Alexa Chung è ciò che comunemente si definisce una it-girl. Maestra di stile, creatrice di trend degli anni Zero come quello delle parigine sotto al Barbour, scrittrice e appassionata di musica, presentatrice di MTV, ex fidanzata del cantante di una delle band più cool degli ultimi vent’anni, gli Arctic Monkeys, Chung è la quintessenza della moda indie, nonché icona della generazione Millennial.

Intervistata da Harper’s Bazaar per il format Inside my beauty bag, la prima cosa che dice è che il miglior consiglio che abbia mai ricevuto da un make up artist quando da ragazza lavorava come modella è «Always wear sunscreen», indossa sempre la protezione solare. Nessun riposo di bellezza né cetrioli sugli occhi, non ci sono acque termali né federe del cuscino in seta a fare da apripista per questa guida a una pelle perfetta anche da quarantenne. C’è solo lei, la protezione solare, estate e inverno, città o mare.

Un atto di fede millennial

«Screw the natural law!» urlava Isabella Rossellini a Meryl Streep in La morte ti fa bella offrendole un elisir di eterna giovinezza: da che mondo è mondo, l’essere umano ha sempre avuto il desiderio di non invecchiare o, più semplicemente, di non morire.

Che si tratti di un patto col diavolo o di un quadro che invecchia al nostro posto mentre ci sporchiamo l’anima con le peggiori malefatte, la pelle che cade e il tempo che avanza sono e saranno per sempre un tema centrale della nostra breve esistenza sulla terra. La Generazione Y, quella degli avocado e di Harry Potter, quella che non compra casa e non fa figli, questa cosa dell’invecchiamento l’ha presa molto sul serio.

La skincare è diventata una sorta di pratica militare con cui cominciare la propria giornata, e mentre tutto va a rotoli, il lavoro è precario, il futuro è incerto, le temperature si alzano e gli affitti decollano, c’è un siero alla Vitamina C che promette di mettere un freno almeno alle zampe di gallina.

Esistono prodotti di cosmetica per qualsiasi esigenza e, lontani anni luce ormai dal lavaggio facciale con Topexan, nel migliori dei casi, o sapone per le mani, nel più comune, sono tutti a portata di mano e di acquisto compulsivo. La skincare è un atto di fede, nessun millennial, o quasi, ha la preparazione adeguata per sapere davvero cosa siano le molecole di acido ialuronico, eppure ci si crede. Così come si crede all’oroscopo, ai tarocchi, agli stage retribuiti e a tutti quegli altri miti con cui le nostre vite si riempiono nella speranza che qualcosa diventi solido; se non è il mattone, che sia almeno lo zigomo.

Preoccupazione recente

In questo circo di creme, massaggi, cristalli e maschere coreane, la crema solare ha un ruolo fondamentale. Mentre l’idratazione e il nutrimento sono sempre stati concetti universali per la cura della pelle, parole chiave di reclame e cartellonistica, la protezione dal sole è un trend nuovo e molto gettonato. Io per prima, dall’alto dei miei 32 anni, possiedo cinque tipi di protezione solare diversa, due a stick da tenere in borsa, due liquidi solo per il viso, uno per il corpo, e li uso ogni giorno da quando ne ho ventotto.

Se vent’anni fa mi avessero detto che la mia preoccupazione principale camminando per strada sarebbero stati i monopattini elettrici e i raggi UV probabilmente non ci avrei creduto. Dopo anni di fughe strategiche dalla bianca mano materna che si avvicina con fare apprensivo, cercando di raggiungere la schiena per evitare scottature che levano il sonno, la crema solare è diventata un oggetto imprescindibile.

Ma soprattutto, dopo anni di lampade, spray autoabbronzanti, pubblicità Bilboa, quando la melanina sembrava essere l’ingrediente basilare per qualsiasi look, l’ossessione per la beauty routine, che non riguarda solo i millennial ma anche la GenZ, ha ribaltato le nostre convinzioni su ciò che reputavamo giusto e bello.

«Io ti amo e tu lo sai, ma mi chiedo come fai, a restare dove stai, per ore al sole senza alzarti mai», cantava Brusco nella sua versione aggiornata di Abbronzatissima: era l’estate del 2003 e la hit degli anni Sessanta di Edoardo Vianello si amalgamava perfettamente agli usi e costumi di inizio millennio. Il modello tronista, o il modello David Beckham, imponeva muscoli sempre abbrustoliti, e Fabrizio Corona, seguito da Pif ne Il Testimone, include una tappa immancabile al solarium per raccontare la sua giornata tipo. Forse negli anni Zero nessuno pensava ai tumori della pelle, o forse nessuno li aveva ancora avvertiti sul fatto che prendendo il sole si invecchia prima, e di più.

L’illusione del controllo

Eppure, era il 1997 quando fu pubblicato il famoso articolo della giornalista statunitense Mary Schmich, Wear Sunscreen, erroneamente attribuito a Kurt Vonnegut come discorso di fine anno al MIT. Da quel testo venne fuori anche un brano di grande successo di Baz Luhrmann, Everybody’s Free (To Wear Sunscreen), per dare una misura della sua popolarità. Ci sono voluti quasi trent’anni affinché quel consiglio ai giovani non fosse sprecato, così come la giovinezza stessa, per parafrasare il titolo originario dell’articolo, Advice, like youth, probably just wasted on the young.

Forse perché i giovani adulti degli anni Novanta e degli anni Zero avevano altro a cui pensare, forse perché l’industria della cosmetica non era così fagocitante e pervasiva come lo è oggi, dove esiste un siero per ogni tipo di poro, una patch per ogni forma di occhiaia, e dove persino i ventenni mettono la crema notturna prima di andare a letto, perché prevenire, si sa, è meglio che liftare.

O forse perché la cura della pelle è uno dei pochi strumenti che ci dà l’illusione di controllare anche la realtà, con i suoi rituali e i suoi step. E quindi, vai di protezione cinquanta tutti i giorni, anche se ci sono le nuvole, anche se non siamo né in vacanza né al mare. Forse non avremo mai una casa di proprietà, un lavoro stabile e una pensione decente, ma almeno avremo una pelle perfetta. Se così non fosse, almeno lasciatecelo credere.

© Riproduzione riservata