nonostante nacque come forma istituzionale di composizione musicale, divenne fondamentale per l’ideazione dei grandi temi conduttori che ancora oggi rappresentano un punto centrale nella musica per il cinema.

Per Caryl Flinn, docente di Screen Arts and Cultures presso l'Università del Michigan, fu proprio la tecnica di produzione a catena di montaggio di Hollywood a spingere i compositori a vedere nel Romanticismo la possibilità di esprimere la propria arte rispetto alla realtà storica e sociale che si voleva rappresentare rendendo la loro musica, di lì a poco, imprescindibile.

Asincronismo e minimalismo

Parallelamente alla formazione della colonna sonora hollywoodiana, iniziò a prendere forma l’idea che la musica dovesse diventare parte integrante del montaggio e non un elemento a sé stante. Fino a quel momento il compositore realizzava la musica in base al montaggio finale marcando gli elementi che gli venivano indicati.

Già nel 1928 i registi sovietici Sergei Esestein, Vsevolod Pudovkin e Grigory Aleksandrov avevano redatto un manifesto denominato Sound and Image dove si affermava che il suono nel cinema dovesse essere asincrono. La colonna sonora avrebbe contrappunto le immagini che accompagnava per diventare un altro elemento dinamico e fondamentale nel processo di montaggio.

Sul finire degli anni Trenta anche in America il Romanticismo stava iniziando a perdere il suo appeal. L’esigenza di una nuova via sonora data dell’asincronismo e l’influenza dei nuovi generi musicali spinsero i compositori a sperimentare una realtà sensoriale differente che rispondesse anche alle differenti tematiche perpetrate dai registi odierni.

Nello stesso anno Theodor Adorno e Hanns Eisler iniziarono a realizzare uno studio incentrato esclusivamente sulla composizione per il cinema denominato Composing for the Films. La composizione per il cinema, secondo la loro analisi, non aveva solamente il compito di rispondere alle esigenze commerciali dell’industria, ma doveva porsi come mezzo per evolversi e puntare sugli aspetti più intricati e nascosti della trama e della psiche dei personaggi. In sostanza, la musica, solamente in contrasto con il significato visivo, poteva commentare la narrazione diventando terreno fertile per le nuove sperimentazioni legate al modernismo e al minimalismo.

A tracciare una linea netta e marcata rispetto al passato fu la composizione di Bernard Herrmann per Quarto Potere di Orson Welles nel 1941. Il film, incentrato sull’ascesa e caduta del magnate dell’editoria Charles Foster Kane, indagava gli aspetti più emotivamente nascosti e oscuri del protagonista, incapace di amare se non alle sue condizioni.

Herrmann, per questo, spinse molto sull’aspetto psicologico musicale nel caratterizzare le sequenze e il processo di crescita di Kane scandito dalle varie fasi della sua vita. Il minimalismo gli permise di aderire all’imponente struttura del film lasciando che fosse il pubblico a reagire individualmente alle emozioni che ne scaturivano. La musica diventava così un elemento reale e tangibile nella narrazione di cui anche lo spettatore poteva servirsi.

Per Welles il montaggio di un film corrispondeva perfettamente alla composizione musicale: «C'è una strutturazione ritmica in questo; c'è controparte, armonia e dissonanza. Un film non è mai giusto finché non lo è musicalmente».

L’evoluzione

Gli anni Quaranta determinarono l’inizio di una nuova èra per il mondo delle colonne sonore. Registi e compositori presero coscienza della forza artistica e narrativa che la musica poteva provocare sia sul pubblico che sul successo di un prodotto audiovisivo.

La sperimentazione sonora iniziò a costituire la prassi per chi si accingeva alla creazione di una composizione definendo sempre di più il rapporto artistico tra regista e compositore che agevolò in parte l’abbandono delle convenzioni date dalle case di produzione.

Secondo il giornalista Daniel Dylan Wray, che nel 2019 ha realizzato un reportage dedicato ad una nuova epoca d’oro per il mondo delle colonne sonore, gli anni 50/70 furono la culla della sperimentazione. L’elettronica di Wendy Carlos nei film di Stanley Kubrick, la caratterizzazione sonora di Ennio Morricone per Sergio Leone, fino a droni horror di John Carpenter, hanno stabilito modelli per il tono, il linguaggio e in particolare il suono del cinema contemporaneo. Si inizia a concepire una colonna sonora che si diversificava per generi apportando delle modifiche che si sposavano perfettamente con la nascente forma artistica del sound design che prese piedi alla fine degli anni Settanta.

