Mattia Ferraresi dev’essere un uomo spiritoso; nei ringraziamenti del suo ultimo libro (I demoni della mente, Mondadori), parlando di un editor, scrive «lo ringrazio in particolare per avermi saggiamente impedito di usare la parola che avrei voluto mettere un po’ ovunque e che posso finalmente scrivere qui: gnosticismo, gnosticismo, gnosticismo».

In effetti è la parola a cui si pensa subito riflettendo sulla tesi di fondo del suo saggio. Lo gnosticismo nacque in Grecia quando si trattò di far accettare il monoteismo cristiano a una società politeista e scettica, molto evoluta sul piano filosofico e impregnata di platonismo; la soluzione che si trovò fu di inventarsi un doppio mito della Creazione, secondo il quale il mondo in cui tutti viviamo, creato da un Demiurgo pasticcione, non è che la copia scadente del mondo vero, creato dal vero Dio.

Il compito degli uomini illuminati, quindi, è liberarsi dalle catene di questo mondo utilizzando qualche “scintilla” rimasta quaggiù. Lo stesso titolo del libro avrebbe forse potuto essere I demiurghi della mente, se un quantum di diabolicità non gli arrivasse da una nota formula di Baudelaire (gnostico anche lui un bel po’): «La più bella astuzia del diavolo è farci credere che non esiste». Analogamente oggi si tratta di far accettare il progresso tecnologico a un mondo senza più ideologie.

Wokismo e complottismo

Ferraresi ha cercato di essere semplice e didascalico, se c’è una cosa che odia sono le supercazzole con tanto di citazioni superflue. Ha vissuto e lavorato a lungo negli Usa, si sente che è esasperato dall’esagerazione che là ha travolto il tema dello “stay woke”, stai all’erta, non farti fregare – un Leitmotiv partito come un avvertimento di sinistra (non restare preda delle oppressioni sistemiche, bada all’intersezionalità, diffida di ciò che si presenta come “naturale”) che però adesso è diventato un’arma propagandistica della destra (abbasso la cancel culture, no al politicamente corretto, torniamo al buonsenso contro le follie del wokismo).

Essendo spiritoso, Ferraresi si diverte a ricordare le burle anti-accademiche che hanno sbertucciato il linguaggio involuto dei wokisti: riviste anche prestigiose che hanno abboccato all’amo e pubblicato articoli (finti) intitolati “Il pene come responsabile dei cambiamenti climatici” o “Reazioni umane alla cultura dello stupro e alla performatività queer nei parchi per cani di Portland”. Il grottesco si è impadronito della proposta politica mandandola in vacca, ma Ferraresi è troppo serio per limitarsi a una presa in giro e a un rimpianto per l’occasione rivoluzionaria perduta.

Il nodo del libro, la sua interessante tesi di fondo è che la cultura woke di sinistra finisca per assomigliare, avendo presupposti epistemologici simili, al complottismo di destra. I concerti di Taylor Swift hanno in comune coi comizi di Trump il fatto di «contenere un non so che di totalitario» – si sottolinea che i QAnon hanno «inaspettate radici nella spiritualità New Age».

Woke” in prima istanza significa “sveglio”, dunque Ferraresi risale nientemeno che alla cultura protestante puritana e al mito del “risveglio”, inteso come un ravvivarsi dell’anima all’apparire della luce di Cristo che sbaraglia le tenebre dell’ignoranza e del peccato. Tema che entra in risonanza con altre armoniche, come il “velo di Maya” che Schopenhauer riprende dalla tradizione induista, o il platonico mito della caverna.

Tra Paltrow e Kennedy

Minimo comun denominatore è l’idea che il mondo come lo percepiamo sia fondamentalmente un inganno, e che la prima mossa conoscitiva sia capire “che cosa ci sta dietro” (o sopra) invece che chiederci, realisticamente e razionalmente, “che cosa abbiamo davanti”.

Il libro è una scorribanda tra accostamenti suggestivi e personaggi molto “americani”: la “purificazione del corpo” che Gwyneth Paltrow raccomanda con le sue creme e i suoi intrugli non è lontana da certe preoccupazioni dei no-vax; Robert F. Kennedy Jr (il figlio di Bob) snocciola a raffica dati che non è possibile controllare e giustifica così il suo altalenare tra democratici e repubblicani; la pillola rossa di Matrix (il film dei fratelli Wachowski ora sorelle, avendo entrambe cambiato sesso) è un simbolo multiuso che vale per i transgender di sinistra e per il coraggio degli “eroi” di destra. E via dicendo.

