È auto-fiction quella che fanno i Ferragnez, uno sterminato e puntuale romanzo autobiografico. Autentico perché artificiale. La verità abita la fiction e viceversa. Un’opera aperta fatta di stories e di immagini messa in scena su Instagram e TikTok: una quotidiana autobiografia visiva un po’ come Walter Siti e Teresa Ciabatti usano la scrittura, e la relazione tra immaginazione e realtà, nei loro romanzi. Il personale è postabile.

Il sincretismo dei Ferragnez unisce in matrimonio non solo due persone ma due campi semantici fino a quel momento distinti: la moda e il rap, lei allude al lusso, lui viene dai centri sociali, lei è fredda, lui è caldo, e ora hanno generato un oggetto culturale autonomo e diverso dalla somma delle sue parti. Il titolo dell’album di Fedez pubblicato con J-Ax, Comunisti col Rolex, profilava già una buona sintesi.

I Ferragnez iniziano con un verso di una canzone di Fedez: “ll cane di Chiara Ferragni ha il papillon di Vuitton e un collare con più glitter di una giacca di Elton John”.

«Sentita la canzone, ho fatto un video in cui cantavo quella strofa. Lui l’ha visto, e ne ha postato uno in cui diceva: “Chiara, limoniamo”», dichiara Chiara.

Chiara Ferragni è la più importante influencer del mondo. È il personaggio cruciale e a maggiore valenza simbolica della pop culture della nostra epoca. L’evoluzione in Ferragnez la trasforma da Madonna del consumismo fashion in amplificatrice di opinioni, sempre tratte da Instagram o da YouTube. Fonti preferite i profili di Will-Italia e Spaghettipolitics. Allora nel linguaggio liscio, trasparente, senza crepe né conflitti di Chiara trovano spazio pure la critica e l’ombra del negativo: interviene su Willy Monteiro Duarte; nel pieno dell’emergenza coronavirus insieme a Fedez lancia una campagna di raccolta fondi che raccoglie in poco tempo tre milioni di euro per l’ospedale San Raffaele di Milano inventando un uso virtuoso, per quanto stigmatizzato da legioni di haters, dello stesso star system. 165mila donazioni da novantadue paesi diversi, raccolti in sole 24 ore, innescano una gara di solidarietà virale, di contagio digitale e internazionale.

Onorificenze

Il 7 dicembre il sindaco di Milano Beppe Sala premia i Ferragnez con la massima onorificenza milanese, l’Ambrogino d’oro. Sono elegantissimi, total black e, per una e sola volta, nella loro commedia instagrammatica, indossano la mascherina. Alla cui promozione dell’uso il capo del governo Giuseppe Conte li aveva pregati di convincere i followers. «Non facciamo cose stupide, usiamo il cervello».

Chiara Ferragni posta in inglese: «Oggi, nella nostra città Milano, abbiamo ricevuto l'onore più grande di tutti: l’Ambrogino d'Oro, per l'aiuto che abbiamo dato alla nostra città durante la pandemia con il nostro crowdfunding, un nuovo reparto di terapia intensiva con oltre trenta nuovi posti letto costruito in tempi record e per la sensibilizzazione. Oggi è stata una celebrazione di grandi storie umane e sono sicura che questo è solo l'inizio. Ti amo Milano». Malattia, ospedale, terapia intensiva. Il reale irrompe in mascherina nera nella fusion di soap, reality, commedia rosa che questa auto-fiction racconta con la grammatica di Instagram.

Quando Chiara si è fatta fotografare davanti alla Venere botticelliana ha incrementato del 30 per cento gli ingressi agli Uffizi. Vorrei proporle di fare la testimonial della lettura.  

Mitologia dei Ferragnez

Chiara Ferragni è nata a Cremona il 7 maggio 1987 e guarda il mondo dall’alto dei suoi 22 milioni e 400mila followers. Fedez è Federico Leonardo Lucia, nato a Milano il 15 ottobre 1989, ma cresciuto nella periferia milanese tra Rozzano, Buccinasco e Corsico, un rapper noto solo in Italia che di followers ne ha esattamente la metà.

Appena un decennio fa internet era un posto molto diverso da quello che è ora. I social erano luoghi di aggregazione molto lontani dell’attuale carica comunicativa e simbolica. Senza avere frequentato la scuola Holden, né studiato la narratologia, Chiara Ferragni ha compreso il valore fondante della narratività e ha trasformato la sua vita in un racconto: in ogni post Chiara racconta una storia, tutto è narrazione, dalla fotografia all’ecografia nell’epoca della riproducibilità digitale. Ogni storia compone accuratamente la grande storia dei Ferragnez. Mitologie, avrebbe detto Roland Barthes, delle storie, anzi delle stories, di questi due che carburano a pieno regime il potenziale espressivo del nuovo universo semiotico dei social. I Ferragnez sono un mito d’oggi. I Ferragnez producono e vendono racconto. Marketing è storytelling. Digitale.

I Ferragnez non sono solo Chiara Ferragni e Fedez, ma una comunità – di “attanti” si dice in narratologia – fatta da un’intera famiglia: Leone, il feto di cui abbiamo già visto lo sviluppo nell’ecografia, perché Chiara è incinta, le sorelle di Chiara, Valentina, anche lei di professione influencer e designer di gioielli con 3,7 milioni di followers, e Francesca che fa la dentista con un milione di followers su Instagram, la loro madre Marina Di Guardo che scrive thriller ben fatti. La cagnetta Matilda, anche lei con profilo Instagram da 400mila followers. Intanto le sorelle Ferragni hanno tutte una buona formazione: giurisperita bocconiana Chiara, scienziata della comunicazione alla Cattolica Valentina, con tesi sull’influenza sulla società dei social blogger, Francesca odontoiatra: all’Università di Milano consegue la laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentale e decide di andare a lavorare immediatamente nello studio dentistico del padre.

Chiara è stata prima oggetto di studio della Business School dell’Università di Harvard, e quindi per due volte insegnante per un giorno, per fare lezione agli studenti di marketing sulla costruzione del suo impero. Leone Ferragnez è il royal baby, il principe ereditario, il primogenito in attesa della sorellina.

Teresa Ciabatti, la scrittrice italiana più perturbante e l’intellettuale più a suo agio nel mondo del pop, alza il tiro, non stigmatizza ma provoca il moralismo, e indica nei Ferragnez un modello educativo. «I Ferragnez come modello educativo?» «Sì. Il bambino non è ritratto come vogliono i genitori, nessuna mano adulta confeziona la sua infanzia, o almeno l’immagine d’infanzia.

Ferragni e Fedez capiscono che il bambino non va imbeccato. Perciò tutto quello che avviene è espressione libera, infanzia pura. Ecco Leone che tenta di nascondersi dietro a un cuscino piccolissimo e grida aiuto. Leone che passa la miniaspirapolvere arrivando a contestare il padre se passa dove ha pulito lui. Leone che ordina al padre di pulire il disastro che ha combinato con le ragnatele di Spiderman (in una magnifica inversione di ruoli)».

I Ferragnez sceneggiano sé stessi in ogni momento della loro vita e quello è artisticamente il lavoro più pregiato che fanno.

Nel quotidiano e minuzioso reportage di ogni loro movimento, Chiara e Fedez, i due protagonisti di una commedia che si scrive da sé, stanno raccontando tutto ciò che c’è da sapere sul lessico familiare del presente. Nel 2018 la Treccani decise di includere e di lemmare nel Libro dell’anno la parola /Ferragnez/, la parola-macedonia derivante dalla fusione di Ferragni e di Fedez indica una nuova cosa. Non tanto la formalizzazione di una relazione sentimentale (l’hashtag #TheFerragnez è coniato dai due in occasione del loro matrimonio reale, il 1° settembre 2018), quanto la consacrazione di una nuova istituzione mediale. A questa istituzione dedicano uno studio molto interessante Adriano D’Aloia e Marco Pedroni che sono un massmediologo e un sociologo, contenuto nella bella antologia Supertele, a cura di Luca Barra e Fabio Guarnaccia per Minimum fax. Finalmente non solo ad Harvard ma anche in Italia si cominciano a studiare i Ferragnez.

Royal family postmoderna

Quei due che non si perdono un attimo senza la telecamera di un telefono puntata addosso, un flash, una fotografia, un racconto della loro vacanza, delle loro case a Milano e a Los Angeles, uno schermo per tutte le occasioni.

Fedez fa la sua carriera da first gentleman d’Italia, da deuteragonista, autore, sceneggiatore e regista insieme alla moglie della commedia più rappresentativa degli ultimi anni. The Crown dimostra che i Ferragnez sono la nostra Royal family, più moderna, più postmoderna. Nelle numerosissime stories prevale la narrazione del quotidiano, alimentata dai video con scene di vita familiare: l’ambiente domestico nel lussuoso attico milanese di CityLife, le tappe della crescita di Leone, la seconda gravidanza annunciata, Fedez padre e marito ancillare come Filippo di Edimburgo, la presenza delle due sorelle minori Francesca e Valentina. Ne risulta una sorta di selfie-reality show imperniato sul valore dell’autenticità, quasi un Grande Fratello social.

Nel 2014 Mattel crea la Barbie fashion blogger con le sembianze di Chiara Ferragni. Lunghi capelli biondi, borsa Chanel, chiodo di pelle e jeans strappati sulle ginocchia. Attenzione però, come sempre con Chiara i ruoli sono ribaltati: questa non è la consacrazione di Ferragni, bensì la modernizzazione di Barbie in cerca di nuova fama e follower sui social.

Le forme di rappresentazione cambiano come cambia la società e ciò che era stato l’immaginario prima del cinema e poi della tv si è trasferito direttamente nelle nostre stanze, anzi camerette, come era già accaduto in quella di una youtuber come Sofia Viscardi, ora si trasforma direttamente in life nelle mani di un’imprenditrice digitale come Chiara Ferragni.

«Troppo affermati per potersi vantare di un approccio amatoriale, troppo commerciali per rivendicare una piena autonomia editoriale, i socialcaster Ferragnez – ci spiegano i nostri massamediologi – galleggiano nell’ambivalenza di una rappresentazione forzata della genuinità del quotidiano, senza occultare fino in fondo la natura imprenditoriale e pubblicitaria dell’intera macchina digitale di cui sono fondamentali ingranaggi. Ma in questo modo Chiara riesce nell’impresa di fare televisione sui social. Ne risulta un palinsesto paratelevisivo “destrutturato”, in cui i contenuti non hanno un’apparente regolarità e si offrono in abbondanza al pubblico che li segue, commenta, condivide, attivando comportamenti di fascinazione tipici della celebrity culture digitale e innescando dinamiche algoritmiche che ne rilanciano viralmente il successo».

Lo spirito del tempo

Infine la filosofia. Lo dico perché la filosofa Lucrezia Ercoli ha dedicato un libro a Chiara Ferragni Filosofia di una influencer, per Il melangolo. E per spiegare cita non solo le mitologie di Barthes ma anche Simmel, Benjamin, Girard, Ricouer, Baudrillard, McLuhan, Eco, Nussbaum.

Il libro è molto intelligente e dimostra, al riparo dalle noioserie accademiche, l’efficacia del discorso filosofico sullo spirito del tempo, hegelianamente il proprio tempo appreso con il pensiero. Cioè quello abitato dai Ferragnez. Quello, secondo Ercoli, in cui la Storia è stata sostituita dalle stories su Instagram e i 15 minuti di Warhol, quelli della società affluente, sono diventati i 15 secondi della società del precariato diffuso e della riproducibilità digitale.

Rimane un’ultima questione su cui interrogarsi. L’effetto del prolungarsi inaspettato della pandemia che fatalmente incombe anche su questo racconto. La viralità di un fenomeno di divismo digitale rimane largamente imprevedibile. Come l’esplodere dell’epidemia. Un’unica immagine con la mascherina, dicevo, ne dà conto. «Durante la convivenza forzata a causa della pandemia, la Ferragni non ha avuto nessuna difficoltà a rafforzare lo storytelling legato al nucleo familiare come luogo idilliaco dove sentirsi amati e protetti, al quale si contrappongono i pericoli del mondo esterno» avverte Ercoli. Ma quanto può durare? Agli inizi di questa storia, nel 2012, ho conosciuto Chiara Ferragni e nel 2013 ho pubblicato da Mondadori il suo primo e unico libro, The blonde salad, titolo del suo blog, dove s’insegnava che anche un maglione cheap può essere cool, se indossato seguendo «i consigli di stile della fashion blogger più seguita del web», avevo scritto nel sottotitolo.

Quella lifestyle aveva bisogno come sfondo della città della moda e dei grattacieli: Milano. Dinamica e cool con gli aperitivi e i weekend aperti sul mondo. L’auspicata “Milano non si ferma” che fu evocata fuori luogo dal sindaco Beppe Sala. Dove si è sempre pronti a scegliere l’outfit per ogni occasione e a mischiare come fa Chiara: borsa Chanel, t-shirt Zara o H&M.

Ma ora che il mondo s’è fermato, e nessuno sa fino a quando, che dalle nostre parti il governo vacilla, le dosi di vaccini promesse non arrivano, si avvicina la scadenza del blocco dei licenziamenti, quanto reggerà la narrazione solo interna della Royal family? Un indizio spietato si trova ancora nel bel libro di Ercoli che cita Don Draper, il cinico pubblicitario di Mad Men: «Quel tipo di amore non esiste, è stato inventato da quelli come me per vendere calze». Ma erano gli anni Sessanta.

Chiara Ferragni è autrice del libro The blonde salad, edito da Mondadori

Lucrezia Ercoli è autrice del libro Filosofia di una influencer, edito da il Melangolo

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