Se la televisione italiana continua a essere uno spazio centrale nelle vite degli italiani, lo si deve anche all’organismo di rilevazione degli ascolti fondato appunto nel 1984, unanimemente riconosciuto come garanzia di un mezzo universale, democratico e profondamente legato all’identità nazionale
Da sette a 380 canali rilevati giorno per giorno, una fotografia istantanea e continuativa delle preferenze televisive degli italiani. Nell’anno in cui si festeggia il settantesimo anniversario di nascita della tv italiana (era il 3 gennaio 1954 quando iniziava la programmazione regolare del mezzo), un altro compleanno merita di essere riconosciuto e celebrato: i 40 anni di Auditel, l’organismo di rilevazione degli ascolti fondato appunto nel 1984.
L’occasione per tracciare un bilancio di questa storia si è avuta con la relazione annuale che il presidente Andrea Imperiali ha tenuto lo scorso 26 marzo presso la Sala della Regina alla Camera dei deputati; una ricostruzione della storia e dell’evoluzione del sistema di certificazione dei consumi televisivi degli italiani, ma anche una puntuale ricognizione del panorama audiovisivo attuale, in delicato equilibrio tra concorrenza, trasformazione dei televisori (sempre più connessi, con le smart tv che hanno superato quelle tradizionali nelle case degli italiani) e ruolo delle piattaforme digitali, con i rischi di un “mercato asimmetrico” e le insidie della “democrazia digitale”.
Quella di Auditel è una storia che nasce nell’Italia degli anni Ottanta, nel pieno di quella esplosione delle tv private, cui ancora era consentito operare solo in ambito locale mentre alla Rai permaneva il monopolio della diffusione a livello nazionale.
Con la sentenza della Corte costituzionale del 1976, che aveva di fatto aperto l’etere alle tv locali, si era posta la questione fondamentale di misurare in maniera certa gli ascolti dei programmi televisivi, garantendo un’uniformità del dato che potesse essere messa a disposizione dei sempre più crescenti investitori pubblicitari.
Dalla volontà congiunta di Sergio Zavoli e Biagio Agnes, rispettivamente presidente e direttore generale della Rai, e Silvio Berlusconi, che tra gli editori privati era quello che mostrava le più esplicite e marcate mire espansive, nacque così il 3 luglio 1984 la società che è diventata punto di riferimento quotidiano per il mercato della televisione; poco più di due anni dopo, il 7 dicembre 1986, iniziò ufficialmente la propria attività di rilevazione, che inizialmente riguardava pochi canali e che, dopo il passaggio al digitale terrestre completato nel 2012, ha visto moltiplicarsi l’offerta fino ad assumere i tratti odierni di una vera e propria frammentazione.
Tecnicamente, dal punto di vista della governance, Auditel è un Jic (Joint Industry Committee), ovvero un organismo gestito congiuntamente dagli stessi attori del mercato; emittenti televisive, investitori pubblicitari, agenzie e centri media, tutti concorrono a definire gli standard di misurazione garantendo trasparenza e fiducia.
Un modello che, con la nascita delle piattaforme streaming, tradizionalmente meno propense a farsi misurare pubblicamente, ha saputo rinnovarsi, introducendo importanti innovazioni tecniche per catturare i consumi digitali slegati dalla linearità del palinsesto (tutto ciò che possiamo vedere o rivedere in momenti diversi, la cosiddetta “Total Audience”) e arrivando a includere nel paniere dei soggetti rilevati anche un editore streaming come Dazn, fondamentale per gli equilibri del mercato in virtù del suo essere di fatto detentore dei diritti di trasmissione della Serie A.
Un passaggio non secondario, se si considera che oggi sono una trentina gli operatori streaming a livello globale e che sempre di più giocano un ruolo nelle scelte di consumo dei telespettatori.
Auditel è un presidio della società italiana, l’arbitro che garantisce la correttezza del dato e determina in maniera inopinabile il successo o l’insuccesso di un programma; per farlo, si è dotato nel tempo di strumenti sempre più sofisticati, definendo innanzitutto un quadro costantemente aggiornato dei nuclei famigliari italiani, aumentando il panel delle famiglie “misurate”, ponendosi come modello per sistemi analoghi di altri paesi europei.
Se la televisione italiana, pur minacciata da cambiamenti sociali e tecnologici repentini, continua a essere spazio centrale nelle vite degli italiani e nel dibattito del Paese, lo si deve anche a un soggetto nato quarant’anni fa, costantemente evocato per mostrare i propri successi, ma anche unanimemente riconosciuto come garanzia di un mezzo universale, democratico e profondamente legato all’identità nazionale. Anche e soprattutto in uno scenario che diventa sempre più globale e aperto al mondo.
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