- C’è qualcosa di divino nei Måneskin. Damiano David è l’ultimo profeta sceso in terra per riportare il mondo alla deriva e ubriaco di trap ai saldi comandamenti del rock.
- Ma cos’è il rock? La poesia. E non riconoscere ai Måneskin un dono, un talento divino è criminale. Grazie a Vent’anni, ultima traccia di Teatro d’ira Vol. I ho finalmente capito chi sono stato a vent’anni.
- Grazie ai Måneskin Marlena è tornata e insieme a lei il rock. Il rock che salva. Quello dei vent’anni, ascoltato e poi scordato. Il rock che torna di notte, quando si può falsificare il documento di identità e alla voce professione si può scrivere “poeta”.
Carmelo Bene avrebbe amato i Måneskin. Damiano è il Manfred di Carmelo. In Damiano ci sono Byron e Schumann. La fonetica romantica che resiste all’esistenza. E questo è decisamente rock. Se Bene è apparso alla madonna, i Måneskin sono apparsi al rock. Questo è il miracolo, la profezia, l’oracolo, l’alchimia, il dolce destino e la dolce condanna di questi ragazzi.
C’è qualcosa di divino nei Måneskin. Damiano David è l’ultimo profeta sceso in terra per riportare il mondo alla deriva e ubriaco di trap ai saldi comandamenti del rock. Ma cos’è il rock? La poesia.
Le canzoni dei Måneskin dovrebbero entrare di diritto nelle antologie di letteratura a scuola. C’è una poetica, una drammaturgia, una sociologia, una visione esistenziale e allo stesso tempo civile che rivendica l’essere fragile e la sua rivoluzione.
Avere vent’anni
Grazie a Vent’anni, ultima traccia di Teatro d’ira Vol. I ho finalmente capito chi sono stato a vent’anni. Se Self control di Raf mi aveva fatto scoprire la notte esistenziale e lo smarrimento della bussola, se Eroi nel vento dei Litfiba mi aveva dato un pezzo di specchio per guardare in faccia le inquietudini, se Un piccolo aiuto di Zucchero aveva frantumato quello specchio in centomila fragilità, se Siamo solo noi di Vasco Rossi ne aveva rivelato la caduta degli dèi, se Strategie degli Afterhours la seduzione delle tentazioni della Scimmia di Eugenio Finardi, dopo decenni questi ragazzi essenziali, vitali, combattenti, coraggiosi, virtuosi, ci hanno donato tutte le risposte a quelle domande taciute per timore di essere sé stessi.
Damiano ha aperto il sarcofago di Tutankhamon, risvegliato lo spirito divino di Dionisio. Damiano è Orfeo che riesce a portare Euridice alla luce senza voltarsi. Il marmo di Michelangelo che si fa carne, sangue, materia viva, respiro, diaframma, voce, onda, fisica, chimica, medicamento, acqua benedetta.
Damiano David, Thomas Raggi, Victoria De Angelis e Ethan Torchio sono quella lotta continua. In loro c’è l’infinito di Giacomo Leopardi, la bellezza di Tadzio di Morte a Venezia di Thomas Mann, l’Angelo che guarda il passato di Thomas Wolfe, la maschera crollata che rivela il vero volto nudo di John Berryman.
I detrattori si staranno chiedendo – sì, ma cosa c’entra tutto questo con il rock? Volete i nomi supremi? Alice Cooper, Ozzy Osbourne, Robert Plant? Damiano David non è il semplice figlio del rock, l’erede di qualche padre o uno sputo di spirito santificato. I Måneskin sono la trinità. La volontà del padre che si realizza. Una visione molto beniana, la mia, sui Måneskin.
Forse Carmelo è tornato? Con altre sembianze? O è Pasolini che è risorto? O Kurt Cobain, Ian Curtis? O proprio lui, il più grande rocker di tutti i tempi. Dante Alighieri.
Ora mi sale un timore, Damiano dovrà sopravvivere alla maledizione dei 27 anni e liberare l’anima di Jim Morrison, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin. «Ho paura di lasciare al mondo soltanto denaro/ Che il mio nome scompaia tra quelli di tutti gli altri/ Ma c’ho solo vent’anni/ E già chiedo perdono per gli sbagli che ho commesso/ Ma la strada è più dura quando stai puntando al cielo/ Quindi scegli le cose che son davvero importanti/ Scegli amore o diamanti, demoni o santi/ E sarai pronto per lottare, oppure andrai via/ E darai la colpa agli altri o la colpa sarà tua/ Correrai diretto al sole oppure verso il buio/ Sarai pronto per lottare, per cercare sempre la libertà».
Ditemi se questo non è un manifesto generazionale capace di scavare nell’animo, nei sentimenti, nelle paure, nei sogni dei nostri figli? Ditemi se non è la risposta che stavamo cercando da anni e che abbiamo cercato invano nel vento di Bob Dylan. «E andare un passo più avanti, essere sempre vero/ Spiegare cos’è il colore a chi vede bianco e nero/ E andare un passo più avanti, essere sempre vero/ E prometti domani a tutti parlerai di me/ E anche se ho solo vent’anni dovrò correre».
Ancora la profezia dei Måneskin che sapevano della tempesta in agguato e che avrebbero potuto sospendere la pioggia anticipando la risposta ai detrattori – «Io c’ho vent’anni/ E non mi frega un cazzo, c’ho zero da dimostrarvi/ Non sono come voi che date l’anima al denaro/ Dagli occhi di chi è puro siete soltanto codardi».
Infine l’ultimo rigo sul foglio bianco con l’invito al viaggio di Baudelaire – «C’hai vent’anni/ Ti sto scrivendo adesso prima che sia troppo tardi/ E farà male il dubbio di non essere nessuno/ Sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri».
Le trombe del giudizio
E, come sempre, ci viene in aiuto Franco Battiato con la sua saggezza e la sua ironia spietata verso i detrattori, i critici musicali ex musici falliti che oggi fanno altro per vivere reinventandosi intellettuali, tradendo Aristotele, intendendo, volendo, ma dimenticandosi che l’intelletto è solo nervo devitalizzato senza le virtù spirituali. E non riconoscere ai Måneskin un dono, un talento divino è criminale.
Quei critici, intellettuali, ex-artisti (non esistono gli ex-artisti, si è artisti sempre o non lo si è mai stati, si cambia nella vita, chi è stato bambino non è un ex-bambino ma bambino per sempre) che non hanno mai avuto il coraggio di indossare scarpe con zeppe, canotte trasparenti, pantaloni rosa e sciarpe scintillanti, né di reggere il pianto e il peso degli occhi con una striscia di rimmel o un bacio di rossetto per dimenticarsi i baci mai avuti, «Giù dalla torre/ Butterei tutti quanti gli artisti/ Perché le trombe del giudizio suoneranno/ Per tutti quelli che credono in quello che fanno/ Per gli spartani/ Una volta era uguale/ Buttavano giù da una rupe/ Quelli che venivano male/ Giù dalla torre/ Butterei tutti quanti i teatranti/ E nostra signora dei turchi/ Specchio delle mie brame/ Chi è fra noi il più bravo del reame?/ E salverei/ Chi non ha voglia di far niente/ E non sa fare niente».
Il rock che ritorna
Non ho ancora parlato del duetto con Iggy Pop e del concerto sul palco di Mick Jagger e dei Rolling Stones. Lo so, posso dire che anche David Bowie avrebbe cercato i Måneskin o forse l’ha fatto, chissà, magari in sogno si sono incontrati, in quel mondo parallelo che è permesso vivere solo agli artisti benedetti su Marte e maledetti sul mondo.
Anche Andy Warhol li avrebbe cercati, dipinti, colorati, celebrati, cantati, amati. Forse anche Warhol li ha già incontrati, li ha cercati di notte, quando i critici musicali dormono e i poeti lavorano, impugnando una matita per disegnare il contorno degli occhi.
E ora una profezia: Damiano David finirà in una pellicola di Jim Jarmusch o di Tim Burton, dovrà solo superare il ventisettesimo compleanno e sfidare la signora del Settimo sigillo.
Anche Marc Chagall avrebbe dipinto i Måneskin, Freddie Mercury avrebbe scritto per loro, Fabrizio De André sarebbe andato ad ascoltarli a teatro aiutandoli a trasformare “l’ira” dei vent’anni in coscienza civile. «Sotto il sole poi/ Diluvierà/ Per portare via le parole/ Forse inutili/ Canteremo insieme/ Ma restando muti/ Adesso portami a casa/ Che mi spaventa l’inverno/ Le gambe stanno cedendo/ Non vedi che ho troppo freddo/ Marlena portami a casa».
Versi da Le parole lontane – dal secondo album Il ballo della vita. Già, Marlena. Mi piace pensare che sia figlia di Lulù e Marlene dei Litfiba, certo che ho riconosciuto Marlene, è quella parte segreta nascosta nel fondo di una giacca cucita stretta.
Grazie ai Måneskin Marlena è tornata e insieme a lei il rock. Il rock che salva. Quello dei vent’anni, ascoltato e poi scordato. Il rock che torna di notte, quando si può falsificare il documento di identità e alla voce professione si può scrivere “poeta”.
Il rock è la poesia anarchica, la poesia erotica e d’amore. Poesia per non invecchiare, poesia per sentirsi altrove e indossare le identità degli altri, scucire giacche comprate a un mercatino di vite di seconda mano.
Chi vive la vita vivendo il rock conosce sempre la strada per la luna e il suo motel dall’insegna spenta. Basta una voglia di temporale, una finestra aperta e le parole arriveranno a slacciare la cravatta, a sporcare le scarpe per trovare il coraggio dell’essenziale e decapitare ogni testa greca di bronzo senza essere ostaggio della nostalgia.
Damiano si è accecato vivendo come un aedo moderno. Ha osato. Dal loggione la finzione del teatro diventa superba. Rinunciare alla prima fila e scegliere la strada, il rock lo si ascolta dal lucernario.
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