La scomparsa di Franco Ferrarotti, studioso e intellettuale impegnato – in lui le due dimensioni convivono strettamente – capace di tenere uno sguardo alto sia nel campo della ricerca empirica, sia sul terreno dell’analisi teorica attorno alle grandi trasformazioni sociali del nostro tempo, induce a considerazioni che attengono non solo alla sua prestigiosa biografia intellettuale ma anche a ciò che è diventata, negli ultimi decenni, la sociologia, disciplina di cui è stato uno dei padri fondatori in Italia.

Il suo percorso

Vincitore della prima cattedra di sociologia in Italia, alla Sapienza di Roma nel 1961, Ferrarotti ha diretto riviste come Quaderni di Sociologia e La critica sociologica, ha insegnato in importanti università americane e europee, è stato, tra gli altri incarichi, responsabile dei progetti di ricerca dell’Ocse. Oltre che uno dei fondatori della prima e più famosa facoltà di sociologia italiana: quella di Trento. Nel suo essere sociologo, Ferrarotti non si è mai trincerato dietro a una presunta asetticità delle scienze sociali.

Anzi, ha sempre pensato che il sapere, antidoto anche a comode spiegazioni ideologiche, dovesse coniugarsi con l’impegno civile. Non a caso divenne parlamentare del Movimento di comunità di Adriano Olivetti, del quale è stato uno dei più stretti collaboratori negli anni di quella fervente utopia comunitaria, che assegnava un ruolo rilevante alla cultura e, in particolare, alla sociologia, fatta conoscere mediante un’importante ramificazione editoriale.

In campo scientifico Ferrarotti ha metodologicamente cercato di ricondurre il particolare al generale. Si trattasse di periferie urbane – lo studio Roma da capitale a periferia, ebbe, tra gli altri effetti, una funzione di disincanto verso un certo romanticismo in materia legato alla ricezione dalle opere letterarie di Pasolini sulla vita in borgata, peraltro stroncato al tempo da marxisti e neo-avanguardia e disconosciuto poi dal suo stesso, disilluso, autore –, mentre il sociologo evidenziava le inevitabili pulsioni omologanti di larga parte dei giovani che le popolavano; oppure indagasse temi come lotte operaie e sindacalismo, movimenti sociali e valori culturali nelle società industriali, la specificità di Ferrarotti si palesava nella capacità di ricondurre i suoi studi, fossero di sociologia urbana o di sociologia del lavoro, a un quadro che teneva insieme i diversi livelli di analisi, micro e macro.

La sua opera

Di formazione filosofica, Ferrarotti non ha mai considerato la sociologia una sorella minore della filosofia. Inoltre, come dimostrano gli studi su autori classici come Weber o Durkheim, e su temi come la legittimazione del potere e la coesione sociale, o quello tipico della sociologia della religione, del riemergere del sacro nelle società contemporanee, non ha mai cessato di pensare né i grandi nodi delle società contemporanee.

Il panorama

Ormai lontano, per ragioni anagrafiche, dall’accademia, non cessava anche in tempi recentissimi di stupirsi della scarsa conoscenza, da parte dei sociologi, dei classici della loro disciplina; così come della diffusione di un sapere sempre più concentrato su aspetti parcellizzati della realtà, destinato a oscurare quella connessione tra particolare e generale sulla quale aveva sempre posto l’accento nei suoi lavori.

Trasformazione (o deriva?) legata ai mutamenti intervenuti nella stessa struttura del campo scientifico accademico – quello sociologico come altri – incline a premiare un conformismo scientifico basato sull’iperspecializzazione settoriale. Dimensione che, alimentando un certo tipo di attese tra i ricercatori in competizione, riproduce un determinato tipo di approcci e studi anziché altri.

Meccanismo in parte attribuibile al fatto che, sosteneva Ferrarotti, la sociologia è stata «vittima del suo successo». Almeno in ambito accademico. Perché ciò che balza agli occhi è invece lo scarso impatto dei sociologi sul terreno della sociologia pubblica, della loro rilevanza nella capacità di incidere significativamente nella discussione collettiva sulle grandi questioni del nostro tempo.

Con il rischio di diventare sempre più chiusi in una autoreferenziale spazio scientifico. Un ruolo, quello del sociologo capace di far pesare la sua analisi nella società che , invece, Ferrarotti ha svolto con passione e rigore.

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