Per anni hanno guardato all’esperienza afroamericana per capire sé stessi. Ora, grazie soprattutto al fermento della vita culturale black della Gran Bretagna, si moltiplicano i libri che vogliono scavare in un passato per troppo tempo non detto
- Per tanti anni i neri europei, qualsiasi sia stata la loro origine, hanno guardato agli Stati Uniti e all’esperienza afroamericana per capire sé stessi. Le parole erano in prestito.
Ultimamente le cose per fortuna sono cambiate. I neri europei stanno trovando parole proprie per raccontarsi. C’è una forte presa di coscienza che serve non solo a scoprire la storia, ma anche a mettere sul piatto la propria esperienza di africani europei.
La Gran Bretagna è stata tra i paesi europei più attivi durante le manifestazioni di Black Lives Matter e questa onda è arrivata anche in numerose parti d’Europa: in Francia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Portogallo, in Germania, nella nostra Italia.
Peter Brathwaite è un baritono, nativo di Manchester, afrodiscendente che si è fatto conoscere per la sua voce possente, la sua grande presenza scenica e un gusto raffinato nel porsi davanti a un pubblico che negli anni ha dimostrato di apprezzarlo e amarlo. La musica per lui è una missione. E di musica si è occupato anche per la Bbc dove ha curato una serie di documentari tra cui Black music in Europe. Poi è arrivata la pandemia e come tanti musicisti, vista la chiusura dei teatri e la cancellazioni dei concerti, ha dovuto fermarsi in attesa di tempi migliori. Ma Peter Brathwaite non si è arreso e, da infaticabile sognatore qual è, ha reagito creando dal nulla un progetto che ora ha tanti follower (su Twitter) e tanti estimatori.
Il progetto è nato quasi casualmente. Peter Brathwaite ha partecipato come tanti all’iniziativa del Getty museum, #GettyMuseumchallenge, per ricreare a casa quadri famosi, dei tableu vivant casarecci. La sfida è stata accolta da moltissime persone e i risultati sono stati sensazionali. Ma su tutti è emerso proprio lo spirito creativo di Brathwaite che con quello che aveva in casa ha ricreato i ritratti, presenti nell’arte europea dal XIII secolo a oggi, degli afrodiscendenti in Europa.
Eccolo quindi imitare il gondoliere quattrocentesco di Vittore Carpaccio, con il bastone della scopa al posto del remo, o diventare improvvisamente Toussaint Louverture, capo della rivoluzione nera di Haiti, a cavallo di una sedia di legno e brandendo l’aspirapolvere come una spada. Peter Brathwaite ha usato molta ironia, oggetti casalinghi, combinazioni paradossali, ma il tutto è risultato più importante di quello che appare a prima vista.
Un’azione pedagogica
Infatti la sua non è stata solo una semplice partecipazione alla sfida del Getty museum, ma un’azione pedagogica e identitaria volta a riscoprire le presenze nere nascoste nella storia d’Europa. Non a caso il titolo che ha dato alla sua iniziativa è stato appunto ReDISCOVERING black portRaiture.
Questa riscoperta, questo scavare, questa voglia di conoscere il passato remoto e quello prossimo delle vite dei neri in Europa è una cifra dei nostri tempi. Per tanti anni i neri europei, qualsiasi sia stata la loro origine, hanno guardato agli Stati Uniti e all’esperienza afroamericana per capire sé stessi. È stata quella storia di lotta, di fierezza, di resistenza a influenzarli. Anche perché i neri europei non avevano ancora nessun termine per parlare di razzismo, di identità, di quella paura di perdere la vita per un atto violento e di quella pelle nera che era scambiata da molti come un bersaglio mobile.
Non si trovavano le parole per raccontare le umiliazioni subite, ma anche la ricchezza di avere tante culture che dialogavano insieme e contemporaneamente dentro il proprio corpo. Queste parole venivano chieste in prestito a Malcolm X, James Baldwin, Toni Morrison, Bell Hooks, Angela Davis, Frederick Douglass, Martin Luther King, Tupac Shakur, Aretha Franklin. Venivano chieste agli afroamericani. E questo valeva per tutti.
Parole in prestito
Non importa se si era neri nati da una madre russa e da un padre africano arrivato a Mosca per studiare nella famosa università internazionale (e internazionalista) Patrice Lumumba o se si era neri antillani di qualche sobborgo di Leeds.
O ancora francesi di origini martinicane o haitiane finiti, loro malgrado, in una banlieue o italiani di origine somala che fanno le scrittrici come me o Cristina Ali Farah. Le parole erano in prestito.
Ultimamente le cose per fortuna sono cambiate. I neri europei stanno trovando parole proprie per raccontarsi. C’è una forte presa di coscienza che serve non solo a scoprire la storia, ma anche a mettere sul piatto la propria esperienza di africani europei.
