L’addio a Paolo Maldini è stato accompagnato dall’adozione del Metodo Moneyball, elaborato nel baseball Usa da Billy Bean, basato sull’analisi dei dati per le operazioni tecniche. La cattiva esperienza del Genoa ha raffreddato la sua diffusione in Italia e ha fatto radicare una diffidenza. Ma il suo uso nella selezione e nel reclutamento dei calciatori di talento può cambiare le abitudini di tutti
L’intelligenza è artificiale ma gli effetti sul campo sono reali. La rivoluzione dei Big Data è arrivata da tempo dentro il mondo dello sport. E dopo essersi messa al servizio di staff tecnici e medici, con indicazioni sui dati delle performance degli atleti, sta trovando terreno di applicazione anche sul mercato, per l’individuazione dei calciatori da acquisire e rafforzare la squadra.
L’attività che in termini tecnici va sotto l’etichetta di «selezione del talento sportivo» ha trovato nell’uso dell’algoritmo una nuova matrice. Il calcio si adegua e l’Italia con qualche ritardo rispetto agli altri Paesi, nemmeno marginali. Se a farlo è adesso una società di punta come il Milan, ecco che le prospettive di sviluppo e adozione del metodo cambiano. È un bene o un male?
La terza via tra formazione e reclutamento
Per tradizione, l’attività di selezione del talento è svolta con due criteri opposti, la formazione e il reclutamento. La formazione consiste nel maneggiare il talento grezzo, atlete e atleti in età molto giovane, con ampi margini di miglioramento, per provare a svilupparlo all’interno delle proprie strutture, per prepararlo alle competizioni di un livello elevato, in età adulta.
Il reclutamento consiste nell’acquisire un talento già formato, tramite un’operazione che preveda una transazione di mercato, col club formatore o con l’atleta. La formazione è attività nettamente più costosa e rischiosa del reclutamento. Con l’evoluzione dei sistemi di reperimento e monitoraggio delle informazioni si è sviluppato un terzo criterio, lo scouting, che consiste nel costruire banche dati su atleti non in vista di una loro immediata acquisizione, ma per avere a disposizione un catalogo ragionato di alternative a cui attingere ogni volta che sarà necessario svolgere un’operazione.
In questo senso, lo scouting porta a un alto grado di raffinatezza lo svolgimento del compito, poiché i singoli atleti sono analiticamente selezionati per caratteristiche fisiche e tecniche, che è possibile incrociare per la costruzione di “profili adatti”. Con lo sviluppo delle tecnologie informatiche, l’uso degli algoritmi ha enormemente migliorato le possibilità di processare informazioni e affinare la ricerca.
I tradizionalisti avranno sempre da ridire, sostenendo che nulla può sostituire la visione diretta dell’atleta sul terreno di gioco, perché soltanto questo approccio esperienziale fornisce un quadro completo sulle potenzialità del “profilo adatto” individuato, soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti caratteriali e comportamentali. In realtà l’elemento esperienziale non viene eliminato né trascurato. L’osservazione diretta deve rimanere (almeno si spera) il passaggio ultimo nell’attività di selezione del talento. L’uso dell’algoritmo serve a raffinare e a rendere più ricche di materiale conoscitivo le operazioni che preparano alla definitiva individuazione del profilo.
Metodo Moneyball
Lo chiamano Metodo Moneyball. Lo ha inventato William Lamar “Billy” Bean, ex giocatore di baseball che una volta intrapresa la carriera da dirigente degli Oakland Athletics ha elaborato un procedimento altamente efficace per la selezione del talento sportivo attraverso l’utilizzo dell’informatica e dei dati statistici. Con un budget nettamente inferiore ai colossi della Major League Baseball (Mlb) è riuscito a costruire formazioni altamente competitive.
Nel calcio europeo il metodo è stato adottato con buoni frutti dall’inglese Matthew Benham, che in precedenza aveva costruito una proficua carriera da giocatore d’azzardo, e dall’ex calciatore danese Rasmus Ankersen. I due hanno messo a frutto il metodo nella gestione del Brentford in Inghilterra e del Midtjylland in Danimarca.
Guardando a questi esempi si potrebbe dedurre che l’uso dell’algoritmo sia un’arma a disposizione di concorrenti medi, meno dotati di risorse finanziarie, affinché possano competere coi più ricchi. Invece proprio da ricchissimi club della Premier League giungono segnali che vanno nella stessa direzione. Il Liverpool, sotto pressione del tecnico Jürgen Klopp, fa largo ricorso a questo metodo. Lo stesso Klopp è stato selezionato dalla società attraverso lo studio specifico di parametri statistici. In Italia non ci sono ancora molti adepti.
L’infelice precedente del Genoa
Il motivo della ritardata adozione del Metodo Moneyball nel nostro Paese è legato al suo primo esperimento finito male. Nella prima stagione sotto la nuova proprietà statunitense di 777 Partners, il Genoa ha scommesso su questa soluzione, affidandosi alla coppia tedesca formata dal direttore generale Johannes Spors e l’allenatore Alexander Blessin.
L’esito del campo è stata una retrocessione dopo quindici campionati consecutivi in serie A, con accompagnamento di vaste ironie da parte dello stesso mondo genoano che fin lì aveva visto utilizzati i dati numerici per compiere prevalentemente altre magie (leggi plusvalenze, pietanza favorita dell’era Preziosi). Ma nel caso dell’applicazione al calciomercato milanista, il ricorso è al metodo originario. Perché il proprietario statunitense della società rossonera, Gerry Cardinale, è socio di Billy Bean.
Dunque sa cosa sta maneggiando. Il mondo rossonero, e il calcio italiano in generale, sono rimasti sconcertati dal modo in cui, alla fine dello scorso giugno, una colonna del milanismo come Paolo Maldini è stata messa alla porta, con la medesima spassionatezza che sarebbe stata usata per mandare via uno stagista. Qualche perplessità supplementare la genera il fatto che l’allontanamento di una figura come quella di Maldini (e del suo fido uomo di calciomercato, Frederic Massara) significhi di fatto la consegna di pieni poteri agli uomini del Metodo Moneyball, Geoffrey Moncada e Giorgio Furlani.
Ma al di là del rispetto per un totem della storia rossonera, questo passaggio di consegne (che certo avrebbe potuto essere gestito con ben altro stile) è il segno di un cambiamento d’epoca. Che non riguarda tanto lo specifico del Milan, ma in generale il modo di fare calciomercato in Italia. Soltanto il tempo dirà se il mutamento sarà stato verso il meglio.
Dunque per il momento non resta che aggiornare la lista dei nuovi arrivi in rossonero: Christian Pulisic, Tjjani Reijnders, Ruben Loftus-Cheek, Noah Okafor, Luka Romero. E darsi appuntamento a fine campionato per vedere su quanti fra questi il Metodo Moneyball avrà fatto compiere la scelta giusta.
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