- Francesco Mazza racconta la sua vita in un libro, Il veleno nella coda edito da Laurana, partendo dal suicidio del padre. Ovvero di colui che ha ricostruito la mascella al cavaliere, distrutta con un souvenir del Duomo da Massimo Tartaglia.
- Tutta la storia è mossa dalla spinta oscura del fare, fare di più, fare meglio, dalla continua presenza dell’«oscuro inquilino», dispensatore di melanconia, ossessione, insoddisfazione.
- Il libro racconta una generazione cresciuta a Mediaset e merendine che ora deve fare i conti con un innegabile impoverimento.
Evviva l’autofiction, se ha delle storie da raccontare. Dopo decenni in cui qualsiasi autore ha ritenuto doveroso fare storytelling sul proprio io, e ha riempito scaffali di narrativa di romanzi che sono autocertificazioni, non richieste, con copertina, il lettore potrebbe sentirsi leggermente stracco, aver voglia di prendere tutta l’onda dell’autofiction per quello che in gran parte è: il dormicchiare delle autocertificazioni sotto una coperta nostalgica. E trascendentale, perché a volte l’orizzonte del senso comune può essere la noia. Il sonno della ragione genera mostri, certo. Il dormiveglia del “molle mostro” genera, in certi casi, tomi.
Fortuna che ci sono altri casi. Come Il veleno nella coda, di Francesco Mazza (Laurana), uno scrittore che parla in prima persona del rapporto col padre per 600 pagine – tema che mobilita mezzo mondo della letteratura – e si fa golosamente leggere.
Quello che non sapevo
Ho letto per la prima volta la firma di Mazza anni fa sul giornale online Gli Stati Generali. Un lungo addolorato ridanciano articolo sulla propria infiammazione alla prostata. Quando coordinavo il quotidiano Linkiesta ho conosciuto Mazza come collaboratore. Preciso, acuto, pieno di spunti. Sapevo che aveva un blog di nome “I hate Milano”, che scriveva e recitava una serie comica su Youtube, “Gli estremi rimedi”, e quasi nient’altro.
Ora so che a quarant’anni Mazza ha una ricca collezione di fallimenti alle spalle, che è un ottimo status come protagonista di un auto-romanzo. È stato ospite fisso nei programmi di Michele Santoro quando non aveva ancora finito le superiori, è stato inviato Mediaset a nove milioni al mese (epoca pre-euro). È stato, per anni, autore di Striscia la Notizia, è stato un writer quando ancora a Milano c’erano i writer, e i tag, e non c’era l’arresto col 41 bis per chi scriveva sui muri.
È stato completamente squattrinato, avendo perso o lasciato i precedenti lavori, avendo fallito come regista cinematografico e Tv. So che è il figlio del dentista di Berlusconi, l’uomo che ha ricostruito la mascella dell’allora premier dopo che, nel dicembre del 2009, Massimo Tartaglia gli scaraventò sui denti una statuetta raffigurante il Duomo.
Sotto a una foto di Berlusconi
Padre di successo, scostante, ossessionato, menefreghista. Figlio in cerca di sé, altro classico del conflitto tra generazioni. Il libro si apre con la notizia del suicidio del padre, che il figlio riceve nel 2019 sulla spiaggia di Pietra Ligure, mentre sta per recitare la parte della morte in una parodia del Settimo sigillo di Ingmar Bergman. Mazza non si ferma, recita tutta la scena, in modo che l’attrice co-protagonista possa tornare a Milano in tempo per il torneo di tennis del marito. Poi torna da madre e fratelli, a fare i conti con tutta la storia. Sua, della famiglia, di suo padre, di Berlusconi, di Milano.
Tutta la storia è mossa dalla spinta oscura del fare, fare di più, fare meglio, dalla continua presenza dell’«oscuro inquilino», dispensatore di melanconia, ossessione, insoddisfazione.
Il padre, Massimo Mazza, figlio di immigrati si sposa con la figlia di un chirurgo di fama mondiale. Lavora sabato e domenica, di notte solleva pesi («sono la goccia che erode la roccia»), guadagna palate di soldi (ancora si guadagnavano palate di soldi). Si mette in mano a truffatori che quasi lo rovinano.
Continua più e meglio di prima, finché la sua fama arriva al Cavaliere, che comincia a frequentare il suo studio dentistico. I due si riconoscono, hanno un rapporto stretto: barzellette a la Berlusconi, battute reciproche. Massimo Mazza deciderà, dopo un tumore quasi superato, di togliersi la vita sotto a una propria fotografia con il Cavaliere.
Tè e biscotti
Che ha anche lui un oscuro inquilino. Una volta Berlusconi invita il protagonista ad Arcore per parlare di una trasmissione Tv, e passa minuti e minuti a mostrargli coppe, statuette, quadretti incorniciati: «Ma com’era evidente dai fremiti nervosi delle sue mani mentre toccava, ripuliva e sistemava quella paccottiglia senza valore, il trucco non gli riusciva: quella roba era già stata mangiata e digerita tempo prima (...) l’oscuro inquilino continuava ad aggirarsi nel suo ventre con gli occhi fuori dalle orbite, esigendo cibo fresco. Giovani donne, Coppe dei Campioni o la presidenza della Repubblica».
Poco prima, Mazza era stato accolto a villa San Martino da un ministro della Repubblica, donna, che bevendo champagne da sola e aggirandosi per le stanze a un certo punto gli aveva sfiorato le mani, mentre il Presidente beveva tè e mangiava grandi quantità di biscotti Galbusera.
La fine di un’epoca
Ecco, il merito di questo romanzo di formazione, che come tutti i romanzi di formazione serve a costruire un bel niente, semmai a svelare l’apparir del vero, è calare una sensibilità cronistica per i fatti, in una storia familiare e sociale, dalla Milano degli anni 70 a quella gloriosamente Fininvest, alla fine dell’epoca berlusconiana. A raccontare una generazione cresciuta a Mediaset e merendine che ora deve fare i conti con un innegabile impoverimento.
E, insieme al narratore spaesato, con la domanda finale: se l’oscuro inquilino sia un destino o una scelta. Forse servirà, o forse no, ritrovare l’autobiografia che il padre aveva concluso appena prima di suicidarsi. Autofiction nell’autofiction. Ma con dentro storie, fatti, cose.
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