L’aspetto su cui forse il libro si sofferma troppo poco è la mutazione genetica che hanno subito certe idee dei pensatori europei, coagulatesi inizialmente intorno all’università di Yale dove Jacques Derrida negli anni Sessanta aveva tenuto le famose conferenze che influenzarono Paul De Man. Derrida stesso, e Foucault e Deleuze, avevano messo (in modi diversi) l’accento sulle costruzioni sociali che sono diventate forme occulte di repressione e discriminazione da parte del Potere, per cui è necessario “decostruirle”. Le vittime stesse dell’ingiustizia non si rendono conto del “sistema” che grava su di loro, al di là delle intenzioni di chi agisce.

È la cosa che più manda Ferraresi in bestia, l’idea che sei colpevole anche se non lo sai: se dici di essere femminista vuol dire che non ti rendi conto di quanto il patriarcato ti stia soggiogando, se dici che il colore della pelle per te non ha importanza mostri di essere occultamente razzista. Insomma non ci si salva, c’è qualcosa che ti sovrasta e che decide chi puoi o non puoi essere.

A quel punto, è breve il passo per condurti a pensare che il sistema non si sia formato per coagulo storico e di classe, ma sia invece una congrega specifica di malfattori congiurati contro il benessere del mondo per i loro luridi scopi. L’ebreo usuraio Soros, Justin Bieber e il Pizzagate.

Trapiantata negli Stati Uniti, la tensione critica che era sottesa a quelle elaborazioni teoriche (talpe che corrodevano le calcificazioni stereotipe di marxismo e freudismo) ha subito una deformazione e quasi un’inversione, diventando una forma di fideismo superstizioso – per cui basta evitare di pronunciare certe parole-tabù, o basta seguire un galateo e scandalizzarsi spesso per sentirsi a posto con la patente di progressismo.

Differenze e scommesse

Tutto preso a notare la convergenza di questo fideismo con quello complottista, e lanciato nella difesa della ragione contro la trasformazione della scienza galileiana (“provando e riprovando”, sperimentando e accettando periodiche correzioni) in una Scienza mitica e quasi religiosa (“lo dice la Scienza”, come “lo dice la Bibbia”), tutto preso in quest’opera illuministica Ferraresi ha dimenticato un po’ le differenze che ancora permangono tra i due atteggiamenti: il complottista è passivo-aggressivo, arrogante, non vede l’ora di menar le mani, mentre il wokista è timoroso soprattutto di offendere chicchessia, vede i suoi simili come esseri fragili incapaci di reggere al conflitto e al trauma.

Ma forse anche i complottisti sono fragili, indossano l’armatura perché anche loro sono smarriti e frustrati. L’apertura e la chiusura del libro sono dedicate alle cinque delusioni che l’Occidente ha dovuto sopportare in questi anni: la delusione democratica, quella economica, quella scientifica (la scienza non può tutto), quella tecnologica (il digitale non è un agente di liberazione ma anzi contribuisce all’asservimento) e quella geopolitica (non essere più al centro del mondo). In qualche modo ne lascia intravedere anche una sesta, che è la delusione di una rivoluzione impossibile; parla per esempio dell’illusione delle criptovalute, che sembrava potessero scavalcare le banche rivoluzionando populisticamente la finanza, e invece si sono trasformate in una manna per la criminalità e i totalitarismi. La realtà non è più sicura, questo è il punto per l’Occidente.

Per non concludere in chiave pessimista, Ferraresi propone di scommettere sulla conoscenza oggettiva della realtà come Pascal scommetteva sull’esistenza di Dio: visto che credere non ci costa nulla, e abbiamo un Paradiso da guadagnare, perché non vivere come se Dio ci fosse ? Non funzionava allora e (temo) non funziona adesso: come nel Seicento il “vivere come se Dio esistesse” era proprio ciò a cui ripugnava la modernità, così ora il contesto ci spinge a una sempre minore autonomia critica e a una sempre maggiore credulità. Crediamo a tutto proprio perché non abbiamo più fiducia in nulla.


I demoni della mente (Mondadori 2024, pp. 180, euro 18) è un saggio di Mattia Ferraresi

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