L’apporto del sound designer incise nella stratificazione e combinazione dell’ambiente sonoro con la musica composta. Soprattutto lo studio eseguito dal sound designer Ben Burtt, ideatore del mondo sonoro di Star Wars, e dal tecnico del suono Gary Rydstrom, permisero di far convivere nella prima trilogia del 1977 i grandi temi di John Williams con la nascita di un nuovo mondo.

Nello stesso reportage di Wray la pioniera della musica elettronica Suzanne Ciani, aggiunge che nel cinema attuale c'è sempre di più una stretta fusione tra sound design e partitura strumentale. C'è l’ispirazione che consente di uscire dalla cornice della partitura tradizionale in una dimensione sonora non letterale come visto ad esempio in Dune di Denis Villenueve. Un suono iperrealistico che possa accompagnare lo spettatore nei meandri della narrazione richiamando in essere un’altra dimensione svincolata dal presente uditivo.

Oggi si ha la possibilità di concepire la sonorizzazione di un film ascoltando delle composizioni temporanee molto prima che vengano finalizzate in studio di registrazione con strumenti e musicisti dal vivo. «Se si considera che dal punto di vista estetico oggi i compositori tendono ad abbandonare la complessità melodica in favore di un minimalismo più evocativo, lo spazio di intervento si amplia in maniera significativa e questo richiede tempo per una ricerca sonora più approfondita che non si limita alla mera sonorizzazione di quello che si vede sullo schermo», dice i sound designer Mirko Perri, tre volte David di Donatello nella categoria miglior suono.

Allo stesso tempo, il linguaggio seriale ha arricchito la colonna sonora di nuove scelte artistiche facendo coabitare sia musica composta che canzoni edite scelte ad hoc per la narrazione cinematografica. In un’epoca dove la musica si definisce liquida, molte società e produzioni cinematografiche si stanno avvalendo di figure professionali che possano occuparsi della musica a 360°, dal diritto d’autore fino alle scelte artistiche/stilistiche, confrontandosi anche con i servizi di streaming musicale che stanno interagendo sempre più di frequente con le produzioni cinematografiche.

Il music supervisor

Del music supervisor come figura fondamentale ai fini della narrazione cinematografica si può cominciare a parlare con l’esplosione delle prime serie tv di successo negli anni Novanta e con le prime forme primitive di colonna sonora mixtape. Queste, presenti nel mondo cinematografico già dal 1969 con Easy rider, sono poi state sviluppate da Quentin Tarantino con l’aiuto della music supervisor Mary Ramos, e poi riprese in Trainspotting nel raccontare la società e la scena musicale britannica del 1996.

 «Il music supervisor è soprattutto un creativo che sa ascoltare. Attraverso la conoscenza della musica trova alternative valide e magari più economiche a brani non utilizzabili per le più svariate ragioni. Controlla e verifica i budget, segue il compositore originale, trova l’editore e produttore della colonna sonora, negozia le musiche di repertorio ed è un tramite con la produzione. È capace di “leggere con le orecchie” una sceneggiatura per individuare opportunità sonore e musicali che valorizzino l’intera colonna sonora», spiega Roberto Corsi, music supervisor per Il miracolo, Anna, SanPa, Mi chiamo Francesco Totti e L’incredibile storia dell’Isola delle rose.

La forma canzone può richiamare l’attenzione consapevole del pubblico in modo più diretto di quanto possa fare la musica composta. Se pur le canzoni sono meno flessibili rispetto ad una musica appositamente creata per un film, assolvono funzioni analoghe influendo sugli stati d’animo e collegando emozionalmente lo spettatore al film.

Walter Fasano, editor dei più importanti registi italiani contemporanei come Luca Guadagnino e i fratelli D’Innocenzo e music editor è però di un altro avviso: «Osservo il “mondo dell'audiovisivo” come un ambiente tecnico/industriale dove la ricerca è essenzialmente mirata a individuare delle formule di successo senza margini di ricerca e sperimentazione. La musica nello specifico viene utilizzata solo come forma descrittiva di commento, un suggerimento narrativo. Film e serie tv sono pieni di musica dall'inizio alla fine per dire allo spettatore esattamente quello che deve capire e pensare, una funzione piatta e molto poco interessante».

La composizione di una colonna sonora influenza molti aspetti di un film che non corrispondono solamente al suo fine artistico. «Ci sono quasi cento anni di idee e soluzioni da indagare per rendere la materia del film, nel suo rapporto con la musica, incandescente ed emotiva anche nella sua assenza – dice Fasano – perché la musica al suo ingresso in scena può innestare reazioni emotive profondissime. Può togliere il fiato».

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