- Il nuovo romanzo di Francesco Pecoraro è ambientato durante il G8 di Genova. È il ritratto di quattro amici che imparano a crescere, mentre tutto intorno si respira la delusione di chi si sente sconfitto dalla storia.
- Tre di loro passano il tempo sul litorale tirrenico, mentre la quarta amica, Biba, scopre la violenza di stato, cercando di testimoniare con il suo corpo la propria presenza nella storia.
- Il lavoro di Pecoraro è un libro privo di retorica, che non vuole dimostrare nulla se non la singolarità dei punti di vista sulla realtà.
Diceva Martin Heidegger che ogni vero pensatore pensa un unico pensiero e la stessa cosa si potrebbe dire, mutatis mutandis, per un vero scrittore. Perché un vero scrittore non asseconda il suo lavoro al muoversi del tempo, ma anzi spesso, coraggioso nel portare avanti una propria scrittura, reclama attraverso le sue storie e i suoi libri una certa inattualità che compone ciò che c’è di più prezioso, una precisa idea di letteratura.
Francesco Pecoraro ha fatto questo sin dal suo primo romanzo La vita in tempo di pace, dove ha reso il suo protagonista, l’ingegner Brandani, capace di far comunicare memoria e storia attraverso una profonda autoanalisi che è introspezione e critica, prima di tutto di sé stesso.
Anche a questa inclinazione della scrittura si deve la quasi totale assenza di trama di questo romanzo che nel suo straripante e inconcludente viaggio controcorrente nella vita di un uomo che è più filosofo che ingegnere, mostra bene come sia possibile sintetizzare una forma letteraria che non è né fiction né non-fiction, ma piuttosto equilibrata formula di convivenza tra saggio e racconto, tra riflessioni e sprazzi autobiografici, un’unica mescolanza che è vera cifra caratteristica dello scrittore.
Finzione e verità
Emerge quindi un racconto storico individuale e sincero che attraverso la voce di un uomo “senza qualità” non lima i fallimenti di un’intera generazione e mostra in maniera impietosa come lo scorrere degli anni riveli le fragili pretese che nutrivano le speranze collettive e irrealizzate.
«Tra gli infiniti universi possibili ne esiste certamente uno in cui il mondo è configurato come in questo libro» è scritto in apertura di La vita in tempo di pace, ma un’indicazione simile potrebbe essere apposta anche in limine al nuovo romanzo di Pecoraro Solo vera è l’estate, Ponte alle Grazie, perché l’esperienza dei quattro protagonisti di questo libro, estremamente personale, figlia di una certa cultura e di un certo modo di osservare il mondo e inserirsi tra le sue pieghe, è reale proprio perché individuale, unica e per questo vera: «Tutto ciò che si ricorda, vero o meno che sia non importa, sa che la memoria deforma le cose, sa che le cose succedono in tanti modi diversi quanti sono gli osservatori, ma un nucleo duro di verità esiste comunque, un fatto ineluttabile, un evento centrale attorno a cui, come fosse un buco nero, ruota la galassia degli accadimenti».
Frammenti di Novecento
Giacomo, Enzo e Filippo sono amici sin dai tempi del liceo Mamiani, che ne ha plasmato l’immaginario, sono alla soglia dei trent’anni e nel luglio del 2001 si ritrovano, come fallimentari protagonisti di un nuovo Sorpasso, a dover rimediare un divertimento per superare un caldissimo fine settimana.
Immersi dentro una Roma che è essere parlante e creatrice di esistenze («Roma oggi, come ha sempre fatto, l’ha semplicemente circondato e condizionato e guidato e usato, come fanno le città con gli umani, senza effettivamente interessarsi a lui, che sta momentaneamente occupando una porzione di spazio-tempo periferico, di questa immensa frittella edilizia in perenne levitazione»), i protagonisti nelle loro parzialità alludono probabilmente ai frammenti di Novecento attraversati dall’autore tra politica, tecnica e professione.
Giacomo ha un piede dentro l’università, dove ha trasformato il marxismo in una materia, in modo da poterne sentire la concretezza, Filippo ripara biciclette e ha uno stile irresistibile, mentre Enzo, forse il più disilluso tra i tre, fa il grafico e sembra l’unico pronto a fare i conti con gli spigoli della storia.
Solo vera è l’estate
Giacomo è ufficialmente fidanzato con Biba, ultimo punto del quadrilatero affettivo, sorta di incomprensibile femminile che tiene insieme tutto il gruppo, nuova “donna di fuoco” bretoniana, che in segreto però si vede con Enzo e che, in maniera ancor più riservata, frequenta anche Filippo, forse quello che ama davvero.
«Solo vera è l’estate e questa sua / luce che vi livella» recita la poesia di Vittorio Sereni che figura nel titolo ed è proprio la potenza dell’estate, con la sua capacità ammaliante e la sua forza archetipica di far accadere le cose a racchiudere il nucleo tematico del libro.
Immaginare il futuro
Il fine settimana di cui parla Pecoraro è quello del G8 di Genova: si crea così una tensione fra il litorale del Tirreno dove si trovano i tre amici e la Liguria della violenza di stato dove si trova Biba e muore Carlo Giuliani, tra la festa con l’odore del mare e gli scontri in città, tra la scelta dei tre amici di trascorrere un normale fine settimana di svago e quella di Biba di testimoniare con il suo corpo la propria presenza nella storia (che diventerà per lei momento di consapevolezza ma anche decisione di fuga, dentro un racconto senza epos abitato dal terrore della morte).
Pecoraro si pone più in alto, ma nel mezzo, come se osservasse tutto dalla ringhiera da lui disegnata che appare in copertina, diaframma disilluso che viene da un orizzonte altro, osservatore della sospensione che avvolge i destini dei quattro ragazzi e la loro incapacità di immaginare il futuro, in netta rottura con tutto quell’universo a cui rimandano le seconde case al mare che affollano il litorale laziale.
Una nuova storia
Ricco di incisi, di pensieri che si mescolano con la narrazione, di riflessioni dal sapore saggistico che ampliano ciò che accade, Solo vera è l’estate è immagine plastica e consapevole di una letteratura che esce naturalmente da sé stessa per farsi riflessione esistenziale sulla storia e sull’unico modo per abitarla, cioè attraverso gli affetti.
Il lavoro di Pecoraro lascia «scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire», per usare le parole di Hermann Broch, ed è un libro privo di retorica, che non finisce, che non vuole dimostrare nulla se non la singolarità dei punti di vista sulla realtà: «Dire la storia così come la sto dicendo – scrive Pecoraro – ha il puro scopo di evocare un clima, un grande caldo di sangue e l’incredibile violenza dello stato».
Come nelle relazioni tra i quattro protagonisti di L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, che Pecoraro ricorda per l’andamento saggistico che abita la narrazione, anche Solo vera è l’estate si serve delle possibili combinazioni affettive tra quattro amici per mettere in scena, a cavallo del cambio di millennio, la fine della storia come organismo su cui l’umanità possa intervenire e l’ingresso, definitivo, in quel ristagno, «biologico ma anche di idee» come già Lo stradone raccontava, in cui è immersa l’esistenza.
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