Samuele Ingoglia è uno dei quattro soci di Fauno Azienda Agricola (insieme a sua sorella Martina, Marco Foschini e Doriana Bagliani), una giovane realtà sui monti Aurunci, nel Lazio, che da qualche anno ha ritagliato un suo spazio all’interno della ristorazione e del mercato romano del Kombucha
Il kombucha sta vivendo una florida fase di sviluppo nel nostro paese ed è facile trovarlo in ristoranti o cocktail bar, usato nei pairing o in miscelazione: niente di nuovo e che non si sia già visto all’estero, ma di sicuro una buona notizia per tutti coloro che cercano alternative al consumo di alcol o di bevande zuccherate più o meno famose o che semplicemente sono interessati agli aspetti salutistici di questo prodotto.
Un trend sempre più in fermento, come dimostra anche la nascita del primo evento in Italia destinato a chi cerca alternative non alcoliche: la No/Lo Bolo Fair tenutasi il 15 Gennaio scorso a Bologna.
Approccio selvatico
Partendo dalle basi, il kombucha è un fermentato di tè (in genere nero, ma possono essere utilizzate anche altre tipologie) e zucchero avente come starter un disco gelatinoso chiamato Scoby: acronimo di Symbiotic Culture of Bacteria and Yeast, si tratta di una coltura di batteri e lieviti che vivono in simbiosi, ed è acquistabile on-line così come nei maggiori supermercati bio. Basta quindi un po’ di tè nero, dello zucchero e il suddetto disco, e anche a casa sarà possibile prepararsi del frizzante nettare fermentato. Se invece preferiamo andare sul ready made, sono diversi i brand che producono e distribuiscono nel nostro paese: Fervere, Mia Kombucha, OId Kombucha, Livebarrels, solo per citarne alcuni. Sono produzioni molto classiche (spesso proposte in lattina), a cui si sommano anche altre realtà che, partendo dalle basi di produzione dei kombucha, cercano nuove strade produttive.
Samuele Ingoglia è uno dei quattro soci di Fauno Azienda Agricola (insieme a sua sorella Martina, Marco Foschini e Doriana Bagliani), una giovane realtà sui monti Aurunci, nel Lazio, che da qualche anno ha ritagliato un suo spazio all’interno della ristorazione e del mercato romano. «Abbiamo iniziato a fare Kombucha nel 2020», ci racconta Ingoglia, «con uno Scoby regalatoci da Sara Scarsella, chef del ristorante Sintesi. Inizialmente facevamo una classica miscela di tè nero e Pu’er e l’aromatizzavamo, da due anni invece siamo passati ad un approccio più selvatico mantenendo nel prodotto finale un 20/25 per cento di tè mentre il resto sono decotti o infusi di erbe spontanee che raccogliamo. Il nostro non è propriamente un kombucha, ma il principio è lo stesso e usiamo la stessa cultura di lieviti: un kombucha classico si nutre di tannini e zuccheri, io vado a sostituire il tannino del tè con quello di un’altra erba amara creando il nostro “kombucha selvatico”. Alla fine sostituiamo solo una pianta con un’altra».
Il risultato è quindi legato al territorio di raccolta, con una volontà di creare sia dei nuovi gusti per il mercato che di valorizzare i territori stessi. Il tutto iscritto in un processo circolare che prevede il minimo scarto di erbe, riutilizzate anche nel loro finale di vita: essiccate nei sali o in altre preparazioni di condimenti o come concime per l’orto.
Valorizzare le erbe
«Per noi il kombucha nasce come valorizzazione delle erbe che magari non venivano usate troppo in cucina», continua, «andando in raccolta per le baby leaf, trovavamo anche altre cose come achillea, artemisia e luppolo selvatico (blend da cui nasce il gusto Alpi, ndr) che in cucina non avevano tante richieste e ci dispiaceva perderle; abbiamo quindi pensato di usarle nei kombucha, per evitare lo spreco e valorizzarle. Era un B-side di quello che facevamo mentre ora sta diventando una parte importante del nostro lavoro. C’è richiesta ed è una grande soddisfazione veder valorizzato il nostro lavoro e le erbe, non solo il kombucha classico».
La produzione è limitata: ad oggi i Fauni producono circa 200 bottiglie di “kombucha selvatica” alla volta, una scelta dovuta alla quantità di erbe raccolte e ad una ridotta shelf life del prodotto, che visto il suo essere “vivo” e non pastorizzato, è più sensibile alla degradazione. «Il nostro focus non è da grande distribuzione per lo scaffale, ci piace che il prodotto venga valorizzato da realtà più piccole, o da cucine più attente come ad esempio Acquolina e Zia, due ristoranti stellati a Roma. Per me è importante e appagante vedere i nostri kombucha in mescita in mezzo ai vini più blasonati. Però è importante che ci siano realtà anche più commerciali che facciano conoscere il kombucha e lo faccia uscire da una nicchia di specialisti».
Ad oggi i gusti proposti dai Fauni sono tre, Alpi, Foglie di fico e Bitter, ma nel corso di questo 2024 vedranno la luce altre proposte e nuove bottiglie, come un kombucha prodotto da felci selvatiche che ricordano la liquirizia o un kombucha stout, ispirato alle classiche birre scure. Conclude Samuele: «Con l’anno nuovo faremo partire anche il sito per la vendita online, così da attivarci anche su altri fronti al di fuori di Roma. Abbiamo preferito prima consolidare la nostra realtà e poi spostarci verso l’esterno». Un movimento verso l’esterno che presto porterà sempre più persone ad avvicinarsi alle loro proposte “selvatiche”.
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