La Gran Bretagna è stata un propulsore importante di questa presa di coscienza. Numerosi sono i testi storici che hanno accompagnato questo percorso da Black and British di David Olusoga a Brit(ish): On Race, Identity and Belonging di Afua Hirsch fino all’ultimo arrivato (uscito da pochi giorni) African europeans the untold history di Olivette Otele, storica e prima donna nera diventata professoressa nell’accademia britannica. In tutti questi libri troviamo la voglia di scavare in profondità in una storia non detta, la necessità di guardarsi allo specchio in epoche diverse e vedere senza stereotipi quel passato africano europeo fatto di santi, poeti, navigatori, schiavi, pugili e così via. Esperienze nere nelle strade fumose di Londra o di Parigi.
Ma il libro che in questo senso, più di tutti, ha scosso il panorama letterario è stato Ragazza, donna, altro (Girl, woman, other) di Bernardine Evaristo, anglo-nigeriana, classe 1959, che con il suo romanzo ha messo d’accordo critica e pubblico. Ormai è storia la sua vittoria, in condivisione con Margaret Atwood, del Man Booker prize del 2019. E storia è anche il successo che Bernardine sta riscuotendo in ogni angolo di mondo.
Storie travolgenti
Il romanzo, appena uscito in Italia per edizioni Sur, è un coro polifonico, postmoderno e postcoloniale. Dodici storie popolate di donne nere britanniche, di diversa origine e con diversi sogni. Ci sono le migranti e le loro figlie, le amanti e le le loro amiche, le professoresse di scuola e le loro alunne. Ci sono gli anni Ottanta con una scena teatrale black londinese di cui colpevolmente non sapevamo quasi niente. C’è l’amore tossico tra donne di cui poco si parla, c’è la transizione da un sesso all’altro, e poi vestiti, canzoni, atmosfere, odori...anche mestruali. È un romanzo che gronda sorellanza, ma che non è mai manicheo. Amma (vera cerniera del romanzo), Dominique, Yazz, Waris, Bummi, Carole, La Tisha, Shirley ecc. ci entrano nel cuore con la semplicità tipica delle persone care. Ti senti dentro un universo affettivo che ti ingloba. E non importa se tu che leggi sei donna, uomo, binario, non binario, se sei nera, bianca, mescolata, incasinata.
Un libro che abbraccia il lettore con uno tsunami di storie incredibili, intessute come un ricamo, da una lingua (ottimamente tradotta nella versione italiana da Martina Testa) che si fa carne a ogni riga. La pagina sembra un’onda (anche graficamente) e se a volte ti culla, a volte ti travolge. Bernardine Evaristo è una veterana della letteratura. Una delle sue prime opere, Lara, è del 1997. Un poema autobiografico che parte dagli antenati schiavizzati in Brasile, ne racconta il ritorno in Nigeria nel XIX secolo (da lì il cognome Evaristo di chiara origine portoghese) per finire con un altro viaggio, quello verso la Gran Bretagna del XX secolo. A questo sono seguiti altri romanzi, tra cui il delizioso Mr Loverman (Playground) su un uomo che per tutta la vita si finge etero anche se ha sempre amato appassionatamente un altro uomo nero come lui.
Le storie di Bernardine Evaristo mettono al centro le relazioni tra umani e non sono mai scontate. I corpi sono sempre visti nella propria complessità. Come complessa è lei, nativa di Woolwich, area di Greenwich, sud est di Londra, figlia di un padre nigeriano immigrato e di una madre bianca nativa.
E come complesso è anche un altro autore britannico, Johny Pitts, che con il suo Afropei viaggio nel cuore dell’Europa nera edito da EDT, ci porta in viaggio dentro questa identità africana europea che è anzitutto la sua identità. Pitts è un giovane artista nato nella periferia operaia di Sheffield e come tanti giovani anche lui vuole capire che ci fa in un’Europa che non riesce a inquadrarlo come nero, britannico, europeo.
Pitts mette in scena il rapporto di amore e odio con un continente che però non può ignorare perché in fondo sa di appartenergli. Allora si mette alla ricerca di persone come lui. E così inizia un viaggio da corpo a corpo. Dagli attivisti afrofrancesi ai nomadi egiziani, dai ristoratori sudanesi ai pittori belga-congolesi.
Un testo dove le parole si accompagnano a immagini in bianco e nero che tolgono il fiato per il loro essere, allo stesso tempo, solenni e quotidiane. La Gran Bretagna non a caso, visto il fermento della vita culturale black, è stata anche tra i paesi europei più attivi durante le manifestazioni di Black Lives Matter e questa onda è arrivata anche in numerose parti d’Europa: in Francia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Portogallo, in Germania, nella nostra Italia.
E continua a propagarsi attraverso libri, performance, film, voci che prima erano celate e improvvisamente stanno prendendo la loro vita in mano. In tutta Europa la letteratura dei neri europei sta finalmente destando molta attenzione. E dobbiamo ringraziare i neri britannici per averci mostrato una direzione precisa verso cui andare.
© Riproduzione riservata