Giorgia Meloni è decisamente più a destra di Fini, a giudicare da quello che scrive. Ed è più preparata e colta di Salvini
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Io sono Giorgia non è solo un grande successo editoriale. È l’autobiografia e un po’ il manifesto della donna che ha fondato e oggi guida uno dei primi partiti italiani (se non il primo, ed era solo terzo al tempo della pubblicazione).
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È quindi un libro importante. Va detto che leggendolo sorge il sospetto che ci sia dietro un buon ghostwriter, o forse più d’uno. È solo un sospetto, naturalmente, dovuto a uno stile di scrittura complesso e scorrevole, capace di giocare abilmente fra diversi piani narrativi.
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Ed è proprio in questo doppio binario, in realtà, l’aspetto più interessante. Perché qui le idee sono di estrema destra. Di una destra così radicale, e forte, come nell’Italia democratica non l’avevamo mai vista. Giorgia Meloni è decisamente più a destra di Fini, a giudicare da quello che scrive. Ed è più preparata e colta di Salvini. Forse allora tutto il profluvio di citazioni e la sua storia personale servono a indorare una realtà ben più cruda: quello che lei pensa dell’Italia e del mondo.
Io sono Giorgia non è solo un grande successo editoriale. È l’autobiografia e un po’ il manifesto della donna che ha fondato e oggi guida il primo partito d’Italia. È quindi un libro importante. Va detto che leggendolo sorge il sospetto che ci sia dietro un buon ghostwriter, o forse più d’uno. È solo un sospetto, naturalmente, dovuto a uno stile di scrittura complesso e scorrevole, capace di giocare abilmente fra diversi piani narrativi.
Sarebbe però un sospetto rivelatore. Non è che Giorgia Meloni è ben diversa da quel che vuole apparire? A conti fatti, non lo credo. Credo anzi che sul piano personale la sua storia, al netto forse di qualche esagerazione (di cui è stato scritto, fra gli altri, da Giulia Pilotti su questo giornale), sia più o meno quella raccontata nel libro: la storia di una donna caparbia e capace, che cerca di farsi strada nell’estrema destra italiana, e ci riesce, peraltro rivitalizzando una tradizione politica che sembrava conclusa.
Oltre a questo dato di fatto, indubbiamente notevole, colpisce di primo acchito lo sfoggio di riferimenti culturali, di ogni tipo. Il libro trabocca di citazioni ammirate. Si parte con Oriana Fallaci per poi toccare, in ordine sparso, Stephen King, Salgari, Ligabue, Verdone, Van De Sfroos, De André, Renato Zero, Mia Martini, De Gregori, Battiato, Battisti, Guccini, Gaber, Giovanni Lindo Ferretti, John Lennon (l’unico criticato), Michael Jackson, Cat Stevens, Edith Piaf, Jacques Brel, Benigni, Rimbaud, Baudelaire, Victor Hugo, Tomasi di Lampedusa, Céline e D’Annunzio (naturalmente), De Amicis, Einstein. L’elenco potrebbe non essere completo.
E fatti salvi i politici naturalmente (fra gli altri ci sono apprezzamenti per Pertini, D’Alema, Bertinotti). Troviamo una bella poesia di Pasolini, Saluto e augurio, molto appropriata, e un accenno a Gramsci. L’ancoraggio a destra è solido però, sia sul versante pop (abbondano gli omaggi al Signore degli Anelli) sia su un registro più colto: vera star del libro è il filosofo inglese Roger Scruton, poco noto a un lettore italiano, ma che Giorgia Meloni sa bene essere forse il più importante pensatore della nuova destra identitaria, critico del liberalismo e delle istituzioni sovranazionali e difensore di Orbán (anche un sostenitore della Brexit, ovviamente).
Certo, in quanto a etica professionale Scruton è tutt’altro che immacolato: fra gli anni Novanta e Duemila pubblicava articoli contro le campagne anti-fumo, senza rivelare di essere pagato, per questo, dalla Japan Tobacco International (ma questo nel libro non lo leggerete).
Vita e partito
Tuttavia, come recita il sottotitolo (Le mie radici, le mie idee), l’opera è anche un manifesto politico, che si snoda passo passo accanto alle vicende biografiche e ai molti riconoscimenti. Ed è proprio in questo doppio binario, in realtà, l’aspetto più interessante. Perché qui le idee sono di estrema destra.
Di una destra così radicale, e forte, come nell’Italia democratica non l’avevamo mai vista. Giorgia Meloni è decisamente più a destra di Fini, a giudicare da quello che scrive. Ed è più preparata e colta di Salvini. Forse allora tutto il profluvio di citazioni e la sua storia personale servono a indorare una realtà ben più cruda: quello che lei pensa dell’Italia e del mondo.
Quali sono dunque le idee di Giorgia Meloni, e come vengono declinate?
Al centro è la patria. I militanti e dirigenti di Fratelli d’Italia si chiamano fra loro patrioti. Nulla di male, di per sé. Il patriottismo, cioè amare la propria nazione e la propria comunità, può essere un concetto nobile e alto (si pensi a Mazzini). Ma qual è la patria che ha in mente Meloni?
È un patriottismo acritico e cieco, che forse sarebbe più corretto chiamare sciovinismo: quello che ci ha condotti dritti ad alcune delle peggiori tragedie del Novecento. Oggi gli europeisti e i democratici pensano che alla base della nostra identità (e patria) europea, della costruzione stessa dell’Unione, vi debba essere innanzitutto il riconoscimento dell’insensatezza di quell’enorme carneficina che fu la Prima guerra mondiale (l’«inutile strage», come la chiamò il papa di allora Benedetto XV).
Per Giorgia Meloni, invece, la Prima guerra mondiale, cioè quel conflitto per cui persero la vita più di un milione e duecentomila italiani (peraltro le nostre sofferenze furono aggravate da un comando militare considerato il peggiore fra tutti quelli dei paesi belligeranti, almeno sotto Luigi Cadorna), ha reso possibile «l’ingresso della nazione fra le grandi potenze del mondo» (p. 208). Questo vuol dire non avere imparato nulla dagli errori della storia! (ed è la premessa perché si ripetano).
Fra l’altro, l’Italia grande potenza è durata poco, ed è finita molto male: nella tragedia fascista della Seconda guerra mondiale. Scoprimmo allora amaramente (già ottant’anni fa) che ormai nel mondo non contano più le grandi potenze, com’era una volta, ma le super-potenze. E noi non lo eravamo, né lo potevamo mai essere, come non lo era più ormai nessun singolo paese europeo.
Lo abbiamo imparato a caro prezzo, così come avevamo pagato caro (e più del dovuto) il nostro ingresso nel novero delle grandi potenze, vent’anni prima. Ma oggi Giorgia Meloni pensa davvero che noi siamo o possiamo essere una grande potenza mondiale? Che tutto ciò abbia un senso? La sua idea di patria vuol dire inseguire questi sogni, impossibili per un paese come l’Italia, e farlo ciecamente e senza alcuna autocritica, proprio come è stato fatto drammaticamente in passato?
Un orizzonte europeo
Oggi la patria italiana deve fondersi con quella europea. Questo ci insegna la storia (è una delle sue poche lezioni indiscutibili) e questo è il compito delle nostre generazioni. Altro che l’Italia grande potenza, come ci si illudeva ai tempi di Mussolini! L’Italia (come la Francia, la Germania, la Spagna) può giocare un ruolo nel mondo solo facendo parte dell’Europa.
Il nostro interesse nazionale si difende stando in Europa, e rafforzandola. Giorgia Meloni sembra credere il contrario. Forse non bisogna stupirsi. Se accettasse la lezione del Novecento, allora dovrebbe ammettere che il suo partito e le sue scelte, il cosiddetto «sovranismo», non fanno gli interessi dell’Italia, ma li danneggiano.
Proprio come è accaduto ai tempi del fascismo, il regime che si è risolto nella più grande vergogna di tutta la nostra storia (riscattata un po’ solo grazie al movimento partigiano). Chi ama davvero la patria dovrebbe guardarsi dalle idee di Fratelli d’Italia.
Fra parentesi, ma neanche tanto, Meloni evita praticamente di parlare del fascismo, e le rare volte in cui lo fa è alquanto equivoca. In qualche passaggio condanna i nazisti per l’olocausto, ma in un altro (commettendo un errore) scrive che le camicie nere di Mussolini sono arrivate dopo e su imitazione di quelle hitleriane (mentre è vero il contrario: siamo stati noi i maestri, purtroppo).
In un altro passaggio lascia trapelare qualche dubbio su chi durante la Seconda guerra mondiale fossero i buoni e chi i cattivi (scritti da lei in corsivo). Questo dopo aver rivendicato, per tutto il libro, con comprensibile orgoglio, la sua continuità con la storia di Alleanza nazionale e prima ancora del Movimento sociale italiano (cioè del partito che ha raccolto quel che restava del fascismo). Forse allora qualcosa di più sarebbe giusto chiederlo, a chi aspira a governare l’Italia.
Cosa pensa di quel regime? Come reputa la dittatura mussoliniana? Cosa pensa delle sue scelte? È consapevole che le politiche dell’Italia fascista contribuirono attivamente a far sprofondare l’Europa e il mondo nella peggiore tragedia di tutta la storia umana? Fini su questo qualche parola chiara la disse, a suo tempo. Lei, no. Anzi da quel che scrive sembra che ne sia del tutto inconsapevole.
Accanto alla patria (e prima) troviamo naturalmente l’identità. Non solo italiana, ma europea. Qui però vale lo stesso discorso di prima. Per Giorgia Meloni l’identità europea si fonda storicamente sui valori cristiani, a partire da Carlo Martello (pp. 219-220), in opposizione al mondo musulmano.
Non dice però l’autrice che a quell’epoca i musulmani erano molto più avanzati di noi sul piano culturale, economico e tecnologico; l’Andalusia araba (ed europea) era molto più progredita del mondo franco e longobardo, da tutti i punti di vista; e soprattutto, se poi l’Europa comincerà a rinascere lo deve prima di tutto agli influssi di quella cultura (e pure di quella ebraica).
Ancora nel Millecinquecento, l’impero ottomano era molto più tollerante degli stati cristiani (verso gli ebrei e anche verso i cristiani) e forse pure più «meritocratico». Quella di Giorgia Meloni è insomma un’identità a senso unico che cambia la storia, per dividere il mondo in buoni e cattivi (ora sì in corsivo) che invece non sono mai esistiti: torti e pregi erano da entrambe le parti. Altro quindi che il rispetto e l’apertura mentale che lei rivendica: nei fatti la sua operazione culturale è esattamente l’opposto.
Curiosamente, poi, dall’identità europea che ha Giorgia Meloni viene espunto l’Illuminismo: che invece è stato un grande movimento autenticamente europeo (francese, inglese, italiano, tedesco) e fondativo della nostra modernità. Sul piano culturale, anzi, il primo bersaglio polemico di Giorgia Meloni è proprio la filosofia illuminista. Cioè quel corpus di idee da cui sono nate le nostre democrazie (si pensi a Montesquieu, a Voltaire) e le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo.
Questo però è esattamente lo stesso bersaglio polemico dei fascisti e dei nazisti, negli anni fra le due guerre, che infatti calpestavano i diritti umani. Meloni ricorda, giustamente, il razzismo presente nella società europea di Otto e Novecento. Ed è vero che erano razzisti anche alcuni pensatori illuministi. Non lo era l’Illuminismo in quanto tale però, contrariamente a quello che lei cerca di far passare.
Anzi, è proprio durante l’Illuminismo che la tratta dei neri e la schiavitù cominciarono a essere abolite (lei attribuisce l’evento al cristianesimo, millecinquecento anni prima; peraltro dimenticandosi dello stoicismo, la filosofia cosmopolita della civiltà romana da cui il cristianesimo trae ispirazione). Certo ci furono contraddizioni, lentezze: ma in linea di massima la storia è esattamente l’opposto di quella raccontata nel libro.
Fare i conti col passato
In aggiunta, da notare che quando Meloni menziona i crimini coloniali degli europei si ferma agli inglesi e i francesi. Una patriota, una vera patriota onesta e seria, dovrebbe partire invece dal riconoscere i nostri crimini, prima ancora di condannare quelli degli altri: gli eccidi del regime fascista contro le popolazioni libiche ed etiopiche, ad esempio, anche con l’utilizzo di gas tossici vietati dalle convenzioni internazionali (che noi avevamo sottoscritto).
Quanto al programma politico, in concreto, ebbene questo è piuttosto vago sui temi economici (ma anche questa, ricordiamolo, era ed è una caratteristica dell’estrema destra). È invece molto preciso su quattro punti: i migranti, la lotta alla cosiddetta «ideologia gender», all’eutanasia e al diritto all’aborto. Su questi temi le proposte di Giorgia Meloni sono fortemente ideologiche – di nuovo: il contrario di quello che rivendica – e si traducono in immotivate sofferenze per le persone.
Ad esempio Meloni è contro una legge sull’eutanasia perché, scrive, c’è il rischio che poi la chiedano «i minorenni depressi» (p. 147). Ma a parte che una persona abile (anche minorenne) se vuole suicidarsi purtroppo non ha bisogno di una legge per farlo, il punto è che la proposta di eutanasia oggi in discussione in Italia, di cui i Radicali stanno raccogliendo le firme, esplicitamente non si applica ai minorenni, né ai casi di infermità mentale.
Perché far credere ai lettori il contrario della realtà? Tanto più che il problema è molto serio e non riguarda affatto casi isolati. Sono sempre di più le persone che oggi muoiono ospedalizzate, dopo giorni o anche settimane di sofferenze terribili e senza più scopo. E in futuro ce ne saranno ancora di più: il problema riguarda tutti, ognuno di noi, il rischio di finire i nostri giorni incatenati al dolore, e spesso privati di ogni dignità, è molto alto.
Secondo Giorgia Meloni anche chi non lo vuole dovrebbe morire così, per non contraddire la sua ideologia (dato che le obiezioni «pratiche» che pone sono false). Sull’aborto, per citare un altro esempio, di nuovo la realtà è il contrario di quello che traspare dal libro: oggi in Italia il problema è la difficoltà (non la facilità!) ad abortire in modo legale e controllato, a causa dei medici «obiettori».
L’apice però si raggiunge quando Meloni afferma che nel «modello comunista» sovietico e nel «pensiero liberal e globalista» si ritrova la «stessa visione» (p. 195). Arriva a dire, subito dopo: «Le deportazioni di massa dell’epoca sovietica sono state sostituite dalle politiche immigrazioniste». Scrive proprio così, con sprezzo non dico della storia e dell’attualità, ma perfino del buon senso (fra l’altro quelle sovietiche erano deportazioni forzate).
E poi ancora: «È incredibile come la visione comunista si sia rafforzata nel mondo da quando il socialismo reale è stato sconfitto dalla storia nei primi anni Novanta». Di nuovo: se guardiamo al nostro tragico passato, posizioni simili e totalmente illogiche, in spregio a ogni evidenza (accomunare ideologicamente le liberal-democrazie e il comunismo), si possono trovare solo nella propaganda di fascisti e nazisti.
Lo sfoggio di eclettismo e la sua vicenda di donna determinata e mamma sensibile (lei insiste molto su questo) possono quindi trarre in inganno. Magari sono anche cose vere. Ma a quanto pare servono a imbellire, nel libro, un’altra verità, ben più importante, e che traspare al di là di ogni ragionevole dubbio dalle sue pagine: Giorgia Meloni è la leader più estremista che abbia mai guidato un partito a due cifre in Italia, da quando esiste la Repubblica.
E il suo libro, così ben costruito, cerca di rendere accettabili le idee della destra radicale e una visione culturale che sono figlie dirette del fascismo (non rinnegato) e del peggiore sciovinismo (rivendicato), dietro una cortina fumogena di racconti personali e citazioni ammiccanti. «C’è la pelle di un vecchio serpente appena uscita da un uovo», cantava De Gregori in una canzone sulle fascinazioni neofasciste (Rumore di Niente). È proprio così. Leader estremisti di questa foggia in passato hanno arrecato danni irreparabili: alla nostra Italia, all’Europa e all’umanità intera. Per come è messo il mondo oggi, possono fare altrettanto danno. Non vanno sottovalutati. E non bisogna cadere nell’errore di buttarla in cronaca rosa